A revelatory moment - Parte Seconda

160 13 0
                                    

Il cuore che batteva tutto il santo giorno. Solo perché lui era lì. Anche quel far finta che non fosse cambiato nulla era emozionante per Adam. Ai suoi occhi, Marshall Fox era bravissimo a dissimulare qualunque pensiero potesse balenare nella sua mente riguardante i loro trascorsi – sempre ammesso che non fosse addirittura capace di tagliarli completamente al di fuori. Unicamente quando guardava Adam si dipingeva sul suo volto una nota di biasimo, e Adam distoglieva immediatamente gli occhi e cercava di ostantare la sua concentrazione sul lavoro, anche se era trasparente come la carta velina.

"Adam!" gridò una voce prendendolo di sorpresa.

Era Rose, la sua collega; che lui stava per colpire maldestramente con una tanica da due litri di detersivo nello spostarla in modo disattento. La tanica cadde a terra per la sorpresa dopo che ebbe mancato la ragazza per un pelo.

"Rose! Scu-scusami... Io..."

"Sta' attento a quello che fai, o finirai per uccidere qualcuno!"

"Mi dispiace..."

La guardò allontanarsi indispettita per lo spavento preso. In colpa, sentendosi come al solito un buono a nulla, Adam raccolse il detersivo. Quando si risollevò era apparsa la figura di Marshall come un fantasma in agguato, e lui si prese un colpo.

"Riesci a fingere almeno un po' più di così?" gli domandò con sufficienza, a bassa voce, inclinando la testa. "Mi fai sentire teso ogni volta che ti guardo."

"Ah, io, ehm... Scu-scusa, Marshall..." si affrettò a dire Adam, rattrappendosi e abbassando lo sguardo, pieno di vergogna.

A quel punto, il suo capo arrossì un poco; per fortuna Adam non poteva vederlo. "Beh, almeno hai imparato a chiamarmi per nome. Facciamo progressi."

L'altro sollevò lo sguardo, non aspettandosi quella replica. Non riusciva a decifrare l'espressione di Marshall, che gli diede una pacca sulla spalla.

"Coraggio. Se fai il bravo, dopo l'orario di lavoro avrai un premio."

"Eh?" chiese ebete il facchino.

Marshall si accostò a lui e, sentendosi vagamente sporco, cercò di essere più chiaro: "Avrai un premio da me. Se..." fece una pausa. Se l'avesse udito qualcuno dall'esterno, l'effetto sarebbe stato orribile. "Se ti va."

Adam lo osservò a lungo e Marshall ebbe il tempo per rendersi pienamente conto di cosa aveva appena fatto – un'allusiva profferta sessuale a un suo dipendente, per quanto tardo nel recepirla fosse – e avere un poco voglia di scavarsi una buca e sparire. Poi, finalmente, Adam afferrò o credette di farlo il senso delle parole di lui e arrossì a sua volta, improvvisamente agitato. Prima che potesse dire nient'altro, Marshall si allontanò, lasciandolo in condizioni ancora più tempestose di quanto fosse stato prima.

C-che intendeva?

Lo spiò fino a quando poté vederlo, paralizzato come un palo. Adam non poteva crederlo, pensò di avere capito male. Era come se pensasse che quello che era accaduto a casa sua due notti prima fosse stato solo un sogno, e adesso trovasse impossibile l'idea che Fox – Marshall –, il suo capo sempre così serio e professionale, si comportasse in quel modo per davvero.

Non che ad Adam dispiacesse.

Doveva solo cercare di farsi passare quel principio di erezione.

Si trascinò per le restanti ore di lavoro, stando attento a ogni passo. Non bastava a prevenire proprio tutti gli incidenti, però ricontrollare quattro o cinque volte ogni sua mossa era un buon contraltare alla sua naturale imbranataggine. Era ben deciso a tardare e a ogni collega di lavoro che lasciava il supermarket alla chiusura, il suo cuore faceva un tuffo. Sperò ardentemente che, con quelle parole, Marshall avesse quantomeno sottinteso che sarebbe rimasto. Vedeva la luce accesa nel suo ufficio e friggeva, quasi non si accorgeva di quando i compagni di lavoro lo salutavano prima di andarsene. Fingeva di essere ancora molto indaffarato, di essere indietro con il lavoro del giorno e non potersene andare fino a che non aveva messo a posto tutto.

I rovi della lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora