Un altra mattina cominciò proprio come il medesimo inferno. Un angoscia terribile mi assillava già dalla prima visione del soffitto. Fingevo terribilmente male che andasse tutto bene. Non potevo tardare ancora al lavoro o l'avrei perso...L'unico lavoro che trovai nella piccola grande Ashford. Mentre mi sedetti sul letto ricomponendo la coda di cavallo sfatta, guardai sul comodino e ci ritrovai la scatola datami da Kellin la sera del concerto. Non avevo ancora sostituito il telefono distrutto, così tra una cosa e l'altra lo attivai con leggerezza inserendo la vecchia scheda telefonica. Lo ringraziai fortemente per quel regalo, mi sentii un po' più sicura di me stessa nel destreggiare tra le mie mani, insomma, un oggetto di tal valore.
Chiusi la porta distratta dall'innovazione che portavo tra le mani. Avevo l'orario sotto controllo e la sicurezza sotto braccio. Premetti il pulsante dell'ascensore per prenotarlo. Poco dopo sentii dei passi provenienti dal mio corridoio avvicinarsi; avvertii una vampata di calore inondarmi l'animo solo al pensiero che potesse essere Oliver. L'orario ora quello solito, quello in cui lo incrociavo sempre. Strinsi i denti e sperai fino all'ultimo che non fosse lui, poi mi tranquillizzai nel pensare che non avevo nessun motivo per agitarmi tanto, credevo. Quello che c'era stato lo scorso pomeriggio non rendeva le cose facili, inteso come scelta di come comportarsi nei suoi riguardi. Era semplicemente una situazione del cazzo.
I passi di arrestarono d'un tratto ed un sospiro lieve mi riportò alla realtà. Alzai impercettibilmente lo sguardo e vidi Kellin, proprio lui, con uno zaino sulle spalle, avente l'aria di una persona che era tutt'altro che fiduciosa nei miei confronti. Lo seguii mentre proseguiva al contrario il percorso fatto pochi secondi prima, richiamandolo varie volte.
"Kellin, aspetta!" Esalai in un grido strozzato. Non potevo urlare in quei corridoi.
"Non ti preoccupare: prenderò le scale" Frecciò freddo. Quella frase mi uccise, arrivò dritta al cuore, perchè ero riuscita a ferire anche un animo dolce e buono."No, no, aspetta" Riuscii a toccargli la spalla prima che potesse sparire nella tromba delle scale. Esso si voltò e, magnificamente, i suoi occhi riuscirono a scaldarmi nonostante fossero pieni di rancore. Avrei voluto affondare le dita in quei capelli che alla vista sembravano così morbidi e vellutati, un po' come le sue labbra...Non le avevo mai assaporate, ma era quello l'effetto che mi facevano di primo acchitto. Lui fece scorrere le sue iridi tra le mie cuoriose, lo vidi chiaramente; esattamente come lo vidi deglutire un secondo dopo. Si trovava a disagio nel comportarsi in quel modo. Non erano le sue vesti, non era così lui.
"Carter...Che c'è?" Non trovavo le parole per potermi approcciare, ma non volevo di certo che sparisse così dopo avermi vista."Kellin, perchè hai reagito così?"
"Stai scherzando, vero?" Domandò lui con un sorriso beffardo e spento sul viso. Abbassò lo sguardo. Giocò un attimo con la lingua all'interno della bocca, poi tornò a guardarmi negli occhi, a puntarmi quei riflettori addosso come solo lui riusciva a fare. Scossi la testa lievemente.
"Sykes. Ecco perchè reagisco così, cazzo. Come fai a non capire? Mi ha preso a pugni sul naso e quasi per poco non mi rompeva il setto, tutto questo per te! Solo per te! E vuoi sapere perchè?!"
Abbassai lo sguardo senza dire una parola. Mi sentivo una stupida.
"Perchè io provo dell'interesse nei tuoi confronti. Non un bacio, non un nulla ti ho donato, ancora, se non quel telefono che porti in mano...Qualcosa di fottutamente materiale. Che schifo. La mia ricompensa? Un pugno sul naso. E vedo anche che la concorrenza sta riuscendo ad avere la meglio. Sai, alla fine i duri, quelli che si fanno vedere più forti hanno sempre la meglio e conquistano quello che vogliono. Non resta che arrendermi al suo volere"Scossi la testa per sottolineare il mio forte disappunto. Aspettai qualche secondo per poter rispondere con lucidità, ma tarpiò ogni mio tentativo di replica.
"Domani mattina parto per l'America, Carter. Torno a casa. Il mio lavoro, il concerto, la pubblicità, tutto fatto" Mi sfilò di mano lentamente il telefono, volle che glielo sbloccai e in tutta probabilità salvò il suo numero all'interno. Mi sentii male solo al pensiero di ciò che aveva detto. Il fatto che partisse era surreale, quasi una finzione, ma era la pura verità, Kellin se ne sarebbe andato, forse per sempre. Volevo questo? Non lo sapevo...
"Non puoi andartene!" Esclamai in tono rabbioso, ma non ero affatto arrabbiata, solo sconvolta.
"Non sarei rimasto per sempre, lo sapevi"
"Nessuno è mai rimasto per sempre, che sciocca sono stata a pensare che stare bene con te non sarebbe poi stata una cosa permanente..." schioccai le labbra e feci per andare."Carter, se vuoi che qualcuno resti, devi volerlo e combatterlo fino alla fine, ma io sento che Oliver è la persona che vuoi. La tua vita è qui ad Ashford, in Inghilterra, Europa! Con lui sarebbe tutto più facile...Io vivo a Medford, Oregon, America...Non riusciremmo mai a far funzionare una cosa simile"
Giurai che in quel momento non avrei pianto nel sentire delle cose simili, ma non potevo negare che mi smossero particolarmente. Facevano anche male a dire la verità. Dovevo rispondere a tutto ciò, come meglio potevo.
"Nella mia vita niente è stato facile, ho sempre scelto la trada più difficile. Sono incappata in tanti guai effettivamente, ma questa volta la strada più semplice credo sarà la migliore"
I nostri sguardi tristi e coscienti fosse un addio, lasciarono trapelare la commozione. Avremmo potuto anche non vederci più, sicuramente sarebbe stato così...Feci di nuovo per andare, lui scese un gradino, ma la sua voce mi richiamò nuovamente.
"Sta attenta quando desideri utilizzare quel numero, le chiamate internazionali costano parecchio"
"Non so se avrò anche il coraggio di chiamarti" chiusi e voltai le spalle alzando il passo il più velocemente possibile. Dovevo ritrovare la corazza da mettermi addosso, quel ragazzo maledetto riusciva a spogliarmi con la sola forza di una suo sguardo dolce, senza cadere nel peccaminoso; mi spogliava solo del mio animo protettivo.Ero in ritardo spropositato, proprio quello che non ci voleva assolutamente. Marvin strabuzzò gli occhi non appena posò gli occhi su di me. Mi preparai di tutta fretta per lavorare. C'era seriamente il pienone. Tra un cliente e l'altro Marvin riuscì a proferire parola con me.
"Ci sono delle notizie che ti riguardano"
Lo guardai accigliata mentre scrivevo un nome su un bicchiere e portavo avanti la fila.
"I piani alti ti hanno inviato dei documenti..." inspirò dispiaciuto. Sembrava tenesse alla mia persona, ma non capivo perchè, insomma, non avevamo mai scambiato un dialogo serio da amici, figurarsi da colleghi. Il mio sesto senso fece si che pensai fosse per via di Oliver.
"Okey" Tagliai corto.Finito il grande pienone mi misi a leggere i documenti fatti presenti da Marvin.
Sig.na Carter Davis.
Siamo spiacenti di comunicarle che la sua preferenza di fascia oraria lavorativa è stata revocata a causa di ritardi ripetitivi senza alcun preavviso.
Le comumichiamo che il suo nuovo orario di lavoro sarà dalle 14:00 alle 18:00.
Cordiali saluti.Abbassai il foglio con violenza sulle gambe. Sbuffai e voltai gli occhi al cielo.
"Che ti hanno detto, cara?"
"Spostata" Emisi solamente, roteando gli occhi al cielo.
"Il primo ritardo non è stato giustificato?" Domandai premendo le dita sulle tempie. Avevo cosi lasciato cadere il foglioin terra in piccoli volteggi.
"Devi avvisare prima, non giustificarti" Detto questo tornò al lavoro. Io feci lo stesso.
Avevo lo sguardo basso sul nuovo telefono, ma lo alzai giusto in tempo per sostenerne uno visto troppe volte, immerso tra altri ragazzi visti di sfuggita."Okey, dolcezza, vedi di muoverti e fammi il solito" Parlò Oliver. Fu come un coltello impiantato dritto nelle costole, quella richiesta maleducata, seguita da un sostegno da parte di alcuni della band.
"Ricordami come ti chiami, scusa" Lasciai intendere che fosse una nullità e non aveva il diritto di arrogarsi certi privilegi e sfacciataggine. E io che pensavo di trattarlo meglio e aprirmi a lui come quella volta in camera sua...Solo una stupida: ecco cos'ero.
"Lascia che ti rinfreschi la memoria" Prese un bigliettino da visita sul bancone ed una penna dalla parte totalmente opposta da dove lo servivo. Solo pensare alla parola servire mi faceva ribrezzo. La cosa che più mi fece rabbrividire fu il sostegno degli amichetti con dei versi da primitivi idioti retrogradi. Non si avvicinavano neppure all'uomo erectus.
Ci scrisse su un numero di telefono. Aveva visto il mio nuovo gioiellino e ne avrebbe approfittato. Lo poggiò poco più avanti del cartone contenente il frappuccino. Servii gli altri e strappai quel foglietto davanti ai suoi occhi con uno sguardo di pietra abbinato al suo ghigno da duro.Aveva fatto male, molto male e non sarebbe passato così in fretta questa volta. Il dolore che mi causava sarebbe stata davvero la mia salvezza? Al momento non lo credevo affatto possibile. Vivere senza di lui lo sarebbe stato? Sarebbe stato possibile? No, affatto. Ero così combattuta che dentro di me pensavo ci fossero entrambe le guerre mondiali condensate. Mi sentivo davvero una pezza da piedi, questo è sicuro. Una bambolina schiava degli avvenimenti. Dovevo riprendere possesso della mia vita.
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Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017
FanficOliver Sykes è un ragazzo Inglese dalla vita molto breve, ma intensa. Intento a vivere solo 27 anni della sua vita, un giorno, si troverà a decidere se suicidarsi come prestabilito il giorno del suo ventisettesimo compleanno o seguire il suo cuore c...