21. Rebuild All that you've broken

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Rientrai a casa con una voglia matta di rompere qualcosa o solamente di rompermi da sola, con le mie stesse mani raggelate dal freddo atmosferico. Posi le mani sulla parete adiacente all'ingresso sentendo le gambe che non stavano reggendo il peso del mio corpo. Tremavano come una specie di convulsione. Mi accasciai sulle ginocchia. Un dolore lancinante attraversò la gamba fino ad arrivare alla bocca dello stomaco, riuscendo a smuovere un tremolio interno che quasi mi fece pensare si trattasse di vomito imminente. Presi un respiro profondo un paio di volte. Non volevo nemmeno immaginare lontanamente si trattasse di un attacco di panico, proprio non era il momento per una cosa del genere. Racimolai le poche forze che mi erano rimaste e le incanalai nella altrettanto forza brutta che possedevo, in quanto donna.

Mi gettai sul divano e strinsi i pugni ben saldi sulla copertura. Inevitabilmente le lacrime mi avvolsero come un uragano imprevisto sulla costa ovest americana e quell'uragano avrebbe colpito con molta frequenza, tanto quanto lo fa davvero in quel continente. Il mio uragano era Oliver, niente di paragonabile a Katrina. Perchè insistessi a metterci un aggettivo possessivo davanti al nome di colui che mi stava rendendo debole non lo sapevo neppure io.
Rimasi lì, inerme e informe in attesa di una soluzione che cadesse nelle mie membra. Avrei ucciso pur di farmi passare quel tremolio inarrestabile.

Un ora dopo mi ritrovai ancora sul divano dormiente. Ero riuscita a chiudere gli occhi alla fine. Mi sorpresi di me stessa. Purtroppo non mi svegliai a caso, ma appositamente per un avvenimento. Il bussare sulla porta mi colse di soprassalto, facendo alzare i battiti cardiaci esponenzialmente, un altra volta. Stropicciai gli occhi lentamente e mi misi seduta leggermente ricurva in avanti. Questa volta non furono delle semplici nocche a bussare alla mia porta, sembravano più dei palmi ben aperti.
Tale insistenza fece si che mi alzai velocemente dal divano per poter verificare chi fosse l'incivile.
Aprii guardando dal basso verso l'alto e la faccia di Oli mi si parò dritta in fronte a me. Ebbi il forte impulso di chiudergli la porta in faccia e così feci.

"Carter, aspetta" fece in tempo a dire.
"Carter...Ti prego" La voce di Oliver si affievolì verso la fine. Qualcosa dentro di me si ruppe. Le sue parole, quelle quattro che disse, mi fecero piangere copiosamente. Non riuscivo ad accettare il fatto che avesse fatto breccia così tanto nel mio cuore atrofizzato.

Oliver's pov

Rimasi in piedi sul ciglio della porta con ancora l'immagine del suo viso sconvolto in mente. Avevo fatto una bella cazzata questa volta. La cosa che più mi fece incazzare era esattamente come mi ero comportato: di merda. Era una ragazza complicata da prendere, ma una volta conquistata sarebbe rimasta per sempre. Questo era certo. Avevo letto il suo animo sin dal primo momento. Faceva la tipa tosta, la dura, quella che voleva tenermi testa, ma ero sicuro che non ci sarebbe riuscita facilmente. In fondo era debole, fragile e aveva bisogno di uno come me per sentirsi sicura e protetta. Sarei stato un ragazzo esemplare per lei. E la volevo, la desideravo molto, ma continuavo a commettere errori su errori. Fare una cosa buona in mezzo a dieci sbagliate non avrebbe tratto un buon risultato.

Bussai un altra volta a quella porta, dopo la medesima mancanza di risposta, tornai a casa e chiamai tutti quanti, non scherzavo, tutti davvero. Amici, amici di amici, cugini, mio fratello. Erano tutti invitati a casa mia ed erano liberi di portare fiumi e fiumi di alcol. Volevo affogare tutto quanto per ripartire da capo: l'avrei dimenticata.

***

La situazione sembrava troppo, troppo calma. La musica era altissima, c'era cibo, da bere, ogni tipo di schifezza per terra. Donne, tante donne che mi si attorniavano, ma non volevo donne che mi ricordassero Carter. Non volevo sfogare nessuna necessità, anche perchè la mia non era una necessità di sfogare qualche istinto maschile, no, affatto. Io volevo innamorarmi. Non è una cosa che si pretende, ovvio, ma forse per la prima volta, Carter mi fece capire cosa significava provare un po' più del piacere fisico. Mi alzai e recuperai la mia band. Ci trovammo tutti insieme per una gara di shottini. Inutile dire che eravamo completamente partiti.

La musica sembrava pulsarmi nelle orecchie tanto da farle implodere. La vista era sfocata e rallentata. I riflessi, bhe, quali cazzo di riflessi?! Seppi solo che in un angolo ci vidi lei, l'angelo custode che mi avrebbe portato in paradiso, colei che avrebbe salvato la mia anima impura e l'avrebbe ripulita affondo. Scansai la gentaglia varia e mi indirizzai verso di lei. Era vera. Non era un allucinazione.
"Oliver" Mi richiamò urlando. Strizzava gli occhi per la musica troppo forte. Portava le braccia conserte e le sopracciglia aggrottate tanto da far trasparire rabbia e furia.
La sentii richiamare il mio nome con insistenza, ma il cervello non mi assisteva, un po' come il resto del mio corpo impuro. Dopo il suo medesimo tentativo di approcciarsi a me, anche se per una lamentela, essa se ne andò e non potei fermarla. Se ne andò via. Mi accasciai al suolo con dei crampi allucinanti allo stomaco. Dovevo sboccare immediatamente. Fui abbastanza lucido da raggiungere il bagno. Diedi di stomaco come mai prima. Sembrava che il cibo di settimane si fosse insediato in quel dannato organo appositamente per essere rimesso in quel momento.

Ero troppo stanco, troppo. Dopo aver rimesso l'ultima volta mi venne da chiudere gli occhi inevitabilmente. Sembrava quasi di svenire, sperai di essere ancora vivo.

***

Mi svegliai le sera stessa. Svenii per un paio d'ore almeno. La musica era ancora pimpante e il cicalio delle voci era presente. Mi alzai e mi diressi in camera. L'avevo chiusa a chiave in modo che nessun altro potesse introdursi. Raccattai giusto un foglio ed una penna rossa, la prima che trovai in terra (l'ordine non era il mio forte) e scrivetti quello che mi passò per la testa. Non ero ancora in me, ma volevo salvare la situzione il prima possibile.

Carter,
perdonami per questa sera. Non sono stato in grado di darti attenzioni, quelle che meriti. Sono stato un coglione, stasera e stamattina.
Voglio vederti. Ti voglio davvero.

Mi diressi spedito fuori dalla porta, ma un invitato si scontrò con me. Aveva in mano una bottiglia di vodka e una ragazza sotto braccio. La lettera si inzuppò di quell'alcolico e bestemmiai come mai.
Maledissi quel ragazzo senza pensarci due volte. Lui mi minacciò di rissa, di solito non mi tiravo mai indietro, ma c'era lei in ballo: non potevo perderla. Non dovevo.
Passai il foglietto sotto la porta a fatica. Sperai con tutto il cuore che fosse arrivato dall'altra parte intera.

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora