Three Chairs - Parte Seconda

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Provare in casa non era una passeggiata. Studiava i dialoghi a bassa voce e a volte veniva aiutato da Marshall a ripeterli a memoria, ma negli ultimi tempi per ragioni ovvie Jason non amava l'idea di approfittare troppo del suo tempo. Non era pagato per fargli da stampella ogni volta, doveva cercare di risolversi i problemi da solo. Così si era immerso nella lettura del copione chiuso nel loro studio, lontano psicologicamente da tutto, e aveva raggiunto quella concentrazione tale da permettere un apprendimento più celere.

Non aveva nemmeno più il senso dello scorrere del tempo. Marshall lo trovò in questo stato che erano già le sette e mezza di sera passate, capace probabilmente di continuare fino a notte inoltrata. Era così da sempre, con un'abnegazione che nemmeno Jack aveva mai manifestato per quanto amasse la recitazione. Questo amore, per Jack, non era bastato; mentre per Jason era semplicemente tutto.

Gli mise con delicatezza una mano sulla spalla, per non spaventarlo. Lui trasalì appena e rientrò lentamente dagli abissi del suo pensiero, riappropriandosi del suo corpo e della stanza, assorbendo infine la presenza di Marshall.

"Dovresti fare una pausa e venire a mangiare qualcosa" disse quest'ultimo dolcemente.

"Io... Sì, forse hai ragione. Tanto non sto concludendo nulla" sospirò Jason.

"Ne dubito" disse Marshall e gli massaggiò le spalle. "Stai facendo un lavoro eccellente. Hai visto l'articolo su Vogel com'è lusinghiero" rise. "Avrebbero potuto tranquillamente soffermarsi solo su quanto sei paurosamente figo, e invece impiegano quasi una pagina intera per dire che sei bravo."

"Quello che ho già fatto è già fatto. Devo preoccuparmi di mantenere un buon livello" replicò lui preoccupato.

"Sei teso come una corda di violino. Non va bene."

"Sono sempre più sotto pressione."

"Dai. Vieni a cena. Ho già messo in tavola."

A quel punto Jason recuperò del tutto la cognizione del tempo e si voltò verso di lui con gli occhi azzurri spalancati, guardandolo dabbasso: "Hai fatto tutto da solo?"

"Sì, senza problemi."

"Scusa, avrei dovuto aiutarti..."

"Non importa. Stavi lavorando... E poi per stasera non ho scaldato niente. C'è una sana insalata con salmone affumicato che ci aspetta."

"Mi dispiace..." disse Jason e gli accarezzò il polso; gli veniva così facile sentirsi in colpa per questo genere di cose. Marshall prese la sua mano e se la portò alla bocca, baciandola. Poi, come deciso a non lasciar perdere, gli pose le mani sulle spalle e si chinò per baciare anche lui. Era così carino quando faceva il gentile ed educato, che Marshall non sapeva resistere.

"Ammetto che mi manchi, da quando lavori così tanto. Sono contentissimo che succeda, però sento la tua mancanza" disse Marshall con un sorriso malizioso. "Non sai quanto siano importanti queste ore per me..."

Si inginocchiò di fronte a lui, sul tappeto, e armeggiò con la cintura dei suoi pantaloni in modo da rendere ben chiaro il concetto. Jason, che fino a quel momento non credeva che si andasse a parare lì, trasalì di colpo.

"N-non... Non dovremmo mangiare?"

"Te l'ho detto, la cena ci aspetta... E poi io sto per farlo" rispose seduttivo Marshall.

"U-un attimo!" Jason gli fermò entrambe le mani, prima che lui riuscisse a toccarlo. Era rosso come un peperone. "P-per stasera no, non sono in vena."

Quella mattina... Era stata una di quelle mattine in cui lui e Cameron avevano potuto rubare un po' di tempo insieme e naturalmente l'avevano speso tutto in un motel. L'avevano fatto più volte, insomma, e Jason era ancora fisicamente scarico. Marshall se ne sarebbe accorto immediatamente; conosceva il suo corpo come le proprie tasche e avrebbe notato tutta la differenza.

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