Capitolo 47

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Nevaeh Rose

Guardo la foto di me e Nate in mare che ci baciamo. Maddie è riuscita ad immortalare il momento. Come una pozione magica, le sue parole si sono insinuate nella mia testa e i pensieri si sono spenti.

Ammetto che mi stava piacendo la vacanza di mare, ma purtroppo siamo dovuti partire prima, per un problema che hanno avuto i fratelli. Un problema a me sconosciuto, ma che posso indovinare il nome senza pensarci troppo.

La stessa sera eravamo in viaggio, ma questa volta con Nate ci siamo divisi le ore di auto, anche perché eravamo solo noi due. Roman ha voluto riaccompagnare Maddie personalmente a casa.

Nonostante fossimo soli, nessuno dei due ha parlato della situazione, Nate voleva sapere di Gabriel, ed io ho sviato, visto che fa parte del passato e non mi importa nulla di lui.
Sono grata a qualsiasi entità lassù che l'ha fatto trattenere dal mandarlo all'ospedale con danni permanenti.

«Ti ho fatto un sandiwich.» Lascio il telefono sulla scrivania e mi volto verso la figura maschile sulla porta. «Devi mangiare.» Nate entra in camera e posa il piatto davanti a me.

«Ho mangiato poco fa.» Guardo il sandwich con insalata e tacchino arrosto. Apprezzo il gesto, ma ho perso l'appetito. «I biscotti non sono vero cibo, questo si.» Fa scivolare il piatto verso di me.

«Mangia o te lo infilo in bocca con forza.» Si appoggia contro la scrivania e mi guarda da sopra. Giro la sedia girevole così da dargli la mia completata attenzione.

È sparito per dieci minuti e pensavo se ne fosse andato, invece si è rimboccato le maniche e ha cercato di preparare la cena. Quindi anche solo per accontentarlo do un morso al panino. La sua premura è data dalla piccola creaturina che si sta sviluppando in me.

«Nate.» Mastico lentamente mi alzo. «Cosa?» Si allarma subito e si posizione davanti a me. «C'è qualcosa che non va?» Il cuore si stringe al suo comportamento premuroso e attento.

Pulisco le labbra dalle briciole di pane e scuoto la testa. Prendo le sua mani e faccio un respiro profondo. Per qualcuno che ha fin troppo autocontrollo, in questo momento sembra un cucciolo smarrito.

«Sediamoci.» Mando giù il boccone e mi siedo sul letto. Nate però resta in piedi e tira indietro le mani, incrocia le braccia al petto e mi guarda in attesa che io parli.

«No, voglio che ti siedi e che parliamo Nate.» Batto la mano sul materasso. «Non è un interrogatorio o qualcosa del genere. Ho bisogno di parlare con te prima che...» Mi fermo sulle mie stesse parole e mi mordo la lingua per non continuare.

Nate aggrotta le sopracciglia e fa un passo indietro.
Non si può chiedere ora che stiamo per affrontare un argomento delicato.
Così allungo la mano verso di lui e stenta per qualche secondo, per poi intrecciare le nostre dita e sedersi accanto a me.

«Da quanto tempo ci conosciamo?» Metto le nostre mani unite sulle ginocchia e mi volto verso di lui.
Non avrei mai voluto arrivare a questo tipo di conversazione, ma devo. Non solo per lui, ma anche per me, visto che non sto rende conto di quanto sia difficile per me.

«Sei mesi.» Borbotta e allenta la presa sulla mia mano. Io di conseguenza la stringo più forte. Se pensa anche solo di mollare in questo momento, gli tiro qualcosa.

«In questi sei mesi è successo di tutto Nate. Ci odiavamo. Tu mi detestavi e io non ti sopportavo.» Sento già la gola secca, se devo ripensare a tutto ciò che è accaduto tra di noi.

«All'inizio non ci speravo neanche in un noi.» Confesso. «Ti vedevo come lo stronzo che non perdeva occasione di stuzzicarmi.» Gli sfioro le nocche con il polpastrello.

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