Fragments - Parte Seconda

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Era distrutto. Aveva voluto restare assieme a Cameron per tutto il tempo in cui gliel'aveva concesso. Anche se ciò significava vederlo piangere, prendersi i suoi pugni. Era l'espiazione minima per tutto il dolore che Jason gli aveva causato, quello che anche Carter gli aveva rinfacciato, aprendogli gli occhi. Non voleva lasciare Cameron, ma non poteva fare altro. Non era stato onesto.

Non si era proprio posto il problema di esserlo. Viveva in due compartimenti stagni: c'era il Jason che aveva tutta l'intenzione di invecchiare accanto a Marshall e il Jason che si era genuinamente innamorato di un ragazzo. Si era quasi dimenticato che, in realtà, aveva un solo corpo che non poteva spartire a metà. E un solo cuore, contrariamente ai sintomi.

Quando rientrò in casa erano le cinque del mattino. Tutto era buio e lui era completamente esausto e disfatto, malfermo sulle gambe senza essere ubriaco. L'intervista che lo attendeva al varco era nulla in confronto alla bufera che aveva appena attraversato. Ormai non aveva più paura di niente. Non poteva esistere niente di più sgradevole della rottura con Cameron, come conseguenza delle proprie azioni.

Le chiavi gli caddero di mano facendo rumore, imprecò a bassa voce, urtò una sedia. Sicuramente aveva svegliato Marshall, che aveva il sonno leggero. I suoi occhi si inumidirono, al pensiero che era finalmente a casa, che Marshall era nel letto tranquillo e addormentato. Camminò verso la camera, per controllare se davvero i rumori che aveva prodotto l'avessero in qualche modo infastidito. Buttò un'occhiata, poi una seconda più approfondita poco prima di andarsene. La nozione era talmente priva di senso che dapprima il suo cervello non l'aveva registrata: il letto era vuoto, ma oltre a quello, era intatto. Non poteva essere. Jason accese la luce, controllò meglio, piroettò su se stesso. Cercò in bagno. Niente. Nessun segno che Marshall fosse effettivamente lì.

Si preoccupò. In genere, Marshall gli diceva sempre se si tratteneva e non vi era comunque alcuna ragione di essere ancora al supermarket così tardi. Prese il cellulare. Nessun messaggio o telefonata. Stava per chiamare febbrilmente il numero, ma si fermò. Si bloccò. Piombò a sedere sul letto, come se avesse le allucinazioni.

Le mani di Jason iniziarono a tremare. Scacciò quella sensazione, quel pensiero, ma il sesto senso lo blandiva prepotente. Erano mesi che prestava poca attenzione a ciò che succedeva a Marshall, attorno a lui. L'aveva lasciato solo. Il ragazzo... L'uomo che lavorava per lui. Adam. Stavano a contatto stretto tutti i giorni, era l'unico essere vivente di sesso maschile abbastanza attraente che Marshall frequentasse fuori dalla cerchia che condivideva con Jason, in più quest'ultimo aveva sempre avuto l'impressione che non gli fosse pienamente indifferente. Dal modo in cui Marshall ne parlava, in cui distoglieva lo sguardo nel farlo. Jason non aveva alcuna certezza, però se formulava l'ipotesi irrazionale di un eventuale altro uomo nella vita di lui, l'unico volto a cui riusciva ad associare il pensiero era quello. Forse quella sera si erano infine trattenuti insieme. Forse... non era nemmeno la prima volta, perché erano settimane che Jason se ne stava praticamente girato dall'altra parte.

Non era nelle condizioni psicologiche per ragionare con freddezza. Si fece prendere dal panico. Provò una sensazione orribile, come se una sabbia mobile lo stesse risucchiando verso il basso con la sua forza centripeta e lui non avesse alcun appiglio. Tutto ciò che toccava si sfaldava sotto le sue mani. Non aveva punti di appoggio.

Sudava. La fronte era imperlata di gocce gelide. Guardò fuori dalla finestra; stava lentamente albeggiando. E lui aveva combinato un gran casino.

Tutto ciò che contava per lui – Marshall, il lavoro, Cameron – si stava sgretolando tra le sue mani.

Marshall...

Marshall era l'unica cosa, l'unica, che non poteva permettersi di sacrificare.

I rovi della lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora