An interrupted couple - Parte Seconda

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Adam moriva dalla voglia di baciare Marshall. Gli capitava spesso, forse perché i momenti in cui aveva la possibilità di avvicinarlo erano scarsissimi rispetto a quelli in cui condividevano effettivamente lo spazio. Durante il lavoro, tante volte erano a pochi centimetri e Adam avrebbe dato chissà cosa anche per allungare un dito e sfiorare la stoffa dei suoi vestiti. Non osava fare neanche quello. Non poteva parlargli. Avrebbe voluto chiedergli come stava, perché sembrava stanco e sempre più abbattuto. In realtà lo sapeva, sapeva tutto: persino lui aveva visto i titoli sui giornali. Ma la verità era che ad Adam non fregava niente di Jason Grant, gli importava solo di come stesse Marshall. Però aveva troppa paura che, chiedendo a bruciapelo e in un momento poco opportuno, l'avrebbe indisposto nei propri confronti ancora una volta. Era un po' risentito dal fatto che non fosse stato lui a offrirgli qualche rapida spiegazione; che nelle ultime sere fosse quasi scappato via, rendendo impossibile a Adam restare finalmente solo con lui. Ma anche se all'inizio aveva avuto paura che il capo lo stesse evitando, aveva poi capito che non era affatto il centro del suo mondo al momento: Marshall aveva concrete gatte da pelare.

Quel giorno invece si stava attardando. Poteva guardarlo di sottecchi, attraverso la finestra con le tapparelle che dava nel suo piccolo ufficio; era alle prese con una lunga telefonata e ormai Adam poteva indovinare dai suoi occhi che stava parlando con Jason.

Rose gli passò accanto, era ormai sera e aveva infilato il cappotto. "Buona serata, Adam" gli disse con un sorriso, senza notare che l'amico stava spiando il loro capo.

Lui trasalì confuso, e la salutò in risposta. Poi si rese conto che, a parte Rose che se ne stava andando, non c'era più nessuno nel negozio. Quella telefonata aveva avuto, per una volta, il merito di trattenere pure Marshall. Erano soli. Adam non poté fare a meno di gioire interiormente: ormai disperava. Posò qualunque cosa avesse in mano al momento, e camminò felpato verso l'ufficio. Vide, con gioia, che Marshall stava attaccando in quel momento, con un'aria prostrata che raramente gli aveva visto.

Si introdusse nell'ufficio in modo eccezionalmente furtivo per i suoi standard, tanto che per una volta spaventò Marshall a causa dell'apparizione improvvisa. "Tutto bene?"

"Adam!" esclamò Marshall col batticuore per la sorpresa. "Non credevo fossi ancora qui."

Io vado sempre via dopo di te. Sempre.

"Brutte notizie... al telefono?" Adam sapeva che non erano affari suoi, che Marshall gli avrebbe potuto rispondere con stizza a una domanda del genere, ma desiderava sapere. Lo desiderava sul serio.

"Eh? No... Jason farà di nuovo tardi, stanotte..." rispose con sguardo sfuggende, le mani sui fianchi, pensieroso.

La voce di Jason era strana, al telefono. Dissimulava ma non era per nulla capace a farlo. Era successo qualcosa, qualche altro casino di cui si guardava bene dal parlare con Marshall e che doveva affrontare quella sera stessa. Così, ovviamente, lui era in ansia. Non confidava affatto nella capacità di Jason di mettere le cose a posto, specie nella situazione in cui era. O, forse, era accaduto qualcosa di diverso, forse... Era successo qualcosa con l'altro; chiunque egli fosse. Carter, Cameron. Magari erano più di uno. A Marshall non importava niente, purché...

"..ero?" La voce di Adam interruppe le sue torbide meditazioni. Marshall si riscosse.

"Eh?"

"No, dicevo... Ehm... Che stasera, quindi, sei libero?" domandò speranzoso Adam, con la voce impalpabile di chi ha paura delle proprie stesse richieste.

Marshall stavolta lo guardò e strabuzzò gli occhi, non aspettandosi quella domanda. Era come se essa l'avesse riacchiappato per le caviglie mentre stava fluttuando nello spazio e l'avesse tirato di nuovo giù, rammentandogli l'identità della persona che aveva di fronte. Rispose con una domanda, più per cautela che per non avere inteso: "Che vuoi dire?"

I rovi della lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora