Intimacy

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Quando avvertì il bussare alla porta dell'ufficio, Carter sollevò appena la testa. "Sì?"

Quasi senza fare rumore, Monique entrò, indossando quel tailleur azzurro che le stava divinamente. Era bella, lo era sempre stata, agli occhi di Carter; ma adesso quella bellezza si rivelava avere un sapore diverso.

"Di cos'hai bisogno?" disse in fretta. Non poteva fermarsi un minuto, quel giorno.

"Rispondi a un terzo dei messaggi che ti mando. Sono tre sere che mi dai buca per vederci" esordì lei calma, chiudendosi la porta alle spalle e restandovi appoggiata. "C'è qualcosa che non va?"

Lui la guardò come se non la vedesse. "Cosa? No. Devo essermene dimenticato."

"Carter..."

"Lo sai che sono dietro al caso Keller. È più ostico ogni minuto che passa... Ora è pure venuta fuori la faccenda delle molestie sessuali alle dipendenti, sto provando in tutti i modi a sgarbugliarmi, è da stamane che faccio telefonate..."

"Non mi stai evitando?" chiese lei, dritta al punto. Era evidente come si fosse preparata ogni parola, e il tono che ci avrebbe messo. Non voleva suonare accusatoria, però desiderava sapere, con tutto il cuore.

Carter la osservò di nuovo ed esitò, un momento di troppo. Abbassò, finalmente, il fascicolo che teneva in mano. Disse: "Non è un buon momento, tutto qua."

"Che significa?" chiese subito lei. "Non è un buon momento nel senso che rimandi a sabato, alla prossima settimana, che usciremo a cena di nuovo e tu verrai a casa mia e continuerai a usare lo spazzolino che hai lasciato nel mio bagno, oppure non è un buon momento nel senso che non sai se vuoi stare con me oppure no?"

"Non è un buon momento" rispose Carter di nuovo. "Semplicemente questo. So che può essere difficile per te, ma quello che so è che... Ho bisogno di tempo per occuparmi delle mie cose, adesso. Non ti chiedo di aspettare i miei comodi, Monique. Solo, non posso essere presente adesso. Ho la testa... da un'altra parte."

"Solo per il lavoro? O c'è dell'altro?" chiese lei e ogni buon proposito sfumò, la maschera di comprensione cadde.

Carter si alzò, aggirò la scrivania, ma non andò verso lei. Si accostò, invece, alla finestra, guardando fuori. Notò che anche se era giorno, nel cielo era distinguibile la luna. Innocua, informe, quasi goffa adesso. Capace di stregare, invece, nel regno dell'oscurità.

"Monique... Io... Non credo di poterti dare, al momento, quello di cui hai bisogno" dichiarò infine.

Lei si raggelò. Tra tutte le possibilità, non si era attesa quelle parole. "C-come... Perché, così d'improvviso? Andava tutto bene, una settimana fa."

"Va ancora bene, Monique. Non c'è niente che non va. Però io... Credevo che questo rapporto fosse ciò di cui avevo bisogno in questo momento della mia vita. Ma non è così. Non... Non riesco, a metterti al centro del mio mondo come invece dovrei, come ti meriteresti. Ci sono troppe cose che vengono prima e che occupano i miei pensieri..." dichiarò e capì fino a che punto era meschino: le aveva detto la pura verità e comunque, allo stesso tempo, mentiva. Non era cambiata la situazione, né era stata una decisione razionale e ponderata: non era stata neanche una decisione, in effetti. Era stato il suo stato d'animo a cambiare, piuttosto, o meglio: a non cambiare affatto.

Aveva atteso per mesi quella cosa che avrebbe reso Monique ai suoi occhi importante quanto Kelly, quanto Viola, quanto... Ma quella cosa non era mai arrivata. Mai. Lei era rimasta una presenza del panorama, che non incideva davvero. E non era giusto. Era come se Carter si fosse trovato sconnesso dalla realtà. Avrebbe dovuto provare certe cose, e invece non le sentiva.

I rovi della lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora