Little Girl (Alison's pov)

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Alison's pov

Mi ritrovo qui tra decine di banchi a pensare ... mi chiedo se ognuno di noi ha qualcosa che gli pesa, qualcosa che non può confessare, forse per vergogna, forse per paura.
Sono passati pochi giorni da quando mi sono trasferita in questo campus; la mia vita è completamente cambiata, finalmente sono libera. Ma non del tutto: la sua immagine è sempre presente nella mia mente, provo a cancellarla, a scordarla ma niente, non riesco. Ciò che ho passato è qualcosa che ti distrugge dentro, ti stacca un pezzo di anima e te lo porta via per sempre.
Vago con la mente tra un ricordo e l'altro, finché non vedo il professore entrare in aula.

Ha un aspetto molto trasandato: i pochi capelli che ha sono bianchi e spettinati, porta vestiti stropicciati grandi il doppio rispetto alla sua vera taglia e per completare sul suo viso è accennata un espressione spenta e cupa: il labbro inferiore è rivolto verso il basso, gli occhi vacui che fissano il vuoto e infine un'enorme fronte corrucciata.
Prendo posto velocemente in una dei tanti banchi e tiro fuori dalla borsa il computer per prendere appunti.
Alle otto e mezza spaccate il professore incomincia la lezione. La sua voce è martellante e monotona, infatti mi risulta molto difficile seguirlo. Inizia a scrivere sulla lavagna centinaia di formule, ha appena iniziato e già mi sono persa.
Vengo distratta da qualcuno che si siede accanto a me. Volto leggermente il capo e... non ci posso credere; è il ragazzo della discoteca, spero che non mi riconosca, così mi volto e continuo o almeno provo a prestare attenzione alla lezione.
Improvvisamente sento la sua mano sulla mia spalla e mi chiede:"Ehi ragazzina, hai un aria familiare, dove ci siamo visti?"

"Da nessuna parte" rispondo nascondendo il volto e sperando che l'alcool gli abbia annebbiato i ricordi di quella serata.
La lezione continua e per fortuna il ragazzo non insiste più di tanto sull'argomento. Ma dopo qualche minuto lo sento ridere, si avvicina al mio orecchio e mi sussurra:"Ah, ora ricordo, sei la ragazza che in discoteca non ha saputo resistere al mio fascino e mi si è buttata addosso."

Non so per ancora quanto tempo riuscirò a sopportarlo, è davvero irritante.
"Quindi devo presumere che tu sia un autolesionista, visto che continui a provocarmi" esclamo con tono fermo. Sul suo viso compare un sorrisetto divertito.

"Ah, non mi spaventa una ragazza con qualche problema di autocontrollo."

"Sicuramente avrà avuto un buon motivo per perdere il controllo" Ribatto fulminandolo con lo sguardo.
Dopo qualche minuto sento il suo caldo respiro solleticarmi il collo, poi lentamente si avvicina con le dita alla mia nuca e inizia a giocherellare con una ciocca di capelli. Rimango immobile per qualche secondo poi il mio cervello si riconnette, così mi volto di scatto e gli sussurro irritata:"La smetti di tormentarmi?"

"Tranquilla, stavo solo sistemando il cespuglio" risponde con tono canzonatorio, mentre accompagna una ciocca ribelle dietro il mio orecchio.

 La sua voce viene sovrastata da quella del professore che irritato urla :"Fate silenzio laggiù!"

Abbasso lo sguardo imbarazzata, quando James risponde:"Scusi prof, è colpa mia."
Ma questo, senza prestargli attenzione, continua la sua lezione.

"Ora sarai soddisfatto" Gli dico infuriata, ma non fa in tempo a rispondermi che il suono della campanella invade la stanza, così raccolgo tutto il materiale e mi precipito verso l'uscita senza degnarlo di uno sguardo. Mentre mi accingo a raggiungere la prossima aula lo vedo al mio fianco e mi dice:"Non mi hai ancora detto come ti chiami."

"Non deve interessarti il mio nome" rispondo con tono acido e mi incammino a lunghi passi verso l'aula di biologia.
L'ora è passata velocemente; appena esco dalla classe vedo James appoggiato allo stipite della porta, poi inizia a venirmi incontro con il suo solito sguardo misterioso accentuato dall'ombra sotto gli occhi.

"Ehi, ragazzina, ti andrebbe di mangiare un boccone con me?"

"No... E non chiamarmi ragazzina" rispondo irritata.

"E come dovrei chiamarti dato che non conosco ancora il tuo nome?"

"Mi chiamo Alison. Contento, ora? " Rispondo stufa.

"E per quale motivo non accetti il mio invito? Guarda che non ti rapisco, anche se ne sarei tentato " mi dice con voce maliziosa.

"Ecco, bene, oltre ad essere un perfetto maniaco ora sei anche un rapitore."

"Non ho detto che lo sono, ho detto che vorrei esserlo."

"E non è la stessa cosa?" ribatto infastidita.

"Direi di no, vorrei anche avere un furgoncino hippie e girare il mondo, ma come vedi non l'ho fatto."

"Certo che desideri cose molto normali" dico mentre mi scappa un sorriso divertito che reprimo immediatamente per non dargli la soddisfazione.

"Guarda che puoi anche ridere, non mi offendo" dice mentre mi guarda soddisfatto.
Non posso resistere alla tentazione di immaginarlo con dei fantastici occhiali alla John Lennon, i capelli lunghi ed una fascia fosforescente che gli cinge il capo, con indosso una camicia a fiori e un gilet sfrangiato, alla guida di un eccentrico camioncino stile Scooby Doo, così anche se contro la mia volontà scoppio in una fragorosa risata che coinvolge anche lui. Dopodiché mi si avvicina e cinge le mie spalle con il suo pesante braccio e mi chiede: "Allora signorina, me lo concede questo pranzo?"

"Mi dispiace deluderla, signor Spirito Libero, ma devo pranzare con le mie amiche" rispondo ridendo.

"Allora faremo un'altra volta. Ci vediamo, ragazzina."

"Contaci" rispondo in modo ironico mentre guardo la sua figura allontanarsi.

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