The one that frees you

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Carter aveva l'impressione di aver sbagliato dress code: si era aspettato che la lettura pomeridiana di un copione cinematografico con pubblico selezionato sarebbe stata un evento più formale, invece lui col suo completo impeccabile da ufficio era quasi un pesce fuor d'acqua. L'abbigliamento delle persone in coda con lui davanti al teatro era piuttosto casual, a dire il vero. La sua eleganza, però, pareva non bastare a farlo entrare in scioltezza: quando fu finalmente il suo turno, la strada gli venne sbarrata dall'omone che monitorava gli ingressi.

"Biglietto, prego."

L'avvocato cadde dal pero. In effetti, tutte le persone prima di lui in coda avevano qualcosa da mostrare – un badge, un pass, un documento d'ingresso... Solo ora Carter si rendeva conto di essere completamente a mani vuote. "Biglietto?"

"Sì. Se non ha il biglietto, non ha diritto d'ingresso a questa lettura."

"Sono... Un amico di Jason Grant. Mi ha invitato lui, è uno degli interpreti" tentò di spiegare.

"So chi è" rispose imperturbabile l'uomo. "Ma se non gli ha fatto avere un documento che la autorizzi, devo chiederle di farsi da parte e lasciar passare gli altri. Sta intralciando la coda."

"Io... Non avete una lista di nomi, o...?" chiese Carter, cominciando a sentire sulla schiena la pressione e il malumore della gente ferma dietro di lui.

"Niente liste, non siamo una discoteca. Chi può entrare deve avere uno straccio di biglietto" ribadì il controllore. "Il prossimo!"

"Carter!" chiamò una voce trafelata dalla strada. L'avvocato, in difficoltà, si voltò e vide Jason che gli correva incontro; era uscito da un'altra porta del teatro. Quando lo vide, anche l'omone si bloccò, in attesa. Jason si fermò accanto a loro e tirò fuori il biglietto: "Scusate! Quasi mi dimenticavo di dartelo!" aggiunse, col fiatone, spostando gli occhi verso l'amico.

Al solo vederlo, l'umore di Carter si risollevò, il suo volto si distese e prese il biglietto dalle sue mani. "Non fa nulla!"

"Ora può passare" disse l'omone.

"Mi dia un attimo" rispose l'avvocato e lasciò che la coda scorresse, mettendosi in disparte. Si dedicò solo a Jason, intenerito dal vederlo così agitato. "Tu come stai?"

"Bene. Bene. Alla grande" rispose l'attore con le mani sui fianchi. "Sono contento che ci sia tu."

"Io sono contento di esserci" sorrise Carter.

Non una buona idea, perché Jason sbarrò ancora di più gli occhi azzurri su di lui, pieni d'incanto, conseguenza che metteva sempre un po' a disagio l'avvocato.

"Sei..." chiese, con la gola secca. "Sei sicuro di stare bene? Non vorrei che lo stress fosse troppo."

Gli sembrava di giocare sempre con il fuoco, con Jason: la sua crisi era estremamente recente, ma a parte mandarlo in terapia, gli sembrava di non fare abbastanza.

"No... Io... Di solito sono abituato" rispose Jason. "È solo che questa parte è veramente importante per me, e l'idea di farla ascoltare per la prima volta e che tu sia in platea mi emoziona molto."

"Forse non sarei dovuto venire" azzardò preoccupato l'uomo.

Jason si schermì. "Non lo dire neanche per scherzo! Ho lavorato come un mulo perché sapevo che venivi tu! Quasi ho perso la voce! Ti prego. Ho bisogno di te."

Gli aveva afferrato un braccio sulle ultime note e Carter esitava. Erano le stesse parole che gli aveva detto lui sulla scogliera: ho bisogno di te. Ricordò che, se Marshall e Jason non avessero rotto, probabilmente Marshall sarebbe stato lì per il suo Jason. Forse era sempre venuto in quelle occasioni e Carter poteva immaginare quanto fosse difficile per l'attore, ora, non avere più il suo compagno tra il pubblico.

I rovi della lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora