19. I'll Leave You choking

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Dopo che Oli mi comunicò la fatidica frase relativa alla relazione con Amanda, lo piantai in quel parco, abbandonandolo in malo modo. Era necessario per far in modo che mi staccassi da quel ragazzo, mi avrebbe portato solo sventure. Come fosse possibile il solo fatto che mi stesse illudendo di qualcosa non lo reputavo codificabile alla mia mente. Mi aveva tenuto la mano ed aveva trovato la giusta chiave per aprire la mia anima taciturna, per poi struggermi con una tale notizia, quale una relazione che coinvolgeva un altra ragazza. Come biasimarlo...Era stupenda, magrissima, molto avvenente, sarebbe stato uno stupido se non ce l'avesse avuta una relazione con questa! Amanda, il nome mi ricordava una mandorla e non ne riconoscevo il motivo assurdo, ma ogni volta che pensavo a lei questo era il sapore che si accumulava nelle mie fauci.

Stavo camminando lentamente verso Starbucks, dopo tutto avevo saltato alcune delle mie ore lavorative per star dietro ad un demente patentato; avrei dovuto giustificare tale assenza con un malore improvviso. Non potevo negare che il freddo che stavo subendo era terrificante, ma passava in secondo piano talmente erano tante le sensazioni sovrastanti che traforavano la mia povera testa fin troppo illusa. Scivolai su una lastra di ghiaccio che ricopriva il marciapiedi, ma con molta non-chalache riuscii a rimettermi in piedi tra il passaggio della folla di Ashford. Un flusso normale, ma continuo, di gente per lo più sulla sessantina: non era mai stata una cittadina molto attiva per le strade, in quanto i giovani si muovevano prevalentemente in auto o con i mezzi per raggiungere zone di rilevante importanza come la grande Londra. Parte del via vai era anche dato dalla traslazione di turisti che passavano attraverso la manica per raggiungere gli svariati luoghi del paese.

Entrai in negozio ormai sgombro dalla calca mattutina e mi sistemai dietro al bancone, pronta per impersonarmi nella mia divisa nera e la mia mentalità esecutiva.
Marvin, il ragazzo omosessuale che aveva ormai fatto comunella con tutte quante le colleghe di sesso femminile, mi guardò con occhi strabuzzanti. Si avvicinò con fare circospetto, ancheggiando visbilmente.
"Senti, tesoro, tu sei tutta matta, lasciatelo dire"
Lo guardai accigliata senza capirne il senso.
"Perchè mai, scusami?" Domandai nel mentre mi cambiavo d'abito. Era totalmente a suo agio nel vedere una donna in desabillè.
"Come se tu non lo sapessi, andiamo!" Esclamò dandomi un buffetto divertito sul braccio. Scossi la testa ridendo tirata.
"Veramente, non so di cosa tu stia parlando"
"Okey, lascia che ti spieghi: Oliver Sykes è stato qui un ora fa, circa, giustificando la tua assenza e..." tastò le sue tasche sul fondoschiena per poi pormi sul palmo un foglietto microscopico.

"Per te" Disse scandendo bene entrambe le parole.
"Lo avevo intuito" Risposi il meno sgarbata possibile. Prima di aprirlo fissai Marvin per qualche secondo con un certo dubbio che mi attanagliava momentaneamente.
"Lo hai letto, non è così?"
"Certo che si, andiamo, su! Pronto?! Oliver Sykes"
"Poteva anche essere Bush in persona, ma credo sia un fatto personale e che non vada letto se è indirizzato ad un altra persona..." Ammisi molto calma e pacata.
"Mi spiace" Tagliò corto con un ghigno dispiaciuto seriamente. Si congedò subito dopo. Lasciai correre e aprii quella fonte di mistero.

Scaraventami all'inferno se questo significa prenderti per mano.

Recitava quel foglietto sgualcito con il logo del locale in cui lavoravo. La scrittura cubica e spigolosa dava a vedere che si trattasse davvero dello specchio della personalità di Oliver. Forte e spigolosa, quasi spinosa tendente al doloroso.
Lo ripiegai e lo cacciai in tasca subito dopo aver tirato un sospiro esasperato.
Non mi importava di lui in quell'esatto momento, perché mi aveva ferita e al dir poco illusa, non meritava nemmeno un briciolo della mia attenzione nonchè del mio tempo. Che fosse una persona nota o meno, era prima di tutto una persona e se si comportava cosi, non era degno di entrare a far parte della mia vita.

Continuai a lavorare fino alla fine del mio turno tra sguardi di apprezzamento e altri di sconforto nei miei riguardi. Poco importava, sinceramente. Alla fine del turno la rabbia ribolliva in me così tanto da sbuffare rumorosamente ogni mezzo secondo alle prese con una crisi di nervi.
Sbattei la divisa nell'armadietto e sbollii la furia calda nel vento freddo dell'esterno. Un altra bella passeggiata verso casa sarebbe stato l'ideale per definire le mie idee ed opinioni su quello che mi era accaduto quella stessa mattina con Oliver.

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora