41. But not a Lot of spine

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Lei se ne andò, ma non potei evitare di voltarmi per guardarla allontanarsi. Lei fece lo stesso: si voltò e continuò a piangere copiosamente. Mi sentivo una merda vagante, ora. Ed ero solo...Solo con me stesso. Avevo paura di stare solo con me e i miei insani pensieri, ma non potevo permettere che anche la più bella delle creature si facesse male a causa mia.
Mi dispiaceva così tanto...
"Oliver! Sei qui dentro?" Udii la voce di Matt richiamarmi prepotente. Non risposi. Mi trovavo nel mio ufficio con delle stupide lacrime che mi solcavano le guance e come se fossero corrosive, le asciugavo immediatamente, non appena fecero la loro comparsa.

"Sykes, Santo Dio! Qui non abbiamo finito coi fan...Potresti fare la star più tardi?"
Non lo sentivo nemmeno più parlare. Non sentivo proprio più un bel nulla. Rimasi solamente lì per altri cinque minuti a respirare profondamente dalla mia pipa che custodivo gelosamente nel cassetto chiuso a chiave della scrivania.
Pipa...e Meth...Non avevo affatto chiuso con quelle schifezze, nonostante la disintossicazione. Avevo promesso che non ci sarei mai più ricascato, ma era inevitabile...In ogni dove andavo avevo seminato droga. Era la mia dipendenza per esistere. Se non c'era droga, non c'ero io.
Carter era la mia droga, maledizione. Forse auella più pura.

Uscii dalla stanza con Matt che ancora parlava. Il mio sguardo vitreo lo allarmò parecchio, mano a mano che mi scrutava per bene.
"Oli...Non dirmelo, per favore. Non dirmi che ti sei calato qualcosa lì dentro"
Non ebbi la forza di rispondere. Non ci riuscivo per svariati motivi.
Mi controllò le braccia, ma di eroina non mi ero mai fatto nella vita.
Arrabbiato nero con me, come sempre, mi alzò le mani fino a stendermi a terra. Non riuscivo a calibrare nè il dolore nè la gravità del danno. Rimanevo soltanto sul pavimento in preda alla mia metanfetamina. Continuava a urlare e ognitanto mi colpiva ancora, ma non percepivo più nulla; solo dolore. Un dolore atroce. Probabilmente sbattei la testa sul pavimento, ma non ne fui così sicuro; ricordai solo di essermi addormentato.
I fan vennero fatti sgombrare. E l'unica cosa che vidi fu "Drop Dead".

Carter's pov

Non ne potevo più di sentirmi così rifiutata... così desiderata, ma allo stesso tempo gettata altrove come se non fossi importante per lui. Mi aveva dato la possibilità, ora, di rifarmi una vita. Forse mi aveva lasciato qualcosa, mi aveva insegnato qualcosa per riuscire ad andare avanti in modo diverso. Forse il suo compito nella mia vita era proprio quello...
Camminavo senza meta da ore. Avevo fame e sete, ma non avevo alcun soldo con me per potermi permettere di comprarmi qualcosa per tenermi in forze per poi tornare a casa e neppure per tornarci, a casa.
Londra era piena di qualsiasi tipo di negozio. Io mi fermai per un momento davanti ad un locale per uomini. Donne stupende uscivano ed entravano da esso come vere vip. Per un momento pensai che fosse arrivato il momento di sentirmi importante per una volta nella mia vita.

Solo al pensiero che all'inizio fossi solo una ragazza stronza che suonava il violino mi fece rabbrividire.
Entrai e mi guardai intorno con occhio vigile. Non credevo che mai sarebbe diventato il mio mondo. Una donna si parò davanti alla mia marcia verso l'uscita. Una donna magnifica e ben piazzata...Tutto il contrario di me, infondo. Bionda, alta con almeno un aggiunta di dodici centimetri di tacco. Seno in abbondanza e viso super truccato. Quello che aveva in viso sembrava asfalto altro che fondo tinta.
"Che ci fa una ragazza come te, qui?"
"Nulla, veramente...Nulla. Ho sbagliato luogo" Sorrisi tirata e feci per uscire, ma proprio non voleva saperne di lasciarmi andare. Aveva capito tutto quanto e neppure mi ero sforzata. La mia armatura era caduta per davvero.

"Non si entra qui dentro per caso...Non vergognartene"
Sospirai nel sentire la nuda e cruda verità e per una volta mi arresi. Mi arresi all'idea che la mia vita non valeva più nulla. Le carezze di nessuno valevano più nulla, ne i baci e ne gli affetti. Ero sola e preferivo starci per la vita, dopo la droga e la quasi morte.
"Mi piacerebbe...Lavorare" Risultai impacciata, forse troppo.
"Qui sono ammesse solo donne con un carattere imponente...Non posso rischiare che ti scandalizzi per le azioni dei clienti"
Iniziò a far ticchettare i suoi tacchi altrove, ma io feci schizzare le mie converse in sua direzione. La seguii lungo il bancone laccato nero. Le luci violacee e rosate illuminavano le danzatrici mezze nude nel buio. Facevo fatica a guardare quella donna negli occhi.
"Posso servire ai tavoli. Ho servito clienti per anni"
Mi squadrò dalla testa ai piedi e richiese della mia presenza per molte ore nella giornata; molte più di quante ne richiedesse sturbucks. Ma ormai non importava più nulla e nessuno, quindi stavo bene così.

Mi sarebbe andato bene. Me lo sarei aggiustato un po' come un vestito troppo largo: con qualche cucitura arrangiata.

***

2012

La dottoressa Marshall mi interruppe dopo aver appuntato quanto detto.
"Quindi, fammi capire, ti sei dedicata alla lap dance?"
"Non esattamente, voglio dire, ho iniziato servendo ai tavoli - mi fermai per ingurgitare una caramella gommosa - "ma tu hai idea di quanti soldi in più le lap dancer prendano, rispetto ad una cameriera?"
Ormai eravamo così in confidenza che potevo aprirmi. Potevo, forse, fidarmi del segreto professionale. Ovviamente lei non mi rispose.
"Il fatto è che mi sarebbe piaciuto fermarmi a fare solamente quel mestiere, ma non fu proprio così...Ed ora ne soffro parecchio e non posso smettere di fare quello che faccio"
Sospirai e cercai di non far sentire quella che era la mia voce incrinata dal rimorso.
"Sono finita ad accumulare così tanti soldi vendendo il mio corpo ad estranei che non ci riesco..."
La dottoressa mi incitò a concludere la frase.
"Non riesco ad accettare più quello che sono. Non riesco a perdonarmi, non riesco più ad amarmi. Se non riesco ad amare me stessa, non riuscirò neppure ad amare lui, se mai tornerà a farsi vivo, cosa che devo ammettere, non sarà mai più possibile. Insomma, sto vivendo un illusione, una trasposizione di svariati traumi subiti in troppo poco tempo e la cosa peggiore, è che sono ancora viva...Avrei preferito morire con lui in quel bagno d'albergo. Sarei stata così contenta...E poi, sarei stata con lui per sempre"

"Finiamo sempre a parlare di quel gesto, Carter. Non è la risposta quella che stavate cercando nella morte. Tuttavia, devi cercare di ottimizzare le tue scelte e tornare la ragazza di prima. Puoi farcela. Smettila di piangerti addosso e scollati dalla testa quel cazzo di Oliver, per la miseria"
Rimasi esterefatta dalla sua esclamazione.
"Ci conosciamo da tanto...Posso permettermelo" Ammiccò e scoppiò una breve risata risanatoria.
"Smettila di auto commiserarti. Se vuoi qualcosa te la devi prendere, anche se hai fatto bene a fuggire e chiudere una situazione che non ti andava bene.
Quello che devi fare ora, è pensare a cosa vuoi e prendertelo nel più corretto dei modi.
Ora, Carter, cosa vuoi da te stessa?"
Sorrisi sornione. Solleticai il labbro superiore con la punta dell'indice un paio di volte e inspirai.
"Voglio sentire il mio corpo, mio. Voglio riuscire a non vederlo come un mezzo, una macchina stampa soldi, eppure è di questo che necessito...Ora che altro potrei fare per soldi? Ho dei debiti a cui tener testa e molte molte cose da pagare che non potrei permettermi con altri stipendi"
La disperazione si era fatta viva in svariati momenti della vita che stavo facendo, quindi la voce rassegnata e il comportamento correlato non erano affatto strani.

"Tutto ha una soluzione. Se hai preso una casa sproporzionata, una macchina troppo costosa, basta dare tutto dentro e procurarsi cose più economiche, Carter. A meno che tu non voglia avere una carriera da super escort" Non lo disse per schernirmi, bensì per incitarmi ad avere più dignità.
"Il lusso è bello, ma stavo così bene quando rovesciavo il caffè su quelle t-shirt linde di ferro da stiro passato male, ad Ashford...Troppi ricordi"
Una lacrima alla fine scese senza riuscire a fermarla. Fu come Oliver: entrato nella mia vita come una freccia che mai più mi avrebbe lasciata, il suo ricordo non mi avrebbe lasciata, perchè lui non si fece mai più vivo. Dovevo accettare la sua scelta.

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora