62. 'Cause this is not Love

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Settimane dopo mi arrivò un messaggio abbastanza ambiguo, nel quale si parlava di disperazione e morte. Non avevo idea di chi avesse mandato quel messaggio proprio a me...Peccato che il numero di Oli lo avevo cancellato, si, ma le ultime cifre le avevo imparate più che a memoria. Rilessi quel messaggio mentre cullavo Johanne nella culla. Lei mi sorrise radiosa e non potei far altro che ricambiare il sorriso. Mi intenerii senza freno alcuno.
Di punto in bianco arrivò una chiamata dallo stesso numero. Lo tenni in mano, lo fissai per secondi. Il tempo di risposta stava per scadere. All'ultimo secondo tirato decisi di andare fino in fondo a quella storia. Sentire Oliver o non sentire Oliver?

"Si?"
"Carter, sono Jordan. Qui abbiamo un grossissimo problema, tipo, enorme"
Mi accigliai. Le farfalle nello stomaco scomparvero nel sentire proprio lui. Non per qualcosa, ma mi infondeva tranquillità.
"Che tipo di problema?"
Iniziai a pensare che si trattasse di mia sorella, di Emma, ma non stavano più insieme per quello che ero riuscita ad estrapolare da Jordan.
"Una persona che tiene parecchio a te è finita in ospedale in uno stato abbastanza pietoso"
Sospirai. Capii al volo di chi si riferisse. Non c'era bisogno di specificare nel dettaglio.
"Non è di mio interesse cosa decide di calarsi Oliver e se poi sbiascica il mio nome nel sonno, ok?"
Controbattei risoluta.
"Carter, per favore, dammi ascolto. Non farti prendere dal rancore. Ricordati che gli stai nascondendo una figlia che lui crede morta"
Mi infervorai per come mi stesse minacciando. Lui lo capì.

"No, Carter. Oliver si è buttato dal 3 piano perché si sente in colpa di aver fatto ammazzare sua figlia. Continuava a dire che era colpa sua se tra le braccia non ha un figlio che gli vorrà bene e a cui fare da padre. Ragiona Carter"
Reagii d'istinto. Ero pur sempre un essere umano con un cuore pulsante.
"Ma di fatti, è colpa sua se tutto questo è accaduto, Joe"
"Ma tu gliel'hai nascosta, Carter...Gli hai nascosto Johanne"
Feci una lunga pausa nella conversazione. Respirai piano e cercai di non piangere. La situazione era complicatissima; iniziò una lotta interiore a cui non potevo sottrarmi.

"È cosciente?" Domandai trattenendomi dal fiato corto dato dal panico in arrivo.
"Si" mi rispose sommesso.
"D'accordo, Joe, sto arrivando. Dammi il tempo di sistemare Johanne"
Feci il più veloce possibile per risolvere quelli che erano stati i nostri errori. Il plurale era d'obbligo. Erano i nostri cazzo di errori...Insieme eravamo un disastro, ma separati crollavamo. Non mi importava più di ciò che era bene o male per me; volevo solo che Johanne fosse felice... No, non è vero. Volevo che anche Oliver fosse felice ed io ero la sua felicità, a quanto pare. Ma cosa faceva felice me? Cosa?

Guidavo inarcata in avanti, tenendo stretto il volante. Avevo troppa fretta di scoprire cosa mi facesse felice, ma nel contempo non potevo accelerare. Avevo la vita di una piccola creatura a cui badare.
Una volta arrivata, andai spedita verso il reparto ricoveri. Superai la pediatria per tagliare un bel pezzo di strada. Era lo stesso ospedale dove avevo dato alla luce Johanne: lo conoscevo a memoria. Degli omoni vestiti di nero mi sbarrarono il passaggio.
"Non possiamo farla passare. Questa zona è offlimits"
Feci per parlare, ma Jordan si fece spazio a bracciate tra le due guardie del corpo.
"Tranquilli, è con me. Quella è la figlia di Sykes"
Le due rocce si sgretolarono e iniziarono a smielare le voci. Johanne sembrava non gradire troppo tutte quelle voci. Era come il papà; le carinerie poteva accettarle solo col conta-goccie.

"Grazie per averci pensato su, Carter"
Annuii e gli diedi tra le braccia Johanne. Jordan rimase spiazzato, ma la strinse ugualmente come fosse sua figlia.
"Mh?" Mugolò lui in segno di incomprensione.
"Mamma e papà devono risolvere un paio di cose da grandi" Dissi con un sorriso mai avuto di recente.
"Quindi stai con lo zio Jordan. Dì Joeee" Scherzò lui.
Lo guardai stranita mentre abbassai le mani lentamente. La mia espressione era qualcosa di indecifrabile all'occhio umano.

Mi feci coraggio. Provai a non sorridere, ma ero contenta e questo era già una risposta.
Aprii la porta e ce lo trovai nel fondo della stanza. Avvertii un calore simile a fuoco vivo, ardere dentro. Mi strinsi nelle braccia prima che lui sollevò poco la testa per rivolgermi lo sguardo. Sorrise con gli occhi chiusi e gemette piano per il dolore procurato dalle escoriazioni sul volto. Era per la gran parte del corpo fasciato e bendato con cura. Sulle braccia si notavano alcuni sprazzi di sangue rappreso.
"Hey" dissi piano.
"Ciao, Cart" La voce roca e bassa denotava il suo dolore.

"È passato un po' dall'ultima volta che ci siamo visti..." Sentenziai. Lui non battè ciglio minimamente, allora proseguii un po' abbattuta.
"So perché sei qui. Jordan mi ha informato subito..."
Mugolò un verso secco, abbastanza indefinito.
Sembrava abbastanza freddo a riguardo e mi sentii un po' ferita, anche perché non era colpa mia per tutto quello che era capitato -circa-, quindi non aveva pretesti per comportarsi in quel modo. Non ero nemmeno più sicura di volergli presentargli Johanne. Avevo paura della reazione...

"Mi fa piacere che tu sia qui...C'era bisogno di un tentato omicidio per farti viva?" Ironizzò con un sorriso sghembo.
Balbettai un attimo prima di rimettere insieme le idee. Mi spostai i capelli dietro alle spalle come un tic nervoso.
"Non so che dire..."
"Che strano...Sei sempre stata piena di lamenti. Non stai zitta quando hai torto e figurarsi quando hai ragione... Ora mi vedi così e stai in silenzio?" Distolse lo sguardo da me. Abbassai la testa imbarazzata. Mi strinsi nelle spalle pesanti e riprese a parlare.
"Niente...Cosa sei qui a fare, io non lo so, a questo punto. Forse sei qua a sfoggiare fiera il fatto che mi sono quasi ammazzato due volte per te e quindi ti faccio pena..."
Corrugai la fronte.
"Due volte?"
"Nemmeno ti ricordi piu cosa abbiamo passato insieme...È chiaro"

"No, no" lo placai subito.
"Certo...Come no" Ribattè, cercando di raddrizzare la schiena a fatica. Feci per aiutarlo ma mi scansò con la mano, per quanto potesse farcela.
"Si che lo ricordo...Pensavo avessi combinato qualche altra stupidaggine"
Arricciò il naso per il dissenso alle mie parole.
"Chiamala pure una stupidaggine. Io sto di merda perché ho fatto uccidere il mio bambino e tu la chiami una cretinata bella e buona. Mi sembra totalmente appropriato, Carter. Ottimo"
Stava uscendo fuori dai gangheri e non sapevo se presentargli Johanne o meno. Forse avrebbe sistemato tutto la sua presenza...O forse ce l'avrebbe avuta su con me per sempre. Dovevo tentare in ogni modo.

"Scoprirai presto qualcosa che non ti farà mai più commettere una cosa simile nella tua intera vita" Affermai decisa. Lui continava a beffeggiarsi delle mie parole e non darmi ascolto.
"Cosa vuoi fare? Sparire di nuovo per sempre? Per favore... ne ho gia sentite troppe di stronzate in questa relazione"
Ignorai la rabbia che parlava al posto suo e perseguii la mia scelta. Mi vide avvicinarmi alla porta.
"Come dimostratosi, eccola che se ne sta andando nonostante tutto"

Jordan mi diede titubante la bambina, ma feci lo stesso quello che andava fatto. Presi coraggio. La sua reazione non mi avrebbe in nessun modo alterato o distrutto dentro.
Entrai lentamente e mi fermai a due metri dal letto ospedaliero. Gli occhi di Oli divennero grandi come brughiere inglesi. Lo avvertii deglitire rumorosamente. Stava mandando giu le ultime cattiverie insensate.
Comunicava a gesti. Era senza parole. Mi fece segno di avvicinarmi. Lo feci.
"Ti prego; dimmi che questa è la nostra bambina...Non potrei sopportare il fatto di sapere che è di un altro uomo"
La posai con cura nell'ansa del suo braccio malconcio. Lei sorrise.

"Hai i tuoi stessi occhi, Oli... Anche se ti dicessi una bugia capiresti che è tua figlia"
Lei gli rivolse lo sguardo e Oli scoppiò letteralmente in un fiume di lacrime calde. Le diede un dito da stringere e fece quello che poteva per coccolarla senza farsi male.
"Come l'hai chiamata?" Mi domandò con voce tremula.
"Johanne" Lui annuì. Cercò la mia presenza più vicino al letto.
"L'hai tenuta nonostante tutto"
"Non avrei permesso che niente me la portasse via...La mia ancora. Era la mia unica speranza, Oli"
"Sono felicissimo...Non puoi capire" Si emozionò ancor di più nel comunicarmelo. Io mi feci coinvolgere e piansi con lui, nonostante cercai di trattenermi. Abbracciai Oliver e gli diedi un bacio sulla fronte sbucciata. Mi venne istintivo farlo.

"Vorrei che fossimo una famiglia normale, davvero...Ma non so quanto io ve lo possa gerantire"
"Potremmo provare ad abituarci...Ormai quello che è fatto, è fatto"
Risposi rincuorandolo.
"Ti amo, Carter"
Un colpo al cuore sembrò immobilizzarmelo e poi ridargli adrenalina al contempo. Stavo aspettando quelle parole da troppo tempo.
"Ti amo anche io, Oli"

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora