|𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟐𝟒|

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Pov. Toni

<Vuoi andare sola?> Prendo da un cassetto una pistola assicurandola nell'asola del pantaloni e coprendola con una maglietta abbastanza larga da non fare notare il rigonfiamento.

<So cavarmela da sola. Puoi avere ragione e se è davvero così...> Non riesco neanche a finire la frase per... si per paura, perché se la pista che abbiamo battuto io e Bourbon dopo giorni è una pista falsa o errata, potrei reagire davvero male.

<Andrà bene Vermouth, me lo sento.> Lo guardo negli occhi cercando una traccia che mi faccia capire che mi sta mentendo, ma è effettivamente fiducioso su ciò che abbiamo scoperto e di come abbiamo unito alcuni pezzi. Può andare bene... si.

<Usciamo.> Dico soltanto chiudendo il mio computer e prendendo ciò che mi serve distribuendolo tra le tasche. Faccio passare prima lui e io gli vado dietro chiudendomi alle spalle la porta.

<Se ti serve un supporto non dispensabile, conosci il mio numero.> Annuisco con un cenno deciso tenendo il casco sotto il braccio mentre lui sorride compiaciuto osservandomi da capo a piedi.
<Il biondo ti sta veramente male.> Commenta alla fine dopo avergli fatto capire di sputare l'osso.

<Sei un cretino.> Borbotto scuotendo la testa e lui sollevando una spalla si discolpa iniziando ad allontanarsi con la sua solita falsa flemma.

<Buona fortuna, Vermouth.> L'ultima cosa che vedo prima che giri l'angolo diretto alle scale è il cenno della sua mano a mo' di saluto. Non volendoci pensare più del previsto mi incammino verso l'ascensore in cui entro e che mi porta nel giro di un minuto nel parcheggio sotterraneo. Prendo la mia moto nera e dopo un veloce controllo, non volendo avere alcun problema, sparisco dalla base in un lampo. La velocità con cui avrei voluto attraversare le strade di Manhattan è molto più elevata rispetto a quella che segna la lancetta ora, però mi costringo ad andare piano, non posso arrivare troppo in anticipo o non lo troverò a casa. Mi faccio un giro per il quartiere del signore che dovrò andare a "intervistare" imparandomi le strade e i sensi non essendo una zona dove sono stata spesso.

<Dio santo Bourbon aveva ragione, il biondo non è per me.> Commento stranita osservando il mio riflesso su una macchina parcheggiata su un marciapiede. È vero che mi sono mascherata e la mia carnagione come tutta quella esposta come le mani è di una tonalità differente, ma comunque non mi ci so proprio vedere. Scuoto leggermente la testa e con tanto di una ventiquattrore che ho preso in un negozio per strada per far scena suono al campanello adiacente alla porta di casa.

<Chi è?> Tua moglie. Alzo gli occhi al cielo e prendo un lungo respiro imponendomi di essere professionale, garbata e con la giusta dose di insistenza di un giornalista.

<Salve, mi chiamo Sally Brown, lavoro per il New York Times le ho mandato un'email ieri.> Idea mia dopo aver trovato alle sei di mattina con Bourbon il suo nome in qualche strano modo, era tutto nascosto o decriptato che è stato un incubo. Non capisco ancora di cosa ci sia lì e il perché di tanta segretezza.

<Oh salve, le apro subito.> Bene. Il primo step è andato. Sono dentro. Seguo quello che riconosco dai dati anagrafici a cui siamo risaliti per Gerry Dancol, l'uomo che non solo lavorava lì dentro, ma era anche in servizio quel giorno.
<Prego si sieda, un caffè?>

<No grazie, giusto un bicchiere d'acqua.> E pur avendo evitato il caffè quando torna con il bicchiere in vetro trasparente contente quello che gli avevo chiesto annuso velocemente il bordo con l'acqua volendo essere sicura che non ci sia alcun veleno.

<Be' eccoci qui, può chiedermi quello che vuole, è un argomento a cui tengo particolarmente dopo le mie esperienze lavorative.> Gerry si appoggia allo schienale della poltrona posta di fronte a me dove a dividerci è solo un tavolino su cui poso sia il bicchiere che il mini registratore da giornalista.

My exception is you - Un amore pericolosoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora