cuorisincronizzati

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[TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI A cuorisincronizzati]

Blair continua a piangere accanto a me. Dio, sembra cosí fragile e non so più come consolarla. Insomma, non é che ci sia tanto da dire quando la tua migliore amica trova il suo futuro marito a letto con un'altra.
«É un bastardo» urla tra le lacrime. Annuisco.
«Concordo» dico. Intanto tutti ci guardano. Forse non é stato molto saggio venire a bere qualcosa al Potter's.Siamo al secondo drink o forse il settimo, ma che importa? Ormai nessuna delle due é molto sobria, anzi, in veritá siamo in bilico tra il brillo e l'ubriachezza.
«Si merita il peggio, che venga licenziato, diventi calvo, impotente e assessuato. Che parta un countdown per l'autodistruzione della casa nuova, che si ritrovi con sei figli e una malattia venerea» borbotta, avvicinato il bicchiere alla bocca. Sono sicura che accanto la mia testa, é apparsa una lampadina. Le strappo il bicchiere dalle mani e subito si lamenta, ma le prendo la mano e la alzo da quello sgabello che ormai dovrebbe portare il suo nome.
«Dobbiamo sbrigarci, se vogliamo fare in tempo» le dico osservando l'orologio.
«Di che diavolo stai parlando?» bascica lei. La trascino via, urlando a Josh, il barista, di mettere tutto sul conto. Ci precipitiamo fuori dal bar, senza che Blair opponga resistenza, dato che si é presa una bella sbronza. Una folata di aria calda estiva ci avvolge in un abbraccio silenzioso, tentando di consolarci da una situazione che Blair non si sarebbe mai meritata. Questa é l'ora di vendicarsi. Quando passa un taxi alzo il braccio per chiamarlo, appena si ferma ci precipitiamo dentro in tutta fretta.
«Hudson Street» annuncio al tassista. Lui accellera per raggiungere la mia meta. Che il mio diabolico piano abbia inizio.

Saliamo le scalette d'emergenza, tentando di fare il più silenziosamente possibile. Impresa un po' difficile dato che Blair barcolla e inciampa in continuazione.
«Marcus lascia sempre aperta la finestra del salotto, giusto?» chiedo cercando di tenerla in equilibrio.
«Certo, é un vizio che ho cercato di eliminare in tutti modi, ma i vermi che ha in testa non hanno mai concordato» dice lei con una smorfia.
«Perfetto» sussurro. Ignoro lo sguardo interrogativo di Blair e arriviamo finalmente davanti alla finestra dell'appartamento di Marcus. Guardo l'orario; sono le due del mattino e Marcus non dovrebbe rientrare prima delle sei. Allugo un piede ed entro attraverso la finestra, meno male che ho messo dei leggins.
«Che diavolo stai facendo?» bisbiglia ad occhi sgranati.
«Mi vendico» dico facendo spallucce.
Mi guardo intorno. Questo appartamento é nuovo di zecca, con tutti i mobili laccati bianchi e neri, vasi di peonie e camelie, stoffe pregiate e arredamenti costosi. Devo avere un paio di chiavi da qualche parte. Frugo nelle tasche, ma non trovo niente, guardo nella borsa e trovo quelle dell'armadietto della palestra. Beh, meglio di niente. Tengo in mano la chiave con sguardo diabolico. Mi giro verso Blair.
«Cosa pensi che sia Marcus?» le chiedo in maniera disinvolta. Lei si porta le mani sotto il mento e si appoggia alla finestra, pensierosa.
«Che é un bastardo» dice. Annuisco e mi avvicino al tavolo di cristallo. É davvero grazioso, ma questo lo renderá speciale. Sogghigno e scrivo 'bastardo' sul tavolo con l'aiuto della mia chiave.
«Continua» la incito. Nel giro di dieci minuti si sono aggiunti 'verme', 'idiota', 'stronzo' e molti altri. Diciamo che non é sopravvisuto nessun mobile alla mia chiave. In più abbiamo distrutto una carta di credito, rovesciato a terra qualche scatoletta di cibo pronto e bruciato il suo completo preferito. Ah, e Blair ha vomitato sul divano, ma non era previsto. Dopotutto é stata una bella mossa. Usciamo dall'appartamento sorridenti e soddisfatte.
«Va un po' meglio?» le chiedo.
«Decisamente» mi risponde.
«Vieni con me.»

Siamo sul ponte di Brooklyn, mentre beviamo una birra e mangiucchiamo noccioline. Era il nostro 'posto speciale' sin da quando eravamo ragazzine, ai tempi dove scappavamo dalla finestra per andare alle feste e poi ci fermavamo qui per stare un po' insieme in tranquillitá. Adesso ci siamo ritornate dopo anni e osserviamo l'alba che spunta con i suoi colori caldi riflessi nell'East River.
«Perché l'hai fatto?» mi chiede dopo un interminabile silenzio, accompagnato dalla musica trasmessa dalla radio del mio telefono. Faccio spallucce
«Perché si» rispondo. Lei mi lancia un'occhiata truce. Odio quando usa i suoi sguardi torvi.
«E va bene» dico, prendendo un respiro profondo. «Ti ricordi il giorno in cui é morta tua madre?» le chiedo. Lei annuisce, con uno sguardo triste. Ecco perché non volevo parlarne. Sospiro.
«Quando sono entrata nella sua stanze per darle un ultimo saluto, mi ha detto poche cose, piccole istruzioni, che teneva tanto che promettessi di eseguirle per il tuo bene. Una di queste cose era proprio prendermi cura di te, l'ho promesso e l'ho fatto, anche se forse sei stata più tu a tenermi d'occhio» dico ridacchiando, anche lei lo fa, ma i suoi occhi sono lucidi.
«Non é soltanto per quella promessa che lo faccio. Cosa siamo l'una senza l'altra? Non so te, ma io non sarei nulla. Quando stai male, piangi, sei afflitta, soffri o in qualche modo sei ferita, ció che senti si riflette in me. Sei l'unica persona con cui riesco a provare vera empatia, forse perché sei parte di me. Lo sei da sempre, da quando giocavamo con le Barbie, da quando andavamo alle elementari con le stesse codine, da quando entravamo in ritardo al liceo e ci beccavamo certe sgridate epiche. Insomma, lo sappiamo entrambe che non sono brava in queste cose, ma ti voglio bene, Blair e chi ti ferisce se la passerá male finché sono nei dintorni.»
«Ti voglio bene anch'io, Juliette» mi risponde. Si fionda tra le mie braccia, stringendomi forte e il suo dolce profumo di ciliegia invade le mie narici. Le stampo un bacio sulla fronte, proprio come faceva mia madre con me quando ero triste.
«Andiamo, sarebbe ora di fare una bella dormita» dico, staccandomi dal suo abbraccio.
«Davvero? Pensavo che tu volessi ripercorrere il viale dei ricordi» dice ridacchiando.
«Non credo proprio» le dico facendo una smorfia. «Su, filiamo a letto.»
«Ehm, non ho piú un tetto» dice stringendo le spalle, imbarazzata. Le sorrido teneramente.
«Finché ci saró io, avrai sempre una casa.»
Allunga la mano verso la mia e io l'afferro senza esitazione. Sul ponte di Brooklyn, sospese sopra l'East River cammino mano nella mano con metá della mia vita, pronta per un futuro pieno di sorprese.

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