20.

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Arrivati.
Scendo confusa dall'aereo e ripenso alla misteriosa telefonata che riguardava mia madre.
Mia madre.
Comincio a correre con le valigie e le borse in mano, inciampavo sui miei stessi passi e andavo a sbattere contro la gente.
"Scusi... Ehm, permesso.."
"Scusi, sono di fretta!"
"Mi dispiace.."
Era un continuo ripetersi di queste frasi, fino a quando non raggiungo la strada. Trovarmi di nuovo a casa è fantastico. Era solamente da un giorno che me n'ero andata, si, ma la cosa che rende magnifico il mio ritorno è che pensavo di non tornare mai più qui. Mi ero abituata all'idea che non avrei più rivisto questi posti, queste persone, questi piccoli ma importanti dettagli. Tutto viene reso più difficile quando sei consapevole che non dovresti essere qui.
Io non pensavo di tornare, e dunque questo ritorno, è come se non venissi qui da una vita. Non so bene come spiegarlo ma è così.

Riprendo a correre, attraverso le strade fuori dalle strisce pedonali, passo durante i semafori rossi.
Londra è una città grande, e non è sicuro ignorare tutte queste regole stradali, ma come ho detto, sono di fretta. Lo sto facendo per l'unica persona di famiglia che mi rimane.

Corro.
Riconosco da lontano il mio piccolo appartamento e vedo un'affascinante luce brillante dalla mia finestra di casa. Era un segno forse?
Magari era solo un riflesso.
Poi però sento uno strano rumore che mi infastidisce molto: mi fermo per cercare di captarlo meglio e mi accorgo che era solo una stupida ambulanza.
Continuo a correre fino a ritrovarmi davanti al portone principale.
Tiro fuori le chiavi che tengo sempre con me, ed entro.
Salgo le scale (ho chiuso da tempo con l'ascensore). Raggiungo la porta di casa e noto che è socchiusa.
Oh no.
Come l'udito, anche tutti gli altri sensi sono amplificati, compreso l'olfatto.
Sento un forte odore di bruciato e man mano che avanzo nella stanza un colpo al cuore mi lacera il petto.
Poi la vedo.
Mia madre. La brava persona che partecipava alla beneficenza e preparava dolci al cioccolato ai bambini, è lì distesa sul pavimento.
Niente sangue sta volta.
Solo fumo, calore, il tutto avvolto nelle fiamme.
Appena realizzo quello che sta succedendo entra l'ambulanza; quella che avevo sentito poco prima di raggiungere l'appartamento.
Rimango immobile. Non verso una lacrima. Penso di averle finite da tempo ormai.

"Ustioni di terzo grado su gran parte del corpo!" Urla l'uomo.
"Battito cardiaco quasi assente e polmoni.."
Smetto di ascoltare.
Mi concentro sul mantenere la calma.
Creo un muro invisibile nella mia testa che impedisce alle voci esterne di interrompere il mio silenzio.
Voglio solo silenzio.
"Signorina cosa ci fa qui? Deve andarsene!" Un uomo mi prende per un braccio e mi fa uscire da quel mio inferno personale, che stava andando avanti da troppo tempo.
Non oppongo resistenza e mi faccio trascinare fuori.
Vorrei andare all'ospedale con mia mamma e starle accanto. Ma sono una vigliacca. Non sopporterei di vederla in quelle condizioni, il volto quasi non si riconosceva più.
Un incubo che diventa realtà insomma. Mi succedono soltanto cose brutte e man mano che accadono, la tristezza svanisce facendo posto alla rabbia. Tanta rabbia. Troppa.

Non voglio che la polizia mi faccia domande, così faccio quello che so fare meglio: scappo.
La testa mi gira, vedo tutto girare ma corro senza voltarmi indietro.
Avevo deciso che appena mi fossi ripresa da questo trauma sarei andata subito da mia madre.
Arrivo in un bar sperduto su una piccola via sperduta. Entro.
Le persone all'interno mi notano subito: una pazza con i capelli rosa ed una faccia a dir poco sconvolta.
Il barista capisce che sto male e mi prepara subito qualcosa di forte.
Troppo forte per me, troppo alcolico, ma lo bevo lo stesso.
Prendo il pacchetto di sigarette, ne estraggo una e la accendo con un piccolo movimento. Sento il fumo invadermi i polmoni.
Alcool e fumo. È una specie di autolesionismo no? Poco importa.
Ormai non mi resta più niente dentro, un altro colpo, un'altra cosa brutta e sarei crollata. Crollata per sempre penso. Ma avevo ancora un briciolo di speranza: avevo Theo.
Appena penso a lui sento il telefono vibrare e senza pensarci due volte rispondo.
"Alissa dimmi subito dove sei." Mi dice una voce seria.
"Alissa chi? Dici a me forse? Perché se ci tieni tanto a saperlo non lo so nemmeno io dove mi trovo." Rispondo con un tono di voce strano.
"Sei ubriaca!" Mi rimprovera la voce che evidentemente aveva capito la situazione.
"Chi? Nono, affatto. Mai stata meglio." E riattacco.
Theo richiama diverse volte ma decido di non rispondere.

Trascorro tutta la giornata (in senso letterale) in quel buco di bar.
Perché non passarci anche la notte? Intanto era un locale anche notturno.
Lo capisco quando vedo entrare spogliarelliste e gruppi di ragazzi della mia età che ci provano con chiunque.
Un ragazzo si avvicina a me.
"Brutta giornata eh?" Chiede.
Annuisco.
"Anche a me non è andata bene. Ho bisogno di sballarmi."
Si, se solo sapesse quello che sto passando io.
"Mi chiamo Chris." Dice.
"Alissa." Gli stringo la mano.
"Bene Alissa, ti va di sballarti insieme a noi?" Chiede lui quasi più ubriaco di me.
Io non esito e annuisco. Mi lascio andare per una volta, anche se so che il giorno dopo me ne sarei pentita.
Comincio a ballare e a bere insieme al mio nuovo amico.

Era ormai quasi mattina e stavamo ancora ballando, quando sento la porta del locale aprirsi di scatto.
Theo mi cerca con lo sguardo, e quando mi trova viene verso di me.
Incontro il suo sguardo e capisco.

Sono in un mare di guai.

Ciao gente!
Alissa è in guai grossi, e sapeste cosa succederà nel prossimo capitolooo!! Solo a pensarci mi viene male hahaha

Se vi è piaciuto il capitolo lasciate una stellina, e ci tenevo a ringraziarvi di cuore per avermi fatto superare le 2 k visualizzazioni!!:))
Sono contentissima, quindi grazie mille:3

(Anche nell'elenco di tendenza di lupi mannari:o)

VI AMO.

Lo Sguardo Del MaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora