ONEIRATAXIA

Capitolo 4

Nevaeh Rose

Buio. Quello che vedo è il buio più totale. Per quanto la luce fredda di quella lampadina, che illumina la stanza possa essere fastidiosa agli occhi, è sempre meglio dell'immensità più oscura. Il conteggio delle ore non è più facile da stabilire per la mia mente, così come i giorni.

Ho perso la cognizione del tempo e con essa i tentavi per fuggire. Per quanto la mia vista possa abituarsi al buio, non esce uno spiraglio di luce neanche da sotto la porta.

Quello che sto vedendo è il niente. Una voragine soffocante che tenta invano di portarmi con se. La gola è chiusa e la sensazione di pesantezza sullo stomaco mi sta opprimendo.

Il dolore del taglio è sempre forte, ma il pezzo di maglia che ho strappato e fasciato intorno alla coscia, lo attenua anche se di poco. Con uno scatto avvicino ancora di più le gambe al mio petto, visto che chiunque possa entrare e afferrare le mie caviglie, come è già successo. Scuoto la testa e poso il mento sulle ginocchia, chiudendo gli occhi. No, non è così nessuno lo farà, è solo una paranoia.

«Puoi farcela, Nev. Devi farcela.» Affermo a me stessa rannicchiandomi ancora di più, fino a schiacciarmi contro la parete fredda. Il mio respiro pesante si scaglia contro le gambe, seguendo il rumore delle gocce che cadono dal rubinetto fino ad un contenitore bianco sporco di sangue. Non mi serve di vederlo, perché so per certo che sia così.

Ho memorizzato ogni singolo centimetro della stanza, avendo la planimetria nella testa. Posso usarla a mio vantaggio se qualcuno entra al buio.

Muovo la testa più volte quando mi appare la sua immagine con una pistola puntata contro di me. Do un colpetto alla tempia con il palmo della mano quando sembra non voler abbandonare la mia testa.

Non è reale.

«Niente di tutto ciò è reale.»  Questa frase è l'unico appiglio che ho per non far vincere gli effetti della fenciclidina su di me. Faccio tesoro delle parole impresse su quel post-it dopo la mia ricerca approfondita sulla droga allucinante. Il battito cardiaco si sta stabilizzando gradualmente, segno che gli effetti stanno svanendo.

Sento la stanchezza che inizia a prendere il sopravvento del mio corpo. Non dormirò e non cederò. Mi faccio forza finché non sarò fuori di qui. Anche se il mio corpo vuole cedere al dolore che sta attraversando e che sto provando in questo momento, la mente e il cuore non si arrendono. La speranza è la luce fioca che mi fa lottare.

Incastro la testa tra le ginocchia e serro gli occhi, usando le gambe come protezione da tutti i pensieri che se affiorassero potrebbero diventare soffocanti e farmi perdere quel poco di lucidità a cui sono aggrappata.

I miei pensieri vanno tutti direzionati alla mia famiglia. Ai miei genitori e ai miei fratelli che stanno provando un immenso dolore per la mia scomparsa, anche se non si arrendono finché non mi troveranno, così farò io finché non potrò abbracciarli di nuovo.

Al mio migliore amico che conoscendolo si starà tormentando finché non sarò al suo fianco, rompendo qualsiasi cosa gli capiti sotto mano. L'idea di un forte attacco d'asma che possa colpirlo data la sua ira accesa, mi chiude lo stomaco.

Così come Jake che sicuramente è attaccato allo schermo del suo computer cercando con i suoi software il modo per rintracciare il mio telefono, che non ho la minima idea di dove si trovi ora.

E poi lui. Non ho idea di quello che sta facendo e di come si stia sentendo per la mia scomparsa. Non ho alcun modo di credere che venga lui a salvarmi, almeno non dopo quello che è successo quella notte.

Voglio solo il calore della mia famiglia e dei miei migliori amici.

Apro gli occhi e alzo la testa immediatamente quando sento il rumore dei passi in lontananza e mi giro verso la porta. Intravedo una luce fioca da sotto, che è abbastanza per farmi mettere a fuoco la stanza. Striscio lateralmente lungo la parete ignorando il dolore lancinante alla coscia e mi allontano il più possibile, riconoscendo i passi pesanti di Jeffrey.