Capitolo 7

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Nevaeh Rose

Guardo il mio riflesso attraverso lo specchio lungo che ho in camera. Lo stesso riflesso che ho cercato di non guardare attraverso lo specchietto retrovisore della macchina durante il tragitto verso casa.

Il taglio sullo zigomo tenuto dai punti fa distogliere l'attenzione dalle occhiaie nere e affossate, che contornano i miei occhi spenti e stanchi. Con gli antidolorifici che mi hanno iniettato sono ancora più stanca, anche se in ospedale ho dormito.

Serro la mascella alla vista delle impronte della mano stampate sull'altra mia guancia. Allungo un dito verso la zona per poi ritrarlo ancor prima di posarlo. Il labbro inferiore è gonfio e spaccato al centro.

Il dolore alla mascella quando la tendo è spiegato dal livido presente lungo di essa, che comprende parte del collo e arriva fino al mento. Le mie dita sfiorano la zona violacea, ma l'attenzione viene spostata verso il basso.

I segni rossi delle mani intorno al mio collo sono evidenti. Chiudo gli occhi, cercando di reprimere il motivo di tali segni e delle mani schifose di quel biforco.

Ispiro profondamente quando sento le pareti stringersi intorno a me e la stanza farsi più piccola, quasi soffocante. Trattengo l'ossigeno nel polmoni per qualche secondo, finché non sento lo sterno pizzicare per via della costola inclinata.

Poso la mano sul petto, che si comprime per via del cuore che batte forte. Mentre con l'altra mano cerco un appiglio per reggermi, ma è difficile visto che le distanze, che fino a poco fa erano brevi, ora sembrano essersi triplicate.

«Va tutto bene, Nev. Devi solo riprenderti.» Dico ad alta voce per convincere la mia testa della situazione in cui sono. Annuisco a me stessa in segno di comprensione. Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo, per poi riaprirli.

La distanza con la scrivania è di nuovo come prima, così allungo la mano e mi tengo salda allo spigolo di essa. Mi sposto lentamente e mi giro verso il letto. Sobbalzo per la persona che è seduta ai piedi del letto.

«Che ci fai tu qui?» Alzo il tono della voce, visto che mi ha fatto accelerare il battito cardiaco più di quello che lo era già.

La sua posizione è rilassata, con le mani posate sulle cosce e le gambe leggermente divaricate. I suoi occhi color giada mi scrutano attenzione dalla testa ai piedi.

Può vedere solo una parte del dolore che mi hanno inflitto, ma le sue iridi sembrano voler guardare attraverso i miei vestiti. Sicuramente Harry e Jake lo hanno informato di quello che ho, oppure il dottore stesso che minacciato, visto che quest'ultimo lo ha detto esplicitamente.

Il silenzio che regna in camera intensifica una barriera, che ha voluto innalzare lui quella sera. Unisce i polpastrelli delle mani, tamburellandoli tra di loro mentre il suo sguardo non lascia il mio corpo. L'unico rumore che si sente è quello degli anelli sulle sue dita che sbattono tra di loro.

Le sue iridi brillano di una luce differente, costringendolo a non dire una parola. Non avanzo verso di lui, così come lui non si alza venendo verso di me.

A differenza i miei occhi non cercano i suoi, ma si spostano in posti indefiniti della stanza. Lo avranno fatto entrare i miei genitori sperando che avremo parlato, anche perché lo hanno visto fuori dalla camera d'ospedale.

«Come immaginavo non hai niente da dire, quindi puoi andartene benissimo.» Con un cenno di testa gli indico la porta, ma lui non si muove dalla sua posizione, così come il suo sguardo non segue i miei movimenti, ma vuole il mio.

Mi aggrappo con entrambe le mani sul bordo della scrivania, facendo attenzione all'indice della mano sinistra ingessato. Non sembra aver fatto caso all'ingessatura, infatti la sua attenzione ricade proprio lì.

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