51. Cross Your Heart

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Le cose andavano peggio di prima. Non potevo non biasimarmi. Mi odiavo. Ero al limite della sopportazione delle mie stesse scelte.
Ero deluso da me stesso. Come potevo fare delle cose e non essere d'accordo di farle contemporaneamente, non sapevo come fosse possibile. Hannah mi aveva chiesto di vederci circa un mese dopo e il disco già era stato pubblicato. Il fatto che si chiamasse Sempiternal (perpetuo), sembrava quasi un aforismo. Il ribrezzo che provavo effettivamente era perpetuo; non finiva mai. Sospirai esasperato dai pensieri. Mi rigiravo nel letto accanto a Carter. Non avevo dormito tutta la notte. Avevo visto la luna, gli avevo fatto compagnia alla finestra durante il suo lavoro solitario ed avevo visto il sole scacciarla via con calma. Riflettendo, avevo paura di pensare che Carter ed Hannah stessero girando intorno a me come il sole e la luna. Dovevo porre fine al mio essere Terra e dovevo farlo io, ma non avevo le palle per farlo. Era tutto così semplice...Hannah mi aveva lasciato e dovevo far si di non riprenderla con me, invece feci tutt'altro...

Non potevo sopportare tutto ciò, non più. Le ragazze dovevano essere uno dei problemi di cui un cantante di una band non doveva occuparsi, ma io non ero come gli altri, o meglio, gli altri non erano come me. Non che mi ritenessi speciale, ma in qualche modo ero diverso.
Rimasi tra le lenzuola a fissare il suo viso rilassato, i capelli intrecciati alla mano posta sul cuscino, il tutto illuminato da una lieve luce filtrata dalle tende. Era molto presto, dovevano essere le cinque del mattino.
Mi alzai lentamente e mi rivestii nel silenzio più totale. Cacciai in bocca una sigaretta ed uscii  nel terrazzo collegato alla camera da letto.
Accesi il tutto e iniziai a pensare a cosa diavolo stavo facendo. La mia vita faceva davvero schifo. Se solo la casa fosse stata più alta, mi sarei buttato dal terrazzo. Non erano parole buttate al vento, le mie; quelle dette per attirare l'attenzione. Io ci avevo già provato e non mi spaventava avvicinarmi alla morte. Avevo idea di cosa si provasse, anche se non ero mai morto, chiaramente.

Avevo promesso a Carter che non le avrei mai fatto del male, che l'avrei protetta da tutti quanti e da tutto, ma come avevo fatto a promettergli tutto questo, quando io stesso ero il peggior pericolo che le potesse capitare per le mani?
Non negai che cercai di guardare il cielo per drenare le lacrime e riuscire a vedere qualcosa, oltre la nebbia provocata dalle stesse.
Alla fine crollai. Piangevo spesso negli ultimi tempi. Scoppiai in dei sussulti che cercavo di contrallare per renderli il meno rumorosi che potevo.
Carter mi colse di sorpresa, però. Proprio quando sferrai un colpo a mano aperta sulla ringhiera la sentii sussultare. Mi voltai lapidario  ad occhi sgranati.
"Oh... Sei qui. Sei... Sveglia..." Mi rivoltai dando l'ultimo tiro alla sigaretta per coprire il fatto che mi stessi asciugando le lacrime in volto. Tanto, ormai, le aveva già viste, le lacrime, non potevo nascondermi più. Dovevo far calare ogni tipo di maschera stessi portando indosso.

"Già" Puntualizzò lei con la fronte corrugata. Non riusciva a spiegarsi perché pingevo e allo stesso tempo le dicevo che lei era la mia felicità. La capivo: era un controsenso assurdo.
Aria della mia fine nell'aria... La aspettavo e non avevo vergogna a prendermi le mie responsabilità, per una volta. Sarebbe stato difficile, dato che lei non era una qualunque. Farci l'amore era stata la scoperta più grande in 26 anni di vita. Che poi, questo, era un fatto 'grosso', a pensarci, anche fare le cose più basiche con lei era sorprendente. Prendere un caffè, ad esempio. L'avevo portata fuori almeno quattro volte ed ognuna di esse aveva ordinato quattro tipi di caffè diversi. Se non me ne fosse importato non avrei fatto caso che in ognuno di essi, però, aggiungeva una punta di latte e lo addolciva con zucchero di canna. Era tutto un codice Da vinci da decifrare e poteva essere mio, se solo non fossi stato così cieco. Col senno di poi sono tutti bravi a parlare, anche io stesso, ma non potevo farci più nulla. Era persa, anche se non le avevo ancora detto niente.

"Carter... Sono davvero addolorato, tu... - sospirai - tu non puoi capire"
"Fammi capire, allora. Mi credi così stupida?" Era così bella con quella maglia bianca lunghissima e un felpone altrettanto enorme a coprirla. Sorrisi amaro cosciente che mi stesse per scivolare via tra le dita, proprio come sabbia soffiata via dal vento.
"Al contrario... Vedi, io, quando sei venuta qui e avevi bisogno di aiuto, ho fatto tutto e di più per farti uscire dell'oscurità di quel periodo e di te mi sono innamorato perdutamente, ma c'è qualcosa di cui tu sei all'oscuro" Mi interruppi nel vederla tanto scossa. Era sbiancata sul colpo. Le mani mi sudavano copiosamente, così le passai sui jeans un paio di volte. Scostai i capelli dalla fronte e persi il mio momento di coraggio. Al posto di togliere il cerotto, lo avevo riappiccicato al corpo. Era come non riuscire a prendere il volo e preferire restare nel nido caldo e sicuro, più o meno.

"Volevo solo dirti che ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo e non ti cambierei per nulla, perché niente e nessun altro ha lo stesso valore che hai assunto tu nella mia vita"
I suoi lineamenti si addolcirono e una piccola increspatura agli angoli della bocca si trasformò in un sorriso commosso dalle mie parole. Le stesse parole che avrebbero dovuto dire tutt'altro che quello, perché era vero ciò che che sentivo, ma doveva sapere la verità. Non era corretto quello che le stavo facendo, sotto ogni tipo di etica.
"Oli... Sei davvero sorprendente. Non mi sei mai aspettata di sentirti dire queste cose, figuriamoci di sentirti aprire il tuo cuore in questo modo!" Era contentissima, così contenta da sfoggiare tutti e 33 i denti in un sorrisone grande.
"È tutto merito della migliore" Era decisamente meglio di me. Questo era quanto, ne più ne meno.

"No... Non dire così. Non è assolutamente vero. È grazie a te che sto bene, alla fine. Vivo col sorriso dopo tanto, ma dico tanto, tempo"
L'ennesimo senso di colpa che diede il colpo finale alla mia autostima.


***

Tornai a casa, dove anche Hannah si rifugiava per la notte, perché ormai funzionava in questo modo: non ci vedevamo mai, solo la notte condividevamo il letto, eccezionalmente quando stavo con Carter non lo facevamo.
"Sono a casa" Annunciai a voce alta.
"Ciao!" Rispose lei con brio. Portava un rossetto rosso fuoco ed era vestita come se fosse rientrata da poco. Non volevo saperne granché di quello che aveva fatto o meno. Potevo avere anche mille corna, che tanto nessuno avrebbe fatto peggio di me, purtroppo. Non pensavo quelle cose con leggerezza, al contrario di quello che si poteva immaginare.

"Sto uscendo. Ciao" Tagliò corto Hannah. La presi dall'avambraccio e la tirai di nuovo verso l'interno della casa. Strinsi i denti. Un po', di quel suo comportamento, mi importava.
"Dove stai andando?" Fui secco e deciso.
"Tu, di recente, dove stai andando?" Rimasi a bocca chiusa. Non negai l'evidenza dei fatti; era già abbastanza imbarazzatante essere un coglione di per sé, non volevo risultare peggio.
La lasciai andare. Lei si liberò con un colpo violento e mi lasciò lì in compagnia di me stesso, impietrito.
Chiusi la porta e inziai a violentare qualsiasi cosa mi capitasse a tiro. Dai vasi, al tavolo di cristallo, il televisore. Avevo fatto tutto in mille pezzi, ma tanto nulla era paragonabile a quanto io mi sentissi a pezzi dentro. Quella casa era la mia incarnazione concreta; era una struttura rotta internamete.

Urlai, strillai, mi feci del male, ma niente cambiava quello che sentivo. Volevo davvero uccidermi, farla finita, perché tutto questo non aveva senso di viverlo. Non l'avrei mai superato. Feci la cosa che aveva più senso fare: tornare da Carter per sentirmi bene. Ci impiegai del tempo e non c'era verso di passare un viaggio in macchina senza bestemmie e piagnistei.

Suonai al mio campanello e la attesi con ansia. Sembrava formarsi una voragine nel bel mezzo del mio tronco. Quando la porta si spalancò, vidi il suo viso d'angelo rabbuiato ed intriso di lacrime. Era già troppo tardi. Non avevo idea di cosa avesse combinato Hannah, come avesse fatto ad incastrarmi, ma ce l'aveva fatta.
"Carter..."
"Sta zitto. Solo... Zitto, davvero" Rientrò in casa e risbucò subito dopo con il telefono alla mano. Io restavo sul ciglio della porta di quella che era casa mia. Intravidi delle borse arrangiate in cucina. Erano piene di vestiti ed altre cose che non riuscivo ad identificare.
"È dal lontano 2012 che io ed Oliver stiamo pianificando un futuro per la nostra famiglia. Abbiamo in progetto di sposarci, anche se ancora non è ufficiale la nostra decisione. L'ho spronato in tutti i modi per far uscire Sempiternal o non sarebbe mai successo. Inutile dire che, anche Oli può confermare, che tracce come Drown e Death Beds sono ispirate dalla nostra relazione" incominciò a piangere a dirotto e io che altro potevo fare se non cercare di abbracciarla. Mi allontanò in qualsiasi modo potesse esistere.
"Io non ho mai pensato che Drown fosse per lei o che Death Beds si riferisse a lei! Andiamo!"
"Secondo te è per questo che sono a pezzi? Perché delle stupide canzoni siano dedicate a qualcuno che non sia io? Perché non hai capito davvero niente se è così!"
"Carter, è vero. Non posso negare che stessi con lei e..."
"E dicevi di amarmi. Hai mentito. Mi hai ferita ancora. Sei solo un bastardo come tutti gli altri. Ti odio, Oliver Sykes. Sei il miglior bugiardo del mondo" La porta si chiuse davanti ai miei occhi. Era arrivata la fine.

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora