39. I'm Afraid you Asked for This

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Mi piaceva così tanto sentirmi libero, libero come quegli uccellini comprati a Londra con lei. Mi ero riappartato nello stesso hotel della volta in cui mi prelevarono quasi privo di vita, solo in una stanza diversa. Quella mattina appena cominciata respiravo malinconia da tutti i pori. Sapevo che dovevo avere una grinta in particolare per far in modo di trovare Carter, ma qualcosa non andava, dentro di me. Mi mancava, si, però volevo stare bene anche da solo. Volevo essere dipendente dal nulla. Avevo bisogno di stare bene nel corpo in cui abitavo e nella vita che vivevo. Carter non doveva costituire la parte mancante di me stesso per reggermi in piedi. Dovevo farmi da bastone da solo, per la mia vita fragile.

E fu così che in un umida giornata Inglese, mentre fumavo un drum pacifico sul balcone, stipulai la mia prospettiva di vita: al mio ventisettesimo compleanno sarei deceduto. Non sapevo come, ma era già un inizio sapere il quando. Eliminai i tagli fisici e il dissanguamento come via di fuga e sopratutto per rispetto del gesto nei confronti di Carter. Se fossi morto in quel modo ci sarebbe dovuta essere anche lei ad accompagnarmi. Era una promessa implicita, per me, non sapevo se per lei era lo stesso. La cosa terrificante che alcuni reputavano positiva, era che senza di lei mi sentivo vuoto. Non volevo accettarlo in nessun modo. Desideravo soltanto essere indipendente.
Se nella mia vita fosse cambiato qualcosa, giurai, che non mi sarei tolto la vita. Se mi fossi reso utile alla vita di qualcuno, o soltanto per essere la felicità di qualcuno, non lo avrei fatto. Sarebbe stata una cosa veramente rara, il fatto che riuscissi ad aiutare qualcuno...Ma la speranza è sempre stata l'ultima a morire.

La band mi riaccolse con grande clamore al suo interno. Nonostante fossi una testa bacata, mi volevano un gran bene dell'anima. Non vedevo l'ora di riaccendere quel falso sorriso che riuscivo a sfoggiare e mettermi in moto per realizzare nuova musica. Volevo evolvermi ed essere sempre meglio...Musicalmente parlando, si, ma forse anche come persona. Lo pensavo, ma non avevo la forza di cambiarmi. Ogni sera, subito dopo che la mia testa toccava il cuscino, mi promettevo di assumere atteggiamenti diversi, esattamente quelli che non sono mai riuscito a mettere in pratica.

Carter's pov

Mi arresi all'idea di volerlo rivedere. Mi mancava un sacco da quella volta in cui mi sussurrò quelle dolci cose nel mentre depositavo la sedia.
Raggiunsi l'edificio dove l'avevo abbandonato e con estrema calma salii gli scalini. Sospirai pesantemente per liberarmi dal grande batticuore che mi attanagliava il corpo. Ero emozionata della possibilità e della mia scelta nel volerlo rivedere.
Chiesi se c'era possibilità di inserire una mia visita in mezzo ad una delle sue, ma successe ciò che meno mi aspettavo: lui era stato rilasciato e da molto tempo, poi.
Delusa come poche volte nella mia vita, scappai fuori di scatto. Le lacrime non riuscivano a contenersi nei loro condotti, così scesero in massa. Era come se un sogno mi si fosse infranto, proprio dentro, nelle ossa. La vista mi giocò un brutto scherzo a causa di queste. Stavo correndo molto velocemente per riuscire a raggiungere il terreno dopo le scale, ma ruzzolai su ogni scalino fino alla fine.
Mi feci molto male ad entrambe le ginocchia e sentii molto dolore ad un polso. Sperai non fosse rotto con tutto il cuore. Il mio cuore aveva perso la sua metà in quella ruzzolata.

Non riuscivo a sopportare più nulla di tutto ciò che ero e che stava capitando, di nuovo.
Come ci si sentiva a non avere nessuno che potesse realmente aiutarmi? Bhe, male. Molto male. Era struggente e demoralizzante, ma non solo per questo stavo così come stavo, bensì era la sua mancanza a recidere ogni mia singola speranza di felicità. Era dura ammetterlo, ma volevo immaginarmi accanto a lui, nonostante il diavolo della tazmania che era.

Una mano invase il mio spazio vitale facendomi trasalire. Mi voltai velocemente in direzione della stessa.
"Scusami tanto, ma sapresti dirmi se questo è il centro di riabilitazione per tossico-dipendenti?"
Asciugai l'ultima lacrima che solcò il mio viso.
"Che razza di domanda di merda è questa..."
Mi alzai a fatica e con qualche ghigno dolorante. Ero pronta per tornare a casa e restarci per sempre, promettendomi che non avrei mai più fatto il primo passo per un ragazzo, mai.
"Carter, aspetta" Quella voce mi fece impietrire all'istante. Un calore momentaneo mi prese dalla caviglia fino alla fronte. Una fiammata unica.

"Kellin?" Eppure non fu lui a toccare la mia spalla, bensì un altro ragazzo molto simile a lui come genere. Aveva capelli lunghi, mori; un cappellino sopra di essi. Occhi nocciola, pelle leggermente abbronzata.
"Già..."
"Che diavolo fai qui?!" Domandai spiazzata, ma molto seria e impassibile.
"Ho saputo di Oliver e anche di te, così sono venuto il prima possibile e- lo interruppi- "E sei arrivato troppo tardi: sia per me che per lui" Dopo quella affermazione feci per andarmene. Volevo scappare dai mille deja vu che mi provocava il suo viso. Cancellare lo stare bene nel fare sesso e nel pronunciare un ingenuo e vuoto 'ti amo', quando di me amava solo stringere a sè il mio corpo. Il disgusto mi salì velocemente tramite un conato di vomito; proprio come quella volta che rimisi in ascensore con lui e mi portò dal medico. Ricordi che preferii sprofondare nell'oblio più buio mai visto.

Mi toccò e come un fulmine spiccai in aria, alzandomi da terra.
"Non toccarmi" Dissi poco calma. Fu una reazione incondizionata: non volevo realmente rispondere in quella maniera, ma il mio cuore voleva quelle parole per lui. Oltrepassai le cose dolci, le parole dolci, la sua premura, il suo aspetto rassicurante. Passai sopra tutto. Dovevo avere il coraggio, nuovamente, di andare avanti e per farlo, dovevo chiudere di nuovo quella porta chiamata Kellin, e questa volta, a chiave; in modo che non avrebbe potuto più aprirsi.
"Ho una risposta a tutto questo tuo starci male, Carter" Incrociai le braccia. Attesi interdetta. Non credevo minimamente che potesse aiutarmi, ma non riuscivo a non pensare a quanto mi avesse tirato fuori dalla mia monotonia con la sua sbadataggine che mi rimaneva addosso a mo' di livido.

Ci speravo, infondo: speravo che potesse darmi una mano perchè, sinceramente, avevo bisogno di aiuto per come stavo in quel momento. Avevo bisogno di qualcuno accanto che potesse costruire qualcosa di nuovo con me. Ero così confusa, arrabbiata, frustrata, ma speranzosa. Provavo tutto quanto in un solo istante.
"Ma che cazzo...- sussurrai tra me e me per esprimere la delusione verso me stessa nel dargli ancora fiducia, nel dare fiducia alle sue parole. -Dimmi".
"Se ti sei sentita trattata male, trascurata, abbandonata, usata...È così -scossi la testa per esprimere il mio immenso disprezzo. -ma dietro a tutto questo esiste una spiegazione che sono riuscito a darmi da solo...Bhe...Non proprio" disse, guardando il suo compare. Iniziai a non capire bene la situazione. Non volevo capirla, forse.
"Lui è Victor...E...Puoi immaginare. Badta collegare il discorso dicendoti che ero un po' confuso...Lo sono tutt'ora, ma tutto quello che so e che mi fa stare bene, anche tu mi facevi stare bene, con la differenza che noi facevamo del sesso per tenerci compagnia, per costringerci a mischiarci...Lui mi ha fatto innamorare" Gli sguardi complici mi fecero intererire per un secondo, ma quello dopo mi venne da sputargli in mezzo alle scarpe. Così smorzai ogni dichiarazione d'amore indiretta.

"Mi fai schifo, Kellin Quinn. Tu e il tuo avermi usata per confermare che amavi un uomo. Non serviva farci sesso con me facendomi credere fosse amore se avevi in mente di sperimentare solamente di essere etero o meno"
Me ne andai senza ritegno. Tirai su il cappuccio della felpa. Inserii le cuffiette nelle orecchie e camminai lentamente verso casa. Era stata la giornata più orribile nella storia delle giornate di merda. Cos'altro potevo ascoltare se non Boulevard Of Broken Dreams. Perché così mi sentivo; un viale di sogni infranti. La mia stessa vita era un viale colmo di sogni infranti, di vetri taglienti conficcati alla pianta del piede, quelli che rendono la marcia dolorosa e pesante. Ogni passo un dolore. Ogni passo un ricordo, un incubo.

Mi fermai nel mezzo del mio cammino per guardare un manifesto abbastanza importante. Parlava di una sessione di autografi che si sarebbe tenuta in un negozio molto noto: Drop Dead. I Bring Me The Horizon sarebbero stati lì in meno di tre giorni. Volevo esserci. Dovevo esserci. Sembravano parole di una fan scapestrata, ma invece erano solo le parole di colei che ha perso la sua rotta e l'unica stella polare che brillava nel suo cielo era proprio lui: Oliver.

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora