Fill the void - Parte Prima

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Non riusciva a togliere gli occhi di dosso al registratore posato tra lui ed Erin Romanoff. Il sorriso gentile della bella donna, venato di comprensione, voleva mettere Jason a suo agio, ma non era abbastanza. Si sentiva gli occhi dello staff di lei puntati addosso. Praticamente era come l'Inquisizione Spagnola. Come era finito lì? Jason voleva solo recitare, non aveva chiesto tutto questo.

Quando lui e Jack passavano ore a parlare di ciò che li avrebbe attesi, non immaginavano mai altro che quello: recitare, a teatro o in un set, provare l'ebbrezza di calzare sottopelle di volta in volta a nuovi personaggi. Nelle elucubrazioni non era mai presente niente che alludesse al corollario di questo mondo. C'erano gli applausi, non la fama; il riconoscimento, non l'essere riconosciuti; il nome su una loncandina, non tra le pagine di un giornale o di un blog. Non esisteva il bisogno di raccontare se stessi, perché l'attore al pubblico deve solo i suoi personaggi, deve sparire dietro di essi. Questo era quello che gli sarebbe piaciuto spiegare alla Romanoff e che lei potesse farlo comprendere ai suoi lettori. Ma non sapeva se ne era capace.

Con l'agenzia aveva pattuito i punti saldi dell'intervista passo passo, più volte; ma ora prima di iniziare sentiva di aver già perso il filo.

"Possiamo cominciare?" chiese Erin pacata. Jason fissò il suo rossetto, dalla linea curva e perfetta. Annuì. Lei fece partire la registrazione.

Cominciarono a ripercorrere quelle che erano state le ultime settimane, con la storia venuta a galla a tradimento. In un momento focale, la giornalista chiese: "Ciò che ancora non sappiamo e nessuno si è chiesto è: quale è stata la tua reazione alla notizia?"

"Io... sono rimasto molto sorpreso per il peso che gli è stato dato, e anche per la delusione che ha suscitato. Ci sono persone che mi scrivono per solidarietà, altre invece... Che hanno preso il mio comportamento come ingannevole. Non era questa la mia intenzione e se davvero alcuni si sono sentiti truffati, me ne scuso. Davvero. Non volevo offendere nessuno."

"Alcune associazioni LGBT si sono lamentate perché ritengono che, se un personaggio pubblico è gay, abbia una sorta di dovere sociale di dirlo, per dare il buon esempio e fare in modo che i ragazzi si sentano meno soli. Lei che ne pensa?"

Jason prese un respiro che però fu tagliato a metà dallo stress. "Credo che bisognerebbe domandarsi davvero cosa sia un personaggio pubblico. Io non mi sono mai visto così. Il mio... è un lavoro. Quando lavoro tengo fuori ciò che riguarda la mia vita, come tutti. Pensavo solo a quello, io... Non mi vedevo come personaggio 'pubblico'. I miei personaggi sono pubblici, io... Io sono una persona, e ho... una sfera privata, tutto qua, che non deve incidere su ciò che faccio per lavoro."

Temeva di aver preso una china sgradevole. Anche la Romanoff aveva smesso di sorridere e ora aveva le labbra strette. Jason capì che voleva aiutarlo. La donna infatti affermò: "Non si può negare che per un uomo gay la vita sia molto più difficile che per un uomo etero. Tutti danno per scontata l'eterosessualità di qualcuno, fino a prova contraria. Mentre da un uomo gay ci si aspetta un coming out, come se fosse tenuto per correttezza a mettere in chiaro le cose."

Sentendosi trasportato dalle sue parole, Jason annuì con energia: "Sì, è strano perché si vive come su due livelli... Tu hai la tua vita sentimentale che ritieni normalissima, ma poi ti relazioni con gli altri e c'è come un muro... Quello che dovrebbe essere naturale, non lo è più. La reazione dei media al mio outing ne è una riprova."

"Quindi Jason, scusa se te lo chiedo così a bruciapelo... Ciò che è stato affermato, riguardo alla tua omosessualità... Si tratta della verità?" La questione centrale, rapida e indolore. La pausa sospesa. Attesa. Un respiro più deciso di prima.

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