Approach strategies - Parte Prima

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Cameron non aveva quasi sentito il terremoto, affogato già quasi tra i suoi scritti e appunti. Quando la terra aveva tremato era già quasi addormentato sul tavolo del salotto di casa sua in un tentativo infruttuoso di buttare giù una bozza per le scene del nuovo episodio. Non aveva scritto che due righe, cancellato e ricancellato miriadi di volte quello che non lo convinceva, e alla prima battuta di Ewan si era bloccato del tutto. Era nei guai fino al collo e a nulla servì l'intervento di Scott per riscuoterlo dalla sua catatonia: era venuto a cercarlo per sapere se stesse bene dopo il terremoto, stranamente allegro. Cameron ricordava vagamente che Scott quel giorno aveva un appuntamento importante per lui, ma davvero non ricordava più cosa e non aveva nemmeno l'energia per chiederglielo. Era distrutto, doveva consegnare e ancora non aveva scritto una riga che fosse una. Pensò di chiedere aiuto ai colleghi, di delegare il lavoro, ma odiava l'idea di gettare la spugna così.

Raramente gli prendevano queste crisi creative, ma quando capitava erano terrificanti, lo bloccavano del tutto. La voglia di dedicarsi a quel lavoro scemava quanto più vi si applicasse e il motivo scatenante lo conosceva bene: il pensiero di Jason.

Non poteva più sentirsi distaccato rispetto al proprio lavoro, fino a che c'era lui.

Era un disastro.

Devo chiedergli scusa. Devo parlare con lui.

Questo non avrebbe risolto niente, in realtà; ma almeno avrebbe alleggerito il senso di scontento e colpa che rimordeva Cameron da quando si erano parlati l'ultima volta. Se già era diventato difficile scrivere le battute di Ewan quando andavano d'accordo, ora, fino a che non chiariva la questione con l'attore, ne era del tutto incapace.

Era pavido. Non sapeva come fare. Ma doveva seguire il consiglio di Scott: parlare con Jason. Da quando aveva spento il sorriso che quel ragazzo aveva per lui, il mondo di Cameron era diventato buio, gelido.

Ho sbagliato tutto. Non so come rimediare...

Se continua così, dovrò considerare seriamente di cambiare lavoro.

Aveva cominciato ad accarezzare quell'ipotesi sul serio, di recente. Non era mai accaduto prima; nemmeno con la questione June e Ryan. Quelle erano bazzecole, al confronto dell'essersi infatuato di uno degli attori principali e non avere più via d'uscita da questo.

Con una simile situazione non era affatto possibile convivere in finta pace.


Negli ultimi giorni, Carter aveva sempre tenuto un occhio sulla vetrina del bar nell'ipotesi di scorgerlo. Finora non aveva avuto successo. Pensò che Jason fosse passato di lì solo per caso quella volta ma che non avesse possibilità di tornarci. O volontà. Quel giorno, però, quando ormai non ci sperava più, lo vide passare attraverso il vetro, fermarsi davanti alla porta e osservare all'interno. Carter fece ampi segnali, per attirare la sua attenzione; finalmente intercettò lo sguardo di Jason e questi sorrise, contento. Entrò nello Starbuck's e raggiunse l'uomo seduto.

"Speravo fossi qui!" pigolò l'attore felice. "Volevo tanto farti un saluto."

Senza parlare, Carter estrasse dalla sua valigetta la felpa rossa che Jason aveva lasciato proprio a quel tavolo l'ultima volta, e che lui aveva provveduto accuratamente a piegare. "L'avevi dimenticata qui... Te ne eri accorto?"

Sorpreso, Jason la afferrò e commentò colpito: "No, credevo di averla persa. Ma... Te la sei portata dietro tutti questi giorni?"

L'uomo, particolarmente allegro quel giorno, si strinse nelle spalle: "Beh, nel caso tornassi qui."

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