Capitolo 11

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Nathaniel

Fermo la macchina davanti allo stabile e la spegno. Mi guardo intorno, scrutando attentamente il posto abbandonato. Un magazzino in un appezzamento di terra, delimitato da una recinzione elettro saldata e appartenete alla stessa persona, che possiede il quartiere più malfamato di Philadelphia.

È fuori mano per chiunque, visto che l'intestatale è a 50 miglia da qui. Non c'è una strada secondaria o una strada sterrata per arrivare, ma un sentiero fatto apposta tra gli alberi, non rintracciabile da nessun tipo di radar visto che è nascosto.

Mi passo una mano sul volto e scendo dalla macchina, sbattendo lo sportello una volta fuori. Rapidamente mi dirigo verso la porta metallica e la mia attenzione viene catturata dalle gocce di sangue a terra.

Serro la mascella e faccio qualche passo indietro. Piego il ginocchio e sferro un calcio alla porta. La porta si apre di scatto e sbatte contro la parete all'interno, facendo riecheggiare il rumore lungo le scale.

Passo una mano tra i capelli, tirando indietro le ciocce che ricadono sulla fronte per via della mia gamba che sfonda la porta. Ispiro profondamente e scendo le scale illuminate dai raggi solari che vengono da dietro. Seguo il sentiero del sangue secco e mi fermo davanti alla porta alla fine delle scale.

Apro la seconda porta di ferro, ma il buio regna nella stanza. I miei occhi scrutano a terra e quando trovo quello che cerco, con l'anfibio sposto la pietra per tenere la porta aperta.

Premo il tasto sulla parete esterna e la stanza si illumina. Avanzo lentamente e l'odore di sangue misto a sostanze chimiche pervade le mie narici. Mi blocco proprio a pochi piedi dalla soglia quando vedo una sostanza a terra e degli schizzi di sangue nella zona circostante.

Tiro su nervosamente con il naso e mi abbasso all'altezza della sostanza bianca. Porto un dito sulla polverina e la sfrego tra le mani sentendo sui polpastrelli da consistenza diversa da quella della cocaina. Mi pulisco le dita sui jeans e sposto lo sguardo altrove.

Il problema è che già so che nel corpo di Nev c'è in circolo quella merda. Mi tiro su ed ispeziono l'ambiente circostante. Quattro cazzo di giorni è stata in questa topaia. L'ultima persona che è stata qui è durata meno di due giorni.

Quattro giorni senza niente, né cibo, né luce del sole. I miei occhi scorgono un bicchiere rotto. I miei anfibi si muovono velocemente nella direzione dei pezzi di vetro. Recupero un pezzo di vetro sporco di sangue e lo sollevo all'altezza del mio viso.

Sposto le iridi a destra e a sinistra quando ripenso al graffio sullo zigomo di Nev. Lascio cadere il pezzo di vetro e porto le braccia lungo i fianchi, serrando i pugni fino a far diventare le nocche bianche e gli anelli iniziano a tirare.

Mi avvicino al tavolo dove una grande macchia di sangue è presente sulla sedia e sotto di essa, mentre sulla superficie ci sono due siringhe e quattro fialette. L'immagine di Nev seduta contro la sua volontà su questo tavolo balena nella mia testa e il fiato si accorcia. I lividi sulla piegatura del gomito sono stati causati dai prelievi che le hanno fatto.

Diversi scenari si fanno spazio nella mia mente dei modo in cui l'hanno torturata e tutte queste immagini fanno ribollire il sangue nelle vene. Con la coda dell'occhio scorgo alla mia destra una pozza di sangue secco. A passo svelto mi dirigo verso di essa mentre rigiro l'anello anti-stress, che da un giorno all'altro si romperà.

«Porca puttana!» Ringhio quando sono proprio a pochi passi da quella macchia enorme di sangue. Alzo il gomito e sferro un pugno contro il muro. Vedo uno strato leggero della parete cadere sgretolarsi, per via di quanto questo cazzo di posto sia vecchio e rovinato.

Quante cazzo ne ha passate qui dentro?

Nella mia testa si creano anche il rumore delle sue grida e i suoi versi di lamento. Il dolore che il suo corpo ha attraversato quando è stata pugnalata. Quando le hanno tolto più di un litro e mezzo di sangue, tra quello a terra e quello per inscenare la sua morte.

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