The Interview - Parte Seconda

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Cominciò a sentire freddo, fino a che una coperta non si posò sulle sue spalle. Cameron pensò che fosse stato qualcuno e trasalì, risvegliandosi un poco con tutte le articolazioni anchilosate a causa della scomoda posizione in cui si era assopito. Quando tirò su la testa dalla scrivania, per qualche secondo la guancia gli rimase appiccicata a un foglio di carta. Poi sollevò lo sguardo e nella penombra riconobbe il viso di Jason su di lui, l'espressione sorpresa.

"Cameron!" mormorò il ragazzo. "Scusa, non volevo svegliarti, volevo solo che non prendessi freddo..."

Sto sognando?

Cameron si tirò su a sedere, una fitta lancinante alle radici della spina dorsale. No, era decisamente sveglio. Fuori dalla finestra era passato il tramonto, cominciavano ad accendersi le luci elettriche. Se ne erano andati quasi tutti ormai.

Ho dormito tutto questo tempo?

"Jason? Che ci fai qui?" chiese, stirandosi, con la voce impastata. Si accorse ora della coperta marrone che aveva addosso, perché nel muoversi scivolò sulla sedia. Capì che era stato Jason a mettergliela. "Hai finito l'intervista?"

"Almeno un'ora fa. Sono venuto a cercarti adesso, ma ti ho trovato che dormivi, così..."

"Perché mi cercavi?" chiese Cameron, intontito, ma con il solito nodo che si creava nel suo stomaco come ogni volta che c'era di mezzo Jason.

"La giornalista mi ha portato un cesto di frutta e sono venuto a dividerne un po' con te" rispose Jason. Mostrò a Cameron un contenitore di plastica che conteneva un grappolo d'uva bianca, tre pesche e due pere. Lo sceneggiatore, a quel punto, strabuzzò gli occhi in un'espressione perplessa che provocò nell'altro una risata. "Mi guardi come se avessi in mano un canguro vivo!"

"Te ne hanno regalata così tanta da poterla dare anche agli altri?" disse Cameron. Si alzò da sedere per sciogliere un poco i muscoli.

Jason stirò ancora di più il sorriso: "A dire la verità, non dirlo a nessuno, ma ho regalato solo una pesca a June."

"E allora perché ne hai portata a me?" domandò Cameron d'impulso.

Il sorriso di Jason si appannò un poco. "Beh" disse, "volevo... Farti un piacere... Per me era troppa."

"Non potevi...?" si bloccò Cameron, appena in tempo. Di nuovo si riaffacciò quel sospetto – quella speranza –: forse Jason non viveva più con nessuno adesso.

"Scusa, non..." iniziò l'attore, certo di aver fatto qualche errore di valutazione. "Volevo farti ridere. Pensavo fosse una cosa carina e che ti saresti divertito... Forse è solo che non sono abituato a queste cose e fanno ridere solo me..."

"No, io... Ti ringrazio, Jason. Scusa se non ho mostrato più entusiasmo ma sono ancora mezzo addormentato." Cameron corse ai ripari. Aveva capito che Jason ci era rimasto un po' male. Così staccò un acino d'uva e lo assaggiò, proponendo a bruciapelo: "Vuoi mangiarne un po' con me, allora?"

Si era accorto che la frutta era stata lavata da poco perché era ancora bagnata. Jason era pieno di ogni gentilezza per lui: prima la frutta, poi la decisione di lasciarlo dormire, poi la coperta... Nessuno era mai stato tanto gentile con Cameron, neppure Bradley quando stavano insieme. Jason aveva un'innocenza e una naturalezza nelle azioni che in tutta la sua vita lo scrittore non aveva mai visto su nessuno. Per questo era così pericoloso, non per sua colpa: era come una scheggia impazzita, un atomo slegato che rendeva Cameron privo di bussola, incapace di capire come era giusto comportarsi. Era totalmente andato, vittima della corrente di Jason. Se non fosse stato più attento, avrebbe mollato il ramo e il flusso di quel fiume in piena l'avrebbe travolto.

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