Parallel lines

130 9 0
                                    

Non si aspettava la sua visita. Non ancora. Non prima di avere il fegato di maturare qualche decisione o risoluzione. Cameron invece, senza ancora essere uscito dal suo personale tunnel, si ritrovò alla porta Daniel che sfoggiava un sacchetto di cibo cinese in segno di pace.

"Ciao, tigre. So che stai lavorando, ma ti domando asilo" esordì Daniel sulla soglia. "Tu non hai idea del casino che ha combinato il tuo amico Scott. Non lo immagineresti mai."

Entrò bypassando Cameron, non accorgendosi per ora della sua espressione disorientata. Gli era sembrato più che altro avesse la sua solita aria trasandata di quando era completamente immerso nella scrittura.

Non poteva sapere che Cameron non toccava una penna o un pc da ore, del tutto introflesso verso se stesso e la propria condizione. Non era pronto, non ora, né a parlare né a fare finta che nulla fosse successo. Daniel si era messo in cucina a spacchettare la cena e in ritardo si accorse del fatto che Cameron era ancora immobile presso la porta chiusa.

"Ehi, che hai, tutto bene?" lo richiamò alla realtà, in tono quasi scherzoso. "Pensavo di poterti raccontare la tragedia che è scoppiata in casa di Hunter..."

"Daniel" fece Cameron, tornando per la milionesima volta sui passi che già tante volte aveva ripercorso nella sua mente. "Dobbiamo parlare."

Stavolta, lo scenografo si bloccò. Capì finalmente che, se da Hunter era scoppiata l'Apocalisse, anche da Cameron l'aria era cambiata. Pareva che non vi fosse scampo, dunque. Si avvicinò a lui, per la prima volta da che era entrato studiò il suo pallore. "Ehi, che hai? Qualcosa non va?"

"Ho parlato con Ryan." Non sapeva dove altro iniziare. Cameron si morse il labbro inferiore, dopo quella dichiarazione.

Subito l'espressione di Daniel si indurì. Sempre più. "Che cosa?" sputò, scioccato. "Hai visto Ryan? Hai parlato con lui? Quando? Dove?" Pausa, livorosa. "Perché l'hai fatto?"

Cameron non sentiva la sua rabbia, come se restasse trincerato dietro un muro spesso. Occhi bassi, quello che rispose fu: "Mi ha raccontato di voi due."

La carica aggressiva di Daniel si spense di colpo. Come la Medusa di fronte alla sua immagine riflessa, si pietrificò.

"Mi ha raccontato che voi... Eravate amanti. Che siete stati, l'uno per l'altro, il primo" continuò Cameron con una flemma che lo proteggeva. "Che eravate solo dei ragazzini, ma che la vostra relazione segreta è andata avanti molto a lungo... Ed è per questo che i vostri rapporti familiari sono così difficili."

"I miei rapporti familiari" precisò, in un respiro, Daniel.

Cameron piegò le labbra in un sorriso teso. "Perché? Tu non me l'hai raccontato. Anzi, oserei dire che me l'hai tenuto nascosto. Forse te ne vergognavi, eppure... Quando hai scoperto di me e Ryan, proprio in quel momento sei tornato da me. Questo è un punto che non riesco a togliermi dalla testa, per quanto cerchi di trovare un appiglio..."

Daniel sentiva il bisogno di sedersi, ma non lo fece. Restò sospeso come se dei fili invisibili lo tenessero ancora in piedi, privo ormai di vita. "Ryan... Te l'ha detto?"

Cameron chiuse gli occhi sofferente, scosse la testa. "Non ce la faccio più a essere preso in giro, non ci riesco. Non anche da te. Tutto ciò che abbiamo vissuto insieme è stata una menzogna, e tu lo sapevi, lo sapevi. Hai usato me per colpire lui."

"Cameron..."

"Sei innamorato di tuo cugino?" chiese Cameron a bruciapelo, aprendo gli occhi di scatto e fissando Daniel, per la prima volta.

Stupidamente, Daniel disse: "Cameron, io... Non ti ho mentito. Sto bene davvero con te..."

"Non mi hai mentito. Certo. Sei innamorato di Ryan?" incalzò lo scrittore, duro. "Sei venuto da me perché sapevi che ero stato con lui?"

I rovi della lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora