36. Right From the Start

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La mia testa mi stava cacciando e il mio cuore lo sentivo come un fantasma. Avevo bisogno di sentire qualcosa, perchè ero ancora molto distante da casa. Avevo bisogno di lei, perchè era tutto ciò di cui avevo bisogno, tutto ciò che vedevo. Non l'avevo seguita...E mi sentivo un eretico in terra. In compenso mi avevano piazzato in un luogo terrificante; faceva veramente venire i brividi...Sembrava tanto un ospedale psichiatrico piuttosto che un centro d'aiuto per tossico-dipendenti. Secondo la psicologia, i muri celesti dovrebbero infondere un senso di tranquillità, in me risegliavano solo il cielo condiviso con Carter e quegli uccellini. Non facevano altro che ricordarmi di lei anche quando cercavo di convincermi che non c'era più. Non avevo ancora scoperto se fosse viva o morta, e questo mi teneva sulle spine giorno dopo giorno...Stavo per far esplodere la mia rabbia, lo sentivo. E la cosa più tremenda ancora, era che io venivo sempre definito come uno spirito libero. Nessuno e niente si legava a me, o meglio, qualsiasi soggetto poteva legarsi a me, ma io non a questo. Sempre pronto al carpe diem, tranne questa volta. Questa volta ero rimasto piacevolmente legato ad un ramo di quegli alberi che sanno di libertà. Il mio ramo si chiamava Carter, ed è un rampicante che cresceva intorno al mio cuore. La linfa che giovava alla mia solitudine dentro a quel vortice di tristezza che stavo vivendo dentro a quel centro.

Per lo più eseguevamo lavori manuali o di aiuto alla città. Io mi occupavo generalmente di orto botanica e nel weekand, la mia mansione, era quella di sistemare i libri in biblioteca. Tutto questo serviva per tenerci fuori dal circolo della noia che, spesso, è la causa dell'abuso di droghe. Tutti i giorni stesso orario, stesse cose, stessi drogati messi peggio di me. Odiavo questo senso di oppressione. Volevo scappare. In oltre, come ciliegina sulla torta, eravamo divisi in due sezioni per evitare determinate situazioni: maschi e femmine. Non che avessi bisogno di sfogarmi sessualmente...Anche se la cosa non sarebbe stata tanto male, ma non con una drogata con chissà quali malattie veneree. Il mio chiodo fisso era lei. Volevo farlo con lei. Molto spesso, nei miei momenti intimi con me stesso, immaginavo come sarebbe stata la nostra prima volta. Molto strano per come mi conoscevo.

Mi dedicai all'orto quella giornata. Non ci fu momento in cui non pensai a come scappare da quella reclusione forzata...Non che fossimo in carcere, ma ero in astinenza oltre che chiuso a fare lavori socialmente utili. Sembrava di stare a scuola, in un certo senso. Guardavo dall'altro lato nella vana speranza di trovarla a scavare in un vaso di terra, nel lato femminile, ma ogni giorno ero sempre più convinto che lei fosse morta. Mi mordevo le labbra a sguardo basso per evitare di far vedere gli occhi gonfi di lacrime. Era riuscita a farmi battere il cuore dopo anni ed anni. Avevo dei sentimenti e non li volevo addosso. Questo era un attaccamento emotivo a lei o amore? Avevo tanta paura di averla persa, ed essendo sempre più sicuro che non respirasse più, in quel momento reagii; presi la pala e ruppi un vaso in mille pezzi, con cosi tanta brutalità che mi rinchiusero in stanza fino al giorno successivo. Una mossa azzeccata. Volevo pensare a come farla finita. I drogati, tatuati come me non avevano un futuro nel mondo del cazzo in cui vivevo. Tutti in preda ai pregiudizi. Basta.

Dormii fino al giorno successivo. Forse in biblioteca avrei trovato un po' di pace ai miei tormenti. Era sabato e avevo l'umore a terra, frantumato in mille pezzi. Ero sull'orlo di una forte depressione. Queste cose si avvertono quando accadono.
Mi recai in biblioteca. Respirai quel piccolo senso di libertà che mi era concesso e vennii poi rinchiuso di nuovo in quattro mura. Una ragazza molto affascinante, quella di sempre, istigava i miei pensieri più perversi. Si atteggiava sempre a modo, provocava i miei sensi nonostante sapesse che non potevo permettermi di toccarla. Sapeva chi ero e si teneva stretta la possibilità di vedermi ogni weekand. Odiavo tutto quanto di quei mesi che stavo passando. Le attenzioni che le facevo mancare, a quella povera ragazza, la resero odiabile come tutto il resto.
"Sei diventato proprio un rammollito: avevano ragione" ringhiò al mio orecchio come la voce di un diavolo sulla spalla.
"Chi lo dice?" Domandai arrendevole.
"Sono voci...voci che corrono su di te ormai da tempo immemore"
Scossi la testa in disaccordo più completo. Purtroppo quelle voci non erano del tutto false, ma non riuscivo a reagire a quello che sentivo. Avessi reagito sarei morto.

Lei si sedette su un tavolo proprio davanti a quello che stavo riordinando. Aveva una gonna impercettibile che inizò a mettere solo dalla settimana dopo aver capito che sarei stato lì ogni weekand sistematicamente. Aprì le gambe e si lasciò guardare. Non la desideravo affatto, desideravo solo che fosse Carter. La mia Carter...Mi mancava sempre di più. Stavo passando i mesi senza di lei come un purgatorio, peggio di quando la sapevo in America con Kellin.
"Sei proprio un gay, Sykes"
"Anche se fosse? Non c'è nulla di male" Tagliai netto, posando un libro su uno scaffale.
"Secondo me non ti tira nemmeno più" Si prese beffa di me ridendo così tanto da scatenare la belva feroce che era rinchiusa in me da fin troppo tempo.

Mi calai i pantaloni quanto bastava e le afferrai i fianchi prepotentemente. I suoi ansimi spaesati mi fecero, ecco, eccitare. Da giovane uomo era comprensibile una cosa simile. Non ebbi bisogno di sfilarle nulla, non portava niente per coprirsi le parti intime. Le strinsi i fianchi forte da farla gridare, ma non poteva. Se ci avessero visti o sentiti sarebbe stata la fine di quel rapporto sessuale per sempre e lei voleva questo da me, ma io non questo da lei, anche se stavo facendo solo il contrario, lo so. Risultai incoerente anche a me stesso. Il posto dov'eravamo era riservato, dunque non sarebbe passato nessuno. Iniziai a penetrarla violentemente. Lo sentivo nei suoi gesti che non le piaceva affatto, ma ben gli stava. Mi piaceva sentire che provava un dolore atroce...Un po' come quando alzai le mani su Amanda.

Mi implorava di finirla e si contorceva per staccarsi dalla mia morsa. Non appena riuscì a liberarsi si ricompose tremante e solo dopo mi accorsi della chiazza di sangue denso che aveva macchiato il tavolo e le mie parti intime. Collegai solo in un secondo momento che diavolo avevo combinato.
"Non dirmi che..." Pronunciai piano.
"Questa sarebbe stata la mia prima volta..." Si ripiegò su sé stessa con gli occhi colmi di rimorso. Non mi sentivo così in colpa...Lei mi aveva istigato come solo una escort può fare e ci ero cascato. Per la seconda volta avevo trattato male una donna. Avevo rubato l'anima pura di quella giovane ragazza. Almeno poteva dire in giro che il cantante dei Bring Me The Horizon l'aveva strappata dall'essere vergine. Ma che cazzo stavo pensando?! Era un altra tragedia da coprire. Un altro fatto che non sarebbe mai dovuto venire a galla.

La presi piano tra le braccia, ma aveva paura di me. Immaginai se solo Carter mi avesse respinto in tal modo come ci sarei rimasto male. La rassicurai e la implorai di aggiustare tutto in modo che le cose sarebbero andate in modo diverso. Feci sesso con lei più piano, in modo da farlo sembrare quasi amore. Non la guardai mai negli occhi, pensavo solo al piacere immenso che stavo provando. Piacere puramente carnale. Per non combinare ulteriori disastri, venii altrove. Lei non avrebbe parlato di questo con nessuno grazie alle mie parole confortanti. Le promisi che se avesse voluto ci sarebbero state altre volte, purtroppo, ma dovevo pararmi il culo...Ancora. Carter mi avrebbe ripudiato se solo fosse venuta a conoscenza di quello che stavo facendo. Già la violenza su Amanda non l'aveva destabilizzata a dovere, dopo la seconda non si sarebbe mai sentita al sicuro tra le mie braccia. Cazzo, Sykes...Sei un coglione. Non la meriterai mai.

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora