Capitolo Dodici

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Nonostante siano passate delle ore la sensazione delle sue labbra caldi e morbide sulle mie, la sua lingua umida che velocemente si insinua all'interno della mia bocca accarezzandola e danzando con la mia lingua, il respiro che si blocca in gola... è ancora persistente. 

Non ho alcuna intenzione di lasciare la mia stanza per nessun motivo al mondo e tanto meno non ho intenzione di vederlo dopo quello che ha fatto. Probabilmente sarei capaca di ucciderlo seduta stante.

Mi ragomitolo tra le calde coperte e continuo ad osservare il vuoto davanti.

Non riesco a non pensare al sogno che ho fatto prima che mi ritrovassi davanti la faccia di quel nano malefico. Più che sogno lo chiamerei incubo perchè alla fine è quello che era.

Rivedere in modo più cruento, più violento, più sanguinoso in che modo  mia madre veniva picchiata, torturata e violentata da quei bastardi senza volto mi fa vomitare. Nella mia mente risuonano ancora le sue urle, i suoi lamenti silenziosi ogni volta che quei bastardi mettevano le loro luride e pudrite mani su di lei. E io non potevo far altro che ascoltare quella straziante canzone ogni singola volta.
Avrei tanto voluto consolarla, abbracciarla, dirle che sarebbe andato tutto bene ma non potevo ne con un abbraccio, ne con qualche parola ne con uno sguardo.
Ogni sera, quando questo bastardi avevano finito con lei, la sentivo piangere il mio nome, come una dolce poesia, fino ad addormentarsi.
Avrei tanto voluto salvarla quel giorno ma non ho potuto fare niente ed ora non so neanche se è viva.

Mi sento inutile.

Sono inutile.

Sento in cellulare squillare e rispondo senza vedere chi sia.

<< Pronto chi è? >>

<< Eren sono Armin. Ti va di uscire con noi stasera? Ci saranno tutti. >>

<< Armin grazie per l'invito ma non sono dell'umore giusto per uscire stasera. Forse la prossima volta. Ciao. >> dico riattaccando. Mi dispiace trattare Armin in questo modo ma realmente non ho alcuna voglia di uscire stasera. 

Mi alzo dal letto, prendo il mio album da disegno e mi siedo sul davanzale della finestra. Osservo il paesaggio e trovo qualcosa che stuzzica leggermente la mia attenzione.

Ad ogni linea, sfumatura, provo a sigillare le mie emozioni, le mie lacrime nel tentativo di non provarle mai più, ma è inutile. Invece di scomparire, almeno in parte, questo senso di opressione continua ad aumentare bloccandomi il respiro.

Finisco il disegno,

(IL DISEGNO NON E' MIO)

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(IL DISEGNO NON E' MIO)


poso l'album e decido di farmi un doccia nella speranza di alleggerire il mio corpo da questa costante tensione. Apro il getto aspettando che l'acqua arrivi alla giusta temperatura per poi laciarmi avvolgere da essa per alcuni minuti. Mi lavo velocemente il corpo, ancora pieno i cicatrici, e i capelli e ritorno in camera mia con addosso solo una paio di pantaloni grigi di una tuta. Mi butto sul letto, mi metto gli auricolari e faccio partire " Feel Invincible" dei Skillet*.

Save Me From The DarknessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora