24. If I Was You

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Kellin rinunciò all'imminente volo pur di portarmi con lui in America. L'America...Il mio sogno proibito...I costi sono sempre stati così elevati da non potermi permettere non una briciola. Ci avevano sistemato in un motel in prossimità dell'areoporto; la nostra meta non era più Seattle, bensì Portland. Era l'alternativa più veloce. Ero piena di insicurezze rispetto a quello che stavo per intraprendere. Piena di dubbi ed incertezze fino all'orlo, ma dopo tutto avrei iniziato una nuova vita e questo mi bastava come incentivo. Chissà se veramente gli oggetti Americani erano il doppio di quelli europei, se il recipiente del latte era come quello dei detersivi, se avevano seriamente questo odio fremente nei confronti degli Inglesi...Sarebbe stato come entrare in uno di quei film che ho sempre creduto finzione.
Tornai alla realtà non appena Kellin sbucò dal bagno, piegado sul letto i Jeans che si era tolto per mettersi in un comodo pigiama. Ogni tanto tirava qualche occhiata nella mia direzione con un sorrisino soddisfatto.
Feci per introdurre il mio tormento più volte, poi trovai l'occasione.
"Kells, vorrei chiederti giusto due cose" Il mio tono altalenante lasciava traparire l'incertezza. Una falla nel sistema di protezione...Dovevo riparare. Lui si sedette sul suo letto e mi fece segno di parlare con un sorrisetto e un cenno col capo. Mi sentivo davvero in procinto di essere ascoltata.
"Tu hai una ragazza lì in America, non é cosi?" Mi torturai le pellicine dalla tanta tensione che portavo dentro.
"Si...Si, ce l'ho, effettivamente" Ammise.
"E non hai pensato a lei? Insomma, sono confusa, un sacco confusa..." scossi la testa dal panico, così lui si affiancò a me e mi strinse la mano che stavo torturando. Ogni pellicina doleva molto.

"Carter" Il suo tono dolce e basso richiamò la mia attenzione tanto da farmi girare nella sua direzione.
"È un vero casino" Sbiascicai con un attacco di panico quasi imminente.
"No, no, no, piccola. Guardami" I suoi occhi si fecero più grandi non appena li fissai bene, ogni sfumatura curiosa. La sua pupilla si fece grande e, come mi aveva insegnato lui, significava che stava guardando qualcosa che gli piaceva...
Pose con incertezza la mano sulla mia fredda guancia. Poco a poco finì sul collo ed il suo pollice sfiorava il lobo dell'orecchio teneramente, poi...Successe. Incrinò il viso leggermente e si avvicinò guardandomi con intenso interesse. Io lasciai che baciasse le mie labbra. Dolcemente, lentamente. Ci assaporammo, ci scoprimmo intimamente proprio in quell'esatto momento pur avendo i vestiti ancora addosso.

Lo schiocco che determinò la fine di quel bacio fece si che i nostri occhi si aprirono per guardarci, in modo da capire cosa realmente volessimo l'uno dall'altra.
"Sta tranquilla. Fidati di me"
"Non è così facile..."
"Abbi solo un po' di fede, ok?" Annuii a testa bassa. Quella notte la passai nello stesso letto di Kellin, abbracciata al dobbio e alla paura, perchè l'incertezza si era tramutata in paura. La sentivo viva in me. Sembrava stesse vagando come una giovane donna nubile.
Non dormii un minuto a causa della sua presenza destabilizzante. Al posto di farmi fare dolci sogni stava soltanto dandomi calore umano. C'era una sostanziale differenza; un po' come fare sesso e fare l'amore. Uno ti appaga un sacco ed è spesso svolto per un esigenza biologica...Lo sapevo bene com'era il sesso. Non ci sei con la testa, nel senso brutto, però. Pensi solo a quanto sia appagante il piacere e spesso è ancora meglio se il compagno non ti guarda in viso... Sinceramente il sesso non era per me: a me piaceva l'amore, anche se non lo avevo mai provato...Solo sentito parlare.
La mia prima volta fu così drammatica e disturbante che non riuscivo a dimenticare cosa volesse dire il sesso. A pensarci bene, dopo aver maturato l'accaduto...Credevo di essere stata stuprata.

***

La sveglia del cellulare di Kellin fu abbastanza esplicita: ora di muoversi per quell'aereo. Ci svegliammo in lati opposti del letto, ma non appena Kellin fece smettere di trillare l'aggeggio si accoccolò al mio corpo. "Non dovremmo andare?" Domandai con occhi persi nel vuoto. Gli davo le spalle, mi abbracciava da dietro.
"Ancora qualche minuto, dai" Ribattè allegro stringendomi nuovamente. Mi ricordava troppo quel giorno in cui condivisi il letto con Oliver... Non per questo adesso dovevo rinunciare a far entrare qualsiasi uomo nella mia vita perché faceva determinate cose anche Oli.

Ci dirigemmo nei pressi dell'areoporto e l'ansia mista a panico che avevo addosso era terribilmente insopportabile. Un ignezione di insicurezza, tutto sommato. Nonostante le rassicurazioni di Kellin, mi sentivo lo stesso malissimo. Stavo lasciando casa per l'America totalmente senza coscienza. La voce della mia cosidetta coscienza era come se fosse defunta, inesistente. In più dovevo prendere un aereo e la cosa mi turbava non poco! Espressi il mio forte scetticismo per quel mezzo di trasporto e Kellin mi fece la solita morale che tutti quanti una volta nella vita fanno: che ci sono più incidenti in auto o in moto piuttosto che in un semplice aereo. Bhe, io ero in totale paranoia comunque. Provavo così tante emozioni insieme che provavo quasi un senso di oppressione stile stress post traumatico.

Sinceramente non avrei mai pensato che la band di Kellin avesse una notevole molteplicità di fan, eppure dovettimo correre per tutta la lunghezza dell'aeroporto per evitare che ci travolgesse, quella piccola massa informe. Mi strinsi al braccio di Kellin a causa dei manager che ci pressavano insieme pur di proteggerci e spingerci verso l'imbarco.

Ovviamente ero così tesa da tremare visibilmente. Cercavo di contenermi e tendere i muscoli in modo da non sembrare una stupida epilettica, ma era ancora peggio. Potevo solo respirare bene, respirare ed espirare. Inutile evitare di pensare a Kellin che mi guardava sottecchi in cerca di una soluzione per me.
"Carter, hai freddo?" Non aveva capito la situazione e il mio tipo di malessere ed un certo sentore mi fece ragionare sul fatto che forse Oliver mi avrebbe compresa...E per un ennesima volta si era insinuato nella mia testa quel dannato ragazzo. Avevo paura vhe mi avesse lasciato dei segni indelebili dentro di me, ormai.
"No, no. Sono solo spaventata"
"C'é qualcosa che posso fare?" Propose stringendomi la mano sul bracciolo. Guardai la sua tenera azione intensamente, ma il senso di rigidità non svaniva.

"No, veramente, va tutto bene, Kellin. Ho bisogno di un po' di relax...Tutto qui"
"Bhe, capisco, non deve essere semplice catapultarsi in una nuova realtà di cui non sai nulla e dove non hai nulla, ma presto avrai tutto ciò di cui necessiti: te lo procurerò io stesso. Tranquilla"
Avevo una doppia paura che lui non mi stesse capendo affondo.
"Non ho bisogno di cose materiali"
"Non ho espressamente detto che saranno cose che puoi testare con mano..." Mi strinse ancora la mano e sorrise come per farmi forza, per incoraggiarmi. In quel momento sentii di appartenere ad un mondo totalmente diverso dal suo...Lui era così rilassato, senza nessun turbamento, nessuna ansia o paura. Niente. Sorrideva sempre e comunque...Dormire sarebbe stata la soluzione giusta.

***

"Dolcezza...Apri gli occhi! Ci siamo!" Kellin e la sua voce da bambino emozionato mi svegliò dal coma da sonno. Tirò su la tendina accanto a me e si sporse sul mio corpo per poter vedere anche lui l'ultimo tratto di america prima di atterrare nell'Oregon.
"Ogni volta è sempre un emozione particolare" Sussurrò per poi darmi un bacio sulla guancia fredda. Mi scaldai un pochino, dovevo ammetterlo. Ce l'avevo fatta: avevo superato un viaggio aereo viva e vegeta. Tirai un sospiro di solievo e mi apprestai a seguire Kellin fino all'uscita.

Portland era magnifica, anche se non era una delle tappe che avrei preferito toccare la mia prima volta in America. Lui mi teneva stretta a sè come un orologio prezioso e mi indicava ogni piccolo dettaglio della città in cui aveva vissuto delle particolari avventure. Mi accompagnò a piedi, lentamente, in un palazzo poco distante dal centro. Sembrava conoscerlo molto bene, tanto da camminare spedito verso l'ascensore fino ad un piano indefinito, non avevo dato troppa attenzione. Mi consegnò le chiavi di quel posto che ad occhio sembrava enorme e aspettò che aprissi la porta.

Era esattamente enorme come me l'aspettavo ed anche ben arredato. Veramente di classe.
"È un attico che affitto spesso per tirare su qualche soldo in più, per te adesso è totalmente gratuito finché non ti troverai un lavoretto di cui occuparti. A breve ti porterò vestiti e tutto quanto, anche un po' di soldi"
"Non e necessario" Tagliai corto nella mia paura.
"Si, invece. Se sei qui è a causa mia e per questo devo darti una spinta per avere una bella vita" mentre parlava la mia vista vagava sulle enormi vetrate che davano vista sulla strada. Un senso di vertigine mi coinvolse con un brivido. Poi si avvicinò alle mie spalle e mi abbracciò stretta, ciondolandomi a destra e a manca.
"Sei stupenda, sai?" Risi fragorosa.
"Non diciamo cazzate, Quinn"
"Non mento, non è nella mia indole" Ribattè fiero mentre mi guardò negli occhi.
"Ah, no?" Domandai sarcastica.
"Naha" Il suo tono di voce si abbassò tanto da azzerarsi, un po' come la distanza tra le sue labbra e le mie. Faceva ancora parecchio senso questo inciucio di cui facevo parte, ma ci stavo e mi piaceva. Se Kellin agiva in quel modo dovevo fidarmi di lui, di un ragazzo buono.

Suicide Season • Oliver Sykes • #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora