14. That you use to throw have

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Ero in palese ritardo e non mi capitava poi così spesso: quindi ebbi i momenti di panico più totali. Anche perché nessuno mi aveva mai invitato ad uscire...Ne ad un concerto.
Due miseri minuti e sarei dovuta scendere nella Hall per incontrarmi col ragazzo più dolce con cui avessi mai interloquito, nel corso di almeno due anni. Ancora un pensiero misterioso si insinuò nella mia testa, proprio prima di mettere piede in corridoio, fuori di casa.
'Perché i capelli erano meglio prima di fare la doccia? Per quale strana legge della fisica?'

Nell'uscire, la borsa rimase incastrata tra lo stipide della porta ed essa stessa. Tirai freneticamente dalla mia parte per riacquisirla fra le mie braccia e, non appena si liberò dalla morsa infernale, udii un tonfo di più oggetti metallici che raschiava il parque dell'appartamento. Il suono durò una frazione di secondo. La frazione di secondo più dolorosa di sempre. L'oggetto caduto erano proprio le chiavi di casa. Spinsi la porta invano. Non volevo arrendermi al volere del destino. Senza quelle chiavi non c'era verso di rientrare fino -almeno- al mattino successivo. La portinaia aveva concluso il turno da almeno mezz'ora buona e solo lei poteva farmi avere delle chiavi di riserva.

Che il karma stesse giocando a mio sfavore? Che il destino stesse cercando di spingermi altrove? Nessuno era ancora in grando di rispondere, nemmeno io stessa.

In ogni caso, corsi verso l'ascensore sconsolata e attesi frenetica il momento intenso in cui avrei rivisto gli occhioni azzurri di Quinn...Stavo esagerando nel valutarlo. 'Ti ricordo che hai più lividi grazie a lui che possibilità di essere celebre' Fui così gentile da rispondermi da me. 'Per lo meno, ho fatte le più belle risate da quando sono ad Ashford con lui'. Le porte si aprirono lentamente.
Il ragazzo nell'angolo sul fondo, in total black, doveva essere proprio lui: Kellin Quinn. Mi avvicinai circospetta.

"Hey" Enfatizzai calorosa, senza scompormi troppo. Ero davvero nervosa? Brutto segno. Bruttissimo. Orrendo segno. Il suo volto finalmente si rivelò e non ci fu cosa più...Blah, mio Dio...C'era da aspettarselo. Mi maledissi in tutte le lingue conosciute dall'essere umano.

"Puoi andare...mh" voltai gli occhi al cielo e sbuffai brevemente, solo dopo che mi ebbe squadrata dalla testa ai piedi.
"Che ci fai tu qui?" Domandai a braccia conserte ad Oliver.
"Potrei benissimo farti la stessa domanda" Ghignò ironico.
"Aspettavi Quinn, non è cosi?" Sorrisi, cogliendo all'ultimo momento la grafia sul foglio. Parecchie volte avevo letto la sua firma per delle riparazioni condominiali dei tubi del gas. Ero stata davvero così ingenua...Proprio come lo ero una volta.
"Sei davvero uno stronzo"
"Tu dici?" Rise per poi punzecchiare il piercing sul labbro con la lingua.
"Mi hai ingannata...ed anche bene"
"Credo sia un tuo problema, allora" Estrasse le mani dalle tasche e come di rito, si insinuò una sigaretta tra le labbra.

Fece un gesto col capo per invitarmi fuori ed uscii ancora incerta dalla situazione.
Mi ero abbastanza abituata ad obbedire ai segnali ambigui di Sykes, nonostante fosse passato relativamente poco tempo. Non serebbe comunque riuscito a mettermi i piedi in testa o sottomettermi al suo volere in nessun modo. Questo mai.

"La mia sorpresa, dunque?" Chiesi gelida.
"Non ti ci avrebbe portato nessuno al concerto...Non è ovvia..." Emise in un soffio dei rigolini di fumo che svanirono verso l'alto. "Ti facevo piu furba e perspicace" Punzecchiò.
Ogni sua parola era fatta su misura per farmi saltare ogni nervo del sistema. Proprio come le chiavi del mio appartamento e la loro toppa. Su misura. Imprecai in silenzio.
Allacciai la cerniera del giubbotto e rimasi in silenzio, in attesa che quella dannata sigaretta fosse completamente bruciata. Mi aspettavo di vedere Kellin, era vero, però sotto sotto ero grata ad Oliver per quello che -stranamente- stava facendo. Era un gesto davvero carino ed inquietante allo stesso tempo. Perché mai voleva che partecipassi a quel concerto a tutti i costi?

Mi strinsi nelle spalle ed esso si spazientì, così ci dirigemmo all'auto ancora prima che potesse finire di somministrarsi la sua solita dose di nicotina.
Entrai senza fiatare e per lui fu lo stesso. Mi dava fastidio questa situazione da Christian Gray che stava mettendo in atto. Non sarei stata la sua concubina o la sua donna di compagnia in assenza di una ragazza di cui prendersi cura; che entri nella sua sfera emotiva, o peggio, sentimentale.

"Bhe?" Emisi atona.
"Bhe, cosa?" Il Titanic e l'iceberg erano molto più amichevoli tra di loro che lui ed io in quel momento. Ero sempre più confusa. Frase dopo frase.
"Voglio solo farti un piacere...Dovresti ringraziarmi se ti porto ad ascoltare musica sana, genuina" Storsi il naso e sorrisi nel buio dell'auto. Non mi avrebbe mai notata. Stavo realmente sospettando qualcosa.
"Se ci tieni cosi tanto che sia informata, in un certo senso, ti importa di me" Affermai fiera. In realtà era una domanda implicita. Volevo conferme.
Non risposte...Potevo considerarla come una risposta elisa dal suo campo percettivo. Esclusa forzatamente.

Il tragitto sembrava più lungo persino di quando quello stesso giorno ci eravamo recati a Londra. Mi passò per la testa che ci stessimo allontanando,o meglio, superando verso nord ovest, Londra.
"Dove mi stai portando?"
"Al luogo dell'evento"
"E dove sarebbe?"
"Sheffild" Sgranai gli occhi. Non tanto per la freddezza assoluta delle sue parole in paragone al ricordo della liberazione degli uccellini, più che altro per la distanza tra Sheffild e Ashford...Immensa. E se eravamo partiti alle otto, saremmo arrivati molto tardi...mh

"Cielo..." Esclamai sorpresa e leggermente preoccupata.
"Si" Frecciò Oliver. Aggrottai le sopracciglia e posi il gomito sulla portiera. Lo fissai senza tregua.
"Si che mi importa" Addolcì il tono, ma poi tornò come prima. Rimasi attonita da quella sentenza, anche se arrivata leggermente in ritardo.
"Questo ti fa onore, Oli" Mi sistemai meglio sul sedile e continuai a fissare il mio interlocutore. Era molto affascinante scrutare le sue movenze, anche se dal banale buio intermittente provocato dai lampioni.

"Anche a te importa di me" Era un dato di fatto che solo lui si era messo in testa, ma non del tutto sbagliato. Era troppo presto per poterlo dire, insomma, era tutto talmente ambiguo ed inaspettato che ero tentata fortemente di scappare. Ma scappare è da codardi. Anche se forse era quello che sapevo fare meglio.
"Chi lo sa..."
"Io ne sono certo" Sbuffai in una risata.
"Io perderei un po' di orgoglio se fossi in te, Oliva"
Rise fragoroso e mi riempì un po' il cuore, si.
"La vuoi smettere con questi nomignoli idioti?! Olivander, Oliva...Il prossimo quale sarà?!"
"Lo scopriremo nella prossima puntata" Scoppiai a ridere con lui...Era una sensazione magnifica, nonostante tutto ciò che avrei potuto avere da ridire su quel ragazzo, le risate stavano riempiendo il mio freddo cuore inebetito alla vita.

"Non mi sembri la persona più andatta a prendere per il culo, CARTER" Enfatizzò levando per un attimo le mani dal volante per agitarle in aria.
"Ci manca solo che tu riesca a farmi vedere un alza-bandiera là sotto"
Era una presa per il culo, ma la presi con completa ironia e con un sorriso divertito -per davvero- in viso.
"Stai attenta a ridere troppo o ti si crepa la faccia di ceramica che ti ritrovi"
"Devo prenderlo come un complimento o cosa?" Mi guardò sottecchi con un sorrisetto sornione, senza degnarmi di una risposta.

"Lo devi capire da sola"
"E se non lo capissi?" Lo stuzzicai evidentemente. Ne si trovava traccia anche nella mia voce.
"Ci pensi su" Tagliò corto, tornando serio. Un po' mi dispiacque...Mi stavo sentendo a mio agio, proprio come lo stesso pomeriggio. Ma quei momenti venivano sempre rotti da qualcosa di ignoto alla mia vista. Mi irritava esserne all'oscuro, ma potevo farci poco e nulla.
"Bhe, non ci arrivo da sola, mi aiuti a capire oppure no?" Mi accomodai malamente, proprio come lui detestava nella sua auto.
Mi lanciò un occhiata temibile e lo sfidai senza indugio. Nessuna risposta, comunque. Irritante.

Parcheggiò in uno svincolo poco lontano da un locale che stava facendosi sempre più colmo di gente poco raccomandabile.
Spense il motore dell'auto e mi guardò più volte.
"Che c'è?" Soffiai acida.
"Giuro che se non fossimo già arrivati, ti avrei abbandonata per strada...Giuro" Alzai le sopracciglia e accennai un sorrisetto malsano.
"Non mi hai ancora spiegato questa cosa della faccia di ceramica" Mi sistemai a braccia conserte con la medesima aria di sfida.
"Dio...Ti sto detestando" Si interruppe ed uscì dal veicolo, sfatto dalle mie parole. Lo seguii e fui fiera di me, anche se stava dichiarando apertamente di odiarmi. Sapevo che ci fosse un fondo di verità in quelle parole non poi cosi forti come risultavano, ma era un fondo molto sottile.

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora