3O. Is funny

592 50 6
                                    

Il mattino successivo fu uno strazio unico. Appena ebbi maturato la mancanza di mio padre, ecco arrivare una flotta di persone piangenti riportarmi sul fondo.
Volli dimenticare subito tutto quanto e chi meglio di Emma poteva capirmi al momento.
Nel tragitto a piedi, mentre attendevamo che il semaforo divenisse verde, fissai un ragazzo su una panchina antistante alle strisce pedonali. Emma parlava e parlava, ma io ero fissa a determinare l'identità di quel ragazzo mal seduto sulla panchina. Poi un bus passò ed il ragazzo come un soffio di vento, svanì. Iniziavo a preoccuparmi del fatto che la cocaina mi avesse dato letteralmente alla testa. Ne volevo ancora ed il più presto possibile.
Dopo una miriade di strade intersecate mi portò nell'unico punto di ristoro approvato da entrambe: Starbucks. Ero una persona monotona, lo sapevo, ma essendo insicura avevo le mie piccole certezze.

Emma mi raccontò del suo infinito amore per Jordan e di quante ne avevano passante, ma io non mi sentii veramente pronta a parlargli di tutta quanta la storia tra me, Oli, Kellin e Gabe.
"Sei sempre così immersa nei tuoi pensieri..." Arrivò al mio orecchio d'un tratto.
"Scusami"
"No, non scusarti. Vorrei solo riuscire a capirti" Era la stessa identica frase che avrei voluto comunicare ad Oli, le stesse sensazioni.
"Non c'è nulla da capire, Emy, sto solo molto male in questo perido e continuo a non capire come sia morto papà. Fosse stato per cause naturali nessuno avrebbe pianto così tanto" Ammisi sedendomi sulla stessa panchina dove era seduto quel ragazzo. Emma restò in piedi col bicchiere tra le mani.

"Per tutto questo tempo non hai saputo di papà?" Domandò per poi sorseggiare la sua bibita.
"Evidentemente...no"
"Okay, promettimi di non starci troppo male, perchè sono cose difficili da accettare: io e la mamma ci abbiamo messo un bel po' e sapevamo che prima o dopo sarebbe successo...Che ci avrebbe lasciati tutti quanti" La invitai a continuare col capo, abbastanza scossa e nervosa.
"Papà ha sviluppato una grande dipendenza, mio Dio, tante grandi dipendenze, tra cui l'alcol e...La droga"
Mi cadde il mondo addosso in due secondi, ma lo capivo, anche se solo per metà.
"Perchè?" Domandai a sguardo basso.
"Il nostro abbandono del nido, il tuo non-ritorno a casa, l'ha portato a ingerire anche delle pasticche dopo la sua solita alzata di gomito"
"che tipo di pasticche?"
"Ketamina...era nascosta ovunque in casa. Era una situazione spaventosa. Mamma la trovava dovunqe: nelle tazze della credenza, nelle federe dei cuscini, dentro la cassa armonica della chitarra acustica...Veramente ovunque"

Ci rimasi così di sasso da avere le mani tremanti. Sperai vivamente che le mani mi tremassero per quella notizia scioccante e non per l'astinenza che stava facendosi viva ora dopo ora. Necessitavo anche di una bella sigaretta per smaltire tutto quel casino angosciante che mi stritolava l'aura positiva...Ma di che mi illudevo; l'aura positiva non esisteva più. Non sapevo nemmeno cosa fosse un aura.
"Non ho parole" Tagliai corto.
"A chi lo dici" Disse in tono sommesso, poi proseguì.
"Eppure sembri così insensibile a questa cosa terrificante e segnante che è appena accaduta...Ma come puoi?"
Non ressi più la pressione.

"Ascolta, Emma. Sono stata 8 mesi da sola, con un cazzo di titolo di studio in mano lavorando da Starbucks. Metà del guadagnato andava via in affitto e cibo. Non avevo nessuno ad Ashford. E per la cronaca, arrivo direttamente dall'Oregon, America, ok? Sono scappata facendo l'amante di un americano dagli occhioni troppo dolci. Dolci tanto da avermi lasciata sola sempre, tutti i giorni per 2 mesi. Ci vedevamo solo la sera e per qualche ora. Ho iniziato a farmi di cocaina con un ragazzo che voleva essere pagato in natura tutto questo per scappare da un ragazzo che mi sta tormentando l'esistenza: lo vedo in ogni dove, cazzo"
Sparai tutto quanto ad una velocità inaudita. Mani tremanti e pianto agli occhi. Mi toccai i capelli e abbassai il capo alle ginocchia.
Emma non sapeva cosa fare; boccheggiava e cercava di fare domande alle quali non riceveva risposta. I suoi biondi capelli fioravano il mio braccio. Si era seduta accanto a me.

"Chi è questo ragazzo?"
Balbettante cercai di mettere insieme una frase.
"Ho bisogno di tabacco..."
Lapidariamente, e non negai anche con molto stupore, fece comparire dalla sua borsa delle Whinston blue centos. Ne cacciai in bocca una e provai a rilassarmi, a distendere i nervi. Non la credevo una fumatrice, non mia sorella, ma peobabil
"È una cratura interessante dagli occhi vuoti che celano cose che ritengo spaventose ancora prima di scoprirle" Inspirai e continuai. "È un tipo strano, tenebroso, molto chiuso e riservato nei riguardi dei fatti suoi...Ha gusti singolari"
"Un po' come Christian Grey? Oddio, Carty!"
"Finiscila...Parlo seriamente" Mi strappò un micro-sorriso. Tremai sempre di meno fino a calmarmi, ma il tremore di fondo rimeva, come quasi una punta della sindrome di parkinson. Avevo paura, ma lo nascondevo molto bene. Tutto ciò che si vedeva era solo puro panico. Era già tanto che non avessi degli attacchi evidenti...Di solito il tremore preveniva questo.

"Possiamo andare a casa...Ho molto freddo" Scusai il mio tremore in quel modo assurdo a cui lei abboccò senza il bisogno di forzature. Annuì teneramente e mi tenne stretta fino all'uscio di casa, o meglio, quella che una volta era casa. Adesso era tutto quanto distrutto, caduto rovinosamente in pezzi. Salutai mia madre con un lungo e stretto abbraccio e mi rintanai in camera, quell'orrenda cameretta arredata da mobili bianchi su sfondo rosa cipria. Mi accorsi di quanto fossi cambiata, anche se non di moltissimo come si può immaginare...Ma questa era solo una mia opinione.
In America mi ero acculturata musicalmente, avevo plasmato i miei gusti e deciso la mia personalità. Quella stanza, se ci avessi abitato in quel momento, sarebbe stata bianca e nera; la contrapposizione del bene e male, dell'ingenuità che mi avevano estirpato e il male che mi stava mangiando.
Mi sdraiai sul letto e cercai di dormire, ma avevo solo una necessità che mi teneva sveglia, che mi teneva in vita. Avevo bisogno di drogarmi. Il mio organismo necessitava quello per poter andare avanti, quasi come necessitava di cibo e acqua.

Mi contorsi nel letto così tante volte da non tenerne nemmeno più il conto. Stavo seriamente male psicofisicamente. Il malessere che provavo mi portò ad urlare qualche volta prima che qualcuno venisse in mio aiuto. Avevo gli occhi chiusi, non sapevo chi fosse entrato, richiudendo poi la porta alle proprie spalle. Era sicuramente Emma, la riconubbi dalla voce. Mi porse una busta piena di strani composti simili a pillole, tra le mani. Il suo tono era davvero disperato e apprensivo.
"Ti prego, prendine una ogni volta che ti senti così, non voglio vederti stare così male" Emma scoppiò in copiose lacrime, così io feci ciò che l'avrebbe resa felice. Non sapevo cosa fossero quelle dannate pillole, ma ne ingurgitai una e mi voltai con il capo verso la sedia accanto al comodino. C'era seduto Oliver sempre con lo stesso cappuccio sulla testa. Annuiva comunicandomi di aver fatto la cosa giusta. Teneva le mani giunte ed un sorriso rilassato come quello che portava su quel divano, dopo il secondo joint.

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora