3. And Broke every Promise you Ever Made

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Ero solo una povera illusa. Una violinista della periferia di Londra con l'ambizione di diventare una cantante professionista. Solo dopo un lungo lasso di tempo capii che era il sogno di una ragazzina adolescente che mai si sarebbe avverato, anche impegnandomi al massimo delle mie potenzialità. Non volevo ammettere che la ragione stava dai miei genitori. Non potevo.
Seduta sul divano con il violino appoggiato nell'incavo della spalla e l'archetto che vagava sulle corde, riproducendo suoni piu che accordati, tesi le gambe lungo il tavolo antistante al sofà. Canticchiai qualcosa che alle mie orecchie sembrava molto carino e interessante: una canzone che avevo già sentito un milione di volte e pizzicava ogni neurone della mia mente, cosi cercai su youtube delle cover di Iris dei Goo Goo Dolls. Il suono che avevo prodotto col violino mi ricondusse a quella. Ne ascoltai una, due e alla terza mi resi conto di non essere abbastanza, come sempre.

Proseguii con i miei ascolti e volli a tutti i costi sfogare la mia frustrazione in un testo. Scrivere era decisamente meglio che far sgorgare sangue da quel braccio. Tutto iniziò col non riuscire ad esprimermi con mio padre: le parole mi si bloccavano nella trachea, cosi mi autoinfliggevo una punizione. Involontariamente mi logoravo il braccio con le unghie e mi sentivo stranamente bene. Uno stupido piacere che degenerò con gli oggetti pungenti...Non usavo le lamette come tutte le persone "normali" nella loro malattia, bensì usavo i coltelli da cucina. Niente di grave mi era mai successo, per fortuna, ma non era una cosa felice ad ogni modo. Mentre cucinavo mi prese una strana curiosità quel giorno lontano. Ma questa parte del mio essere vagherà per sempre nell'oblio. Conoscevo solo io quello che ero stata e quello che sarei diventata.

Ero concentrata al massimo, quando la parete iniziò a vibrare regolarmente ad un ritmo sempre più insostenibile all'orecchio umano. Quello che stava sbraitando come un satanista non poteva che essere Oliver...L'odio aumentò a dismisura. Provai a suonare il violino in camera, ma quel fracasso continuava a trapanarmi i neuroni. Era già un miracolo se erano ancora tutti integri, dopo sei mesi. La goccia che fece traboccare il vaso cadde grossa e velocemente, questa volta.
Mi alzai così velocemente dal letto che la testa mi urtò la vista pesantemente. Tutto nella norma. Spalancai la porta di casa e mi precipitai davanti a quella di Oliver. Bussai così forte e freneticamente che uno di quei pugni doveva essersi sferrato sul petto del proprietario. L'imbarazzo di quella azione mi divorò passo a passo.

"Carter..." Soffiò scocciato. L'intera band ci fissò pervertita. Si vedeva che era una cosa nella norma, bhe, io non avevo nessuna intenzione di essere la sua norma. Mai e poi mai nella vita. E poi, quel sorriso spento, morto e indifferente alla vita non faceva per me. Dicevo tutto questo, infondo, perché forse riconoscevo ciò che ero stata in passato: fredda, insensibile e manipolatrice. Sembrava che avesse una prospettiva di vita tendente al macabro e all'oscuro. Sì, faceva spavento letteralmente. Anche la sua t-shirt dei Cannibal Corpse non aiutava molto. Non c'era niente che potesse farmi trovare qualcosa di positivo in lui. Era tutto negativo in ogni senso...Sembrava che la morte lo attraesse come una calamita e lo capii dal primo sguardo di sei mesi prima. Eppure aveva un fascino misterioso in quei sei mesi passati in fretta. Dopo averlo "conosciuto" ebbi la facoltà di giudicarlo per come si comportava con gli altri e con me, nonostante ci scambiassimo solo i soliti sguardi sfuggenti al mattino e del caffè versato su vestiti lindi.

"Senti, Oliver, non riesco nemmeno a sentire quello che penso con questo fracasso insostenibile" Gesticolai un po' troppo per i miei gusti. Ad ogni modo scoprii il suo nome a causa della perdita di un suo berretto di lana. Un giorno in portineria, la portinaia stessa, mi chiese di portarlo da lui; il mio caro vicino di casa da appena un mese. Io e la portinaia facemmo comunella grazie alla mia passione per il violino: sua figlia voleva delle lezioni private e ne intascavo qualche sterlina in più per beneficiare di altri confort...Spiccioli miseri. Avrei insegnato musica anche gratis! Nel berretto c'era scritto Oliver proprio come i bambini fanno sugli indumenti dell'asilo, o meglio, così sospettai.

"Oliver?" Domandai visibilmente imbarazzata, davanti a quello sguardo riluttante. Poi accennò un sorriso inspiegabilmente. Un sorriso fatto.
"Oliver" Rispose, riacquistando il suo effetto personale. Attese per altri due secondi ed io non capii. Ero totalmente in crisi davanti a quello sconosciuto, palesemente della mia stessa età, quindi un coetaneo.
"Bhe? Non vuoi un autografo?" Domandò ammiccante e con voce sibilante. Lo trovavo persino affascinante prima che se ne uscisse con quella frase.
"No che non voglio un autografo..." Seccata da quella frase da persona immatura, girai i tacchi a braccia conserte e tornai in camera. Fece uno sguardo di smarrimento. Tutti quelli belli dovevano essere dannati. Perchè? Perchè sempre? E perchè essere cosi sgarbati da chiedere se volessi un autografo?

"Questo è l'obbiettivo di solito..." Era così vago che mi fece rigirare tutto il sistema nervoso al contrario.
"Cosa? Mettermi in difficoltà?" Oliver mi guardò sorridendo, un sorriso sghembò e moribondo, ornato da piercings. Sentivo solo di odiarlo in fondo, ma non lo conoscevo abbastanza per esprimere ancora un parere completo e un po' questa cosa mi opprimeva, perchè?
"Non sentire quello che si pensa, sciocca" Sciocca. Risi ironica e strinsi i pugni per calmarmi dal mio pugile interiore che voleva rompergli il setto nasale, probabilmente impestato di cocaina. Troppi pregiudizi. Solo perchè era coperto di tatuaggi non voleva dire niente di brutto. Sembrava solo arte ambulante.
E comunque non aveva tutti i torti a dire quello che pensava...

"Sai che ti dico? Hai ragione, però potreste almeno fare più piano?" Alzai il braccio e avvicinai il pollice e l'indice per figurare il 'tantino' che bastava per rendermi felice. Socchiusi gli occhi in due fessure e arricciai la bocca, ma Oliver mi chiuse la porta in faccia dopo un cenno col capo. I membri della band ulularono all'unisono un 'ooh' e non potei che essere incazzata nera. Quella volta doveva essere l'ultima. Possibile che nessun altro dicesse niente? Nessuno poteva trattarmi così. Parlando come una pazza fuoriosa alle prese con una crisi isterica e vestita a caso, cercai di raggiungere l'ascensore. Percorsi il lungo corridoio, poi girai l'angolo, ma qualcosa andò storto... La porta di un appartamento si spalancò direttamente sul mio viso. Ma quale architetto intelligente farebbe mai aprire le porte all'esterno? Era una cosa troppo assurda ed incoerente per chiunque, anche per una persona con un quoziente intelletivo pari a Dora l'esploratrice. Manco winnie Pooh apriva la porta della tana in quel modo.

"Scusami, scusami, scusami davvero tanto" Mugugnò a raffica qualcuno di indefinito. Guardavo per terra e premevo la testa con la mano. Se ci fosse stato del sangue, quelle gambe che vedevo sarebbero sicuramente state dimezzate e squarciate con la sola forza del pensiero. Non ci voleva proprio in quel determinato momento. Oliver mi aveva appena snobbato, come sempre se non di più e l'indifferenza la odiavo. La detestavo. Mi uccideva, mi faceva montare una tale rabbia dentro...Forse perché nella vita sono sempre stati tutti abbastanza indifferenti alla mia persona. Lanciavo solo ipotesi di auto psicoanalisi.

"Ti senti bene?" Domandó un ragazzo dalla voce decisamente particolare. Pensavo fosse una donna, poi vidi il suo viso, coperto dalla folta capigliatura: somigliava a quella di Oliver e la cosa mi destabilizzò parecchio... Un viso amichevole, dagli occhi gioiosi di natura e colmi di felicità. Facevano molto effetto a dire la verità. Così verdi...Ci mancava poco che venissero occultati da quei capelli pseudo lunghi. L'accento lasciava a desiderare che fosse Americano.
"Un vero tocca-sana ricevere porte sul cranio. Te lo garantisco" Mi alzai da terra e scrollai i vestiti. Non servì per renderli più presentabili, ma non sembrava importare al momento.
"Posso rimediare" Un espressione di disappunto coronava il mio umore pessimo.
"Lascia che ti porti da un medico"
"Per una porta in testa?" Risi ironica. "Tu non hai idea di quante cose in testa ho preso e sono ancora viva, davvero"

Per quanto potesse sembrare una frase sconcia e priva di pudore, era la verità. Dovetti dare un punto a favore a quel viso innocente che si ritrovava. Gli occhi sgranati ne sottolineavano la bellezza giovanile.
"Non voglio avere problemi neurologici sulla coscienza, credimi" Sorrise tirato e abbassò lo sguardo imbarazzato.
"Te ne prego, fidati di me" Implorò, reggendosi al mio braccio.
"Te ne prego?" Che? "Pensavo che non ci fossero più persone che usassero questo termine forbito" Cercai di simpatizzare con lui; sembrava un ragazzo simpatico e premuroso, tutto ciò che non era Oliver, ma nemmeno io. Avevo trovato un esempio di persona che completava l'altro lato della mia medaglia.

Non era il primo e non sarebbe stato l'ultimo. Ad ogni modo dovevo sistemare le cose con Oliver, tramite le lamentele anonime, per salvaguardare la mia sanità mentale: non avevo tempo da perdere da un medico che mi avrebbe detto che sto bene e che sono sana come un pesce.

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora