37. But I Coulnd't Even See

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Quanto peso addosso...Sembrava di murarmi vivo da solo, mattone dopo mattone; perchè il peso delle cazzate che combinavo era quello. Non avevo intenzione di presentarmi nuovamente in biblioteca, quel giorno, dato che era domenica e mi spettava quel compito. Spiegai di non aver alcuna voglia di presentarmi in quel luogo e di non essermi mai assentato, dunque potevo permettermelo. Me lo permisero, ma in compenso dovevo andare a lavorare nella zona botanica del centro. Era tutto meglio che rivedere l'anima che avevo rubato per mano del mio schizzo violento. Potevano ripulirmi quanto volevano, ma temevo che quell'ira che ogni tanto mi possedeva non me l'avrebbero mai estirpata.

Lavorai a testa bassa tutto quanto il tempo, divagando tra un immagine di me e Carter in appassionanti effusioni e l'immagine di una fuga per cercarla. Asciugai il sudore sulla fronte e sospirai rumorosamente per poi guardare attraverso le griglie la parte femminile dell'istituto. Era tutto così ordinato che mi fece venire i brividi. Mi colpì molto la parte riguardante le rose. Non avevo mai, e dico mai, visto delle rose nere in un roseto vero e proprio, eppure erano lì. Una ragazza ne stava curando i petali e tranciando quelle malandate. Il cuore mi si fermò d'improvviso a percepire il suo viso.
Le sue maniche tirate in sù, mi permisero di guardarle le braccia logore. Era lei. Ne ero così certo da aggrapparmi alle griglie e urlare il suo nome.

Lei non si voltò. Aveva quelle dannate cuffiette nelle orecchie. Scalpitai e strattonai le griglie più e più volte, fin quando lei rientrò nella serra camminando spedita. Lei e quella sua giacca di jeans oversize. Se lei fosse stata mia, l'avrei riempita di vestiti oversize: i miei. La sicurezza mi portò di nuovo in camera. Il responsabile chiese di vedermi per quello che mi stava accadendo ultimamente.
Il mio cuore non smise di battere un momento da quando aveva sentito quello di Carter così vicino. L'uomo che si occupava di tutti-noi mi squadrò mentre entravo. Mi accomodai assolto nei miei pensieri riguardanti lei e soltanto lei.
"Signor Sykes...Volevo avere un colloquio con lei. Non ho ancora avuto il piacere"
Il suo ciuffo gellato mi faceva venire il vomito. Sembrava così unto e sudicio.

"Okey" frecciai.
"Avverto dell'ostilità...Ad ogni modo...Come si trova qui?"
"Uno schifo, mi trovo da schifo. Voglio uscire. Mi sento soffocare...Dio!" Mi riversai su me stesso e strinsi forte le ciocche di capelli tra le dita. Espirai esasperato.
"Signor Sykes, è tutto nella norma. Lei sta attraversando la fase di disintossicazione; è più che giustificabile la sua pena"
"LEI NON CAPISCE UN CAZZO DI QUELLO CHE PROVO" Sbraitai. Mi alzai furente e Scaraventai in terra tutto ciò che era presente sulla scrivania. Non fece una piega quel dannato dottore. Sentivo che era solo il primo livello della mia rabbia. Potevano togliermi tutto, ma non la mia libertà. Già il fatto della disintossicazione l'avevano decisa gli altri per me e me l'ero fatta scivolare addosso, ma adesso basta.
"Rimanga calmo. È tutto nella norma "
"NON ME NE FREGA UN CAZZO. VOGLIO ANDARMENE. SONO PULITO: POSSO FARLO"
"Non abbiamo ancora completato il percorso. Siamo verso la fine, può farcela"
"Non esiste" Dissi beffardo. Tirai più pugni sul tavolo per far valere le mie ragioni. Ero veramente furente. Tutto questo era anche per poterla avere per me. Stavo impazzendo, lo sentivo.

"Non mi costringa ad isolarla per diverso tempo, per favore. Le consiglio di frequentare il corso di autoaiuto che si terrà la prossima ora nella sala grande, di modo che possa evitare di pensare alla sua frustrazione più che giustificabile...e per evitare di finire in isolamento" Sorrise diabolico. Non volevo finire in un luogo ancora più chiuso di quello che era già, quindi gli lanciai uno sguardo di fuoco prima di uscire.

Mi presentai in quella sala con un sacco di ritardo. Non avevo intenzione di spiegare i miei problemi ad un gruppo di rimasti sotto dalla droga.
"Salveee" Cantilenò una coordinatrice molto esuberante. Mi aveva già saturato lo spirito e la voglia di sedermi in mezzo a loro. Erano tutti abbastanza giovani a discapito di quello che credevo. Mi sentivo più a mio agio, dentro di me, ma non lo diedi a vedere. Tirai su il mio solito muro di protezione.
Mi sedetti malamente e tutti quanti iniziarono a fissarmi storto. Li guardai male a mia volta e cercai di identificarli nel frattempo. La ragazza che coordinava il circolo continuò a parlare con il suo interlocutore, mentre io mi destreggiavo nel soffermarmi sui dettagli di ognuno. Una ragazza vestita di nero ed incappucciata, due posti dopo di me, mi catturò. Dovevo ammetterlo.

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora