The pain is hunting me (Alison's pov)

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Alison's pov

"Pronto mamma, come stai?"
"Sto bene... Come va al college?
"Mamma dico davvero, come stai?"
"Alison non devi preoccuparti per me, devi pensare solo allo studio."
"Si che mi preoccupo per te invece... Lui dove è?"
"Non è in casa, non c'è da un paio di giorni."
"Lo fa ancora?"
"Alison ti prego..."
"Vieni da me, ho un lavoro, potremmo affittare una casa tu ed io, staremo bene."
"Sai che non posso..."
"Promettimi almeno di pensarci."
"Okay, te lo prometto. Ora devo andare, ti voglio bene" aggiunge frettolosamente.
"Ti voglio bene anch'io" rispondo, ma dall'altra parte del telefono non c'è più nessuno.

Non posso lasciarla sola, lei mi ha sempre aiutata, ha cercato di proteggermi in ogni momento.
Devo andare da lei. Dopo tutto la mia vecchia città non dista molto, solo un paio d'ore di treno.
Così invio un messaggio a Gwen avvisandola che non tornerò per ora di cena.
Mi incammino velocemente verso la stazione.
Il primo treno arriverà tra dieci minuti, la tensione mi distrugge:  il pensiero di incontrarlo, di rivederlo...
Il veicolo sfreccia velocemente davanti ai miei occhi, fermandosi pochi metri più in là.
Milioni di pensieri mi assalgono...

Vorrei resettare la mia memoria ma purtroppo il nostro cervello non è fatto per rimuovere ricordi e più cerchi di scordarli più questi ti perseguiteranno.
A volte credo che dovrei reagire, di dover fare qualcosa per impedirgli di farmi del male. Ma la paura ti paralizza soprattutto quando non è solo la tua persona ad esserne coinvolta.
La verità che molte persone non capiscono mai, fino a che non è troppo tardi, è che più cerchi di evitare la sofferenza, più soffri, perché le cose più piccole e insignificanti iniziano a tormentarti in proporzione alla tua paura di soffrire.

Il tempo passa velocemente, quando esco dal treno una ventata di aria fredda mi sferza il volto come uno schiaffo inaspettato.
Mi dirigo a grandi passi verso la metropolitana la quale fermerà al mio vecchio quartiere.

Siedo difronte al mio riflesso evanescente che mi fissa inespressivo dai sudici finestrini della metropolitana

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Siedo difronte al mio riflesso evanescente che mi fissa inespressivo dai sudici finestrini della metropolitana .
Sento il frenetico bip, che annuncia l' imminente chiusura delle porte cigolanti.
Un vecchio dalla barba ispida, con le pupille offuscate da una sottile patina bianca regge una rosa rossa tra le sue mani rugose.
Chi ne sarà il destinatario? La donna della sua vita?
Vorrei tanto sapere come l'amore possa durare così a lungo.

La mia attenzione viene attirata da un ragazzo dalla corporatura snella e dai capelli color carbone raccolti in una lunga coda di cavallo che delinea un lato del suo lungo e spigoloso viso. É interamente vestito di nero; sembra una macchia di inchiostro nel grigiore circostante che domina.
Indossa degli stivali così larghi che sembra inghiottiscano un parte delle sue sottili gambe, porta degli occhiali retrò rettangolari dalle piccole lenti verdi che rispecchiano la sua insolita rivista.

Un bambino al mio fianco inizia a piangere, il suono irrompe tra i vagoni del treno sbuffante, sovrastando il rumore di apertura delle porte.
Solo dopo qualche secondo mi accorgo di essere arrivata alla mia fermata, così scatto verso la porta e riesco ad uscire solo pochi attimi prima che questa si richiuda.
L'odore di chiuso è contenuto dalle possenti mura ormai scrostate.
Un agglomerato di persone si muovono freneticamente in direzione del proprio treno.

Non posso credere di essere ritornata qui, dove tutto è iniziato...
Ecco la mia città, quella in cui sono nata, in cui sono cresciuta, in cui ho vissuto le poche esperienze belle e quelle più spaventose.
La mia casa è in uno dei quei grossi palazzi popolari, degli immensi e tristi blocchi di cemento che ospitano decine di famiglie.
Le piccole aiuole sparpagliate dinanzi al palazzo ospitano qualche fiore più morto che vivo.
La familiarità di questo posto non mi fa sentire bene come dovrebbe, al contrario mi spaventa, mi opprime il petto, il cuore mi si blocca per qualche impercettibile ma terribile secondo, la saliva mi si ferma in gola trasformandosi in un pesante masso, la vista mi si offusca...

Abitiamo qui da quando mio padre perse il lavoro.
Abbandonai tutto; la vita confortevole della città, la mia scuola, la mia casa, per trasferirirci in questa topaia, l'unica che potevamo permetterci con un unico misero stipendio guadagnato da mia madre.

Incolpata mia madre della sua negligenza, dice che è per colpa sua se non riesce a trovare un lavoro decente, perché lei lo stressa, lo infastidisce e non riesce a dare il massimo. Ma tutti e tre sappiamo benissimo che la colpa è solo sua, della sua immane pigrizia.

Percorro il piccolo spazio che mi divide dal palazzo.
Il suono stridulo del campanello precede mia madre; una donna dai capelli lunghi fino alle spalle e sbiaditi dal tempo. Un volto pallido e stanco con la fronte solcata dalla preoccupazione.

"Alison, sei davvero tu?" Mi chiede stupita.
Le vado in contro e la stringo forte tra le mie braccia.
Mi è mancata così tanto. Senza di lei è come se mi mancasse un pezzo.
Vorrei non lasciarla mai...
Mentre continuo ad abbracciarla emette un gemito di dolore.
"Mamma, va tutto bene?"
Mi allontano e le scruto il volto.
"Ora che ci sei tu va molto meglio."
"Mamma, ti prego, vieni con me."
"Sai che non lo farò."
Sorride stancamente, si avvicina al divano, ci si accomoda con cautela come se da un momento all'altro le si potesse rompere qualcosa.
"Non puoi continuare a subire le sue torture, è pazzo deve essere curato."
"Alison, non parlare così di tuo padre" dice con tono di rimprovero.
"Dopo tutto quello che ti fa continui a difenderlo?"
"Lui ci vuole bene, solo che a volte è molto stanco e stressato."
"Se ci avesse voluto veramente bene non ci avrebbe mai trattate in questo modo."
"Non dire così... Non ricordi quando ti portò la bambola che desideravi da tanto tempo, ricordi quanto eri felice?" dice con un espressione malinconica.
"E tu non ricordi quando mi picchiò così forte che stetti ricoverata per due giorni in ospedale?
Devi smetterla di ricordare quelle poche cose belle che ha fatto e pensare a quello che fa ogni giorno.
Lui non ti ama, mamma.
È quello che vuole farti credere, ma non ti ama."
Le lacrime iniziano a scorrere lungo il suo viso, piccole gocce che contengono tanta tristezza e dolore.
Mi avvicino a lei e la stringo tra le mie braccia.
"Dai mamma, non piangere..."
Si asciuga velocemente il viso con la manica del suo consumato maglione verde di lana e tira su col naso.
"Tesoro, ora devi andare potrebbe tornare e non voglio che ti trovi qui."
"Okay. Mamma però ti prego, pensa a ciò che ti ho detto. "
"Va bene, va bene, ci penserò." Dice liquidandomi con un veloce gesto della mano.
La abbraccio per un' ultima volta e mi preparo a tornare alla mia nuova vita.

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