61. Don't Tell me you're Happy

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Dopo 8 mesi arrivò la calma piatta, a parte gli urli straziati della mia piccola Johanne. Era una graziosissima femminuccia...Avrei scomesso sarebbe stato un maschio, e invece! Per mamma non sarebbe stato un probema tenere Johanne mentre lavoravo, ma anche lei doveva lavorare sodo per ancora qualche anno. Decidemmo così di assumere una tata per ovviare al problema. Molte persone bigotte si presentarono sull'uscio di casa, anche persone straniere e, alla fine, optammo per un giovane ragazzo molto carino. Lavorava part-time al market dietro casa. La sua storia mi prese davvero molto...Aveva perso la madre e si era preoccupato di crescere sua sorella tutto solo; per questo mi sentivo sicura nel potergli affidare Johanne. Persone del genere hanno buon cuore e premura da vendere.

Era un altro pesante giorno lavorativo in cui tornavo a casa alle 21:00. A testa bassa entrai in casa, salutando, poi, la famiglia al completo: Johanne,  mamma e Davis. Mi tolsi il cappotto e non feci in tempo a poggiare il lato B sul divano che alla porta qualcuno bussò. Stanca morta, feci per alzarmi, ma Devis fu così gentile da presentarsi lapidariamente prima di me ad aprire, preceduto da un: 'ci penso io, rilassati'. Rimasi ugualmente con le orecchie vigili.
"Dov'è Carter? Tu chi diavolo sei?"
Quella voce mi fece rizzare in piedi. Non l'avrei mai dimenticata. Per nessun motivo al mondo. Ci si innamora solo una volta nella vita...
Mi avvicinai velocemente alla porta e la spalancai con riguardo, in modo da non attirare troppo l'attenzione di mia madre e per non svegliare Johanne.
"Che ci fai qui?" Dissi monotono.
Il suo viso misto tra arrabbiatura e incomprensione riguardo a chi fosse Davis, mi faceva venire ugualmente dei tuffi al cuore pazzeschi.
Le sue espressioni già a me note che collegavo alle situazioni vissute, la sua voce, il suo charm...Stavo più male che bene a guardarlo...

"Sono venuto per parlare con te, chiaramente"
Sconcertata, girai lo sguardo altrove. Il suo fascino mi colpì ugualmente. Le farfalle nello stomaco che provavo ancora, quando lo vedevo o solamente ci pensavo.
"E chi ti ha detto che mi sono stanziata qui?"
"Persone" rispose coinciso.
Sbuffai e assunsi un espressione accigliata.
"Cosa vuoi?" Ringhiai nervosa. Stavo per perdere il controllo. Mia madre richiamò il mio nome, seguito da un 'tutto ok, lì?'. La rassicurai a distanza, ma non fu abbastanza per tranquillizzarla al cento per cento.
"Carter, ne hai ancora per molt...Oliver, sei davvero tu?"
"Si, sono Oliver...Sykes" Rispose incespicando.
"So bene chi sei, abitavi proprio qui di fronte. Hai lo stesso viso inconfondibile. Non ricordi della nostra famiglia?"
Mia madre ancora non accennò alla paternità di Oli; avevo paura di dirglielo, ma era un dovere farlo. Speravo solo che ci sarebbe stato un altro momento per confessargli tutto.

"No...in realtà"
"D'accordo. Finiamo di parlarne qui fuori. Torno subitissimo" mia madre annuì perplessa. Sapevo che avrebbe guardato fuori dalla finestra come quando si voleva assicurare che stavo incamminandomi per andare a scuola, da piccola.
Mi chiusi la porta alle spalle e scesi due gradini per raggiungerlo.
"Carter, sto davvero di merda. Non potrei stare peggio, davvero. Il nostro bambino se n'è anche andato... Non volevo questo"
Sfuffai e sorrisi nervosa. I nervi saldi e la mascella serrata.
"Se non volevi questo, dovevi pensarci prima. Questa frase vale per un sacco di altre cazzate che hai combinato con me. Sono stanca, esausta, spolpata all'osso. Fammi vivere la mia vita, cazzo. Sparisci una volta per tutte. Non ti rendi conto di quanto tu possa far orrore davanti ai miei occhi, dopo tutto quanto?"
Oli abbassò il capo in segno di sottomissione. Si torturava le mani tatuate rigirandole su loro stesse. Rimasi a braccia conserte a osservare la sua distruzione, eppure mi faceva male dirgli tutto ciò. Anche se era la verità, mi ferivo anche io rinunciando all'amore che determinavo il più intenso che avessi provato nella vita. Forse non il più bello, ma intenso sicuramente. Pieno di cazzate e di buone cose, anche se poche.
Ragionando lucidamente, erano più le cose oscene ad avere la meglio rispetto a quelle buone, eppure quelle buone le ricordavo bene. Le conservavo nel cuore e, a pensarci, si scamdava un po'.

"Ho capito..." Lo sentii dire questo con voce rotta. Si sedette a peso morto sui gradini che avevo oltrepassato poco prima. Mi intenerii per l'ennesima volta e mi sedetti accanto a lui. Fui cretina nuovamente.
"Oli, non puoi dirmi che non hai avuto miliardi di occasioni per fare giusto con me...Quante possibilità ti avrò dato?"
Si passò il dorso della mano sotto il naso.
"Un po'..."
"Non mi va poprio di prendere la decisione di lasciarti e 'a mai più rivederci', però è necessario. Io non posso soffrirne ogni giorno, ogni settimana, ogni sempre...Non è giusto. Converrai con me che è sbagliato come concetto di amore, figurarsi avere un figlio insieme...è stato meglio così"
Sentenziai pacata. Lui prese e si alzò. Andò dritto per la sua direzione e non ebbi modo di placarlo o anche solo salutarlo. Provai a chiamarlo un pajo di volte, ma non ci fu nulla che potei fare. Tremai un po' nel vederlo andare via, ma la sua assenza, quella volta, era paragonabile allo strappo di un cerotto. Le altre erano marchi a fuoco sulla pelle viva.
Non dovevo starci dietro, però. Era venuto il momento di dire basta in tutto e per tutto.
Dentro di me, tanto, sapevo che non sarebbe mai stato un basta. Non era un segno a matita da poter cancellare; lui era un segno a pennarello indelebile. Quel segno che anche se lo sbianchetti vedrai sempre...Lo sbianchetto crepa e lui è ancora lì sotto.

Rientrai in casa e mia madre mi assalì immediatamente di domande.
"Perché non mi ci hai fatto parlare, Carter? È pur sempre il padre di Johanne!"
Scrollai le spalle e mi feci forza.
"Mamma, non è così semplice... Sopratutto perché lui crede che Johanne non sia mai nata. Forse è meglio che non lo sappia, per l'incolumità di tutti quanti"
Mamma sbuffò e si massaggiò le tempie.
"Sei un disastro, Carter...Una mina vagante..."
"Ne sono consapevole. Non mettere il dito nella piaga"
"Il perdono libera l'anima"
"Ma non quella di un tossico del cazzo! Va bene?"
Davis mi poggiò una mano sulla spalla, una volta che mi lasciai andare a peso morto sulla poltrona in salotto. Mi veniva da piangere come non mai. Averlo visto mi smosse qualcosa dentro. Mi portò a ricordarmi di ogni minimo ricordo imperscrutabile, anche se mi ero ripromessa di non voler ricordare mai più.
Non potevo comadare al cuore. Mi sentivo ancora presa da una persona che mi avrebbe dato solo male. Ma allora perché tutto questo? Allora perché il destino mi aveva dato un figlio? Perché mi vuole così male da farmelo incontrare e ridurmi così?

Ma che avrei dovuto fare? Andare a riprendermelo? Anche se il mio era un 'no' abbastanza risoluto, ero convinta del contrario. Non avevo idea di cosa avrei dovuto fare: agire o aspettare che qualcosa sarebbe successo?
Forse era arrivato il momento di attendere che qualcosa di buono sarebbe arrivato...

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