Capitolo Quattordici

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Ero già sveglio da qualche ora: non sono riuscito a dormire bene dopo quell'incubo raccapricciante.
Ho continuato a guardare un punto indefinito della parete per tutto il tempo.
Ogni volta che chiudevo gli occhi quella scena ripiomba adesivamente nella mia mente.
Levi mi ha detto che oggi pomeriggio verrò dimesso, ma non mi interessa.
Mi hanno portato la colazione ma non riesco a mangiare.

Non ce la faccio.

Ogni tanto l'infermiera che accompagna Levi vieni a controllarmi. Cerca di instaurare una conversazione ma dalle mie labbra non esce neanche una sillaba.
Rimango così fino al momento della mia uscita.
Meccanicamente indosso i vestiti che Levi mi ha portato - un maglione grigio a collo alto virgola dei jeans leggermente aderenti e le mie Nike - e, dopo aver firmato tutte le carte, ci dirigiamo verso casa.
Il viaggio è silenzioso: nei miei pensieri lui con lo sguardo sulla strada.
Entrato a casa mi dirigo direttamente verso la mia camera buttandomi sul mio letto.

Mi sento uno schifo: non riesco ad alzarmi.

Fa male.

Non ci riesco alzarmi.

POV'S LEVI.

Ho riaccompagnato il moccioso a casa. Appena arrivati si è diretto immediatamente verso la sua stanza.
Ha un aspetto terribile:  non più quello di un ragazzo all'apparenza normale, ma, ormai, è diventato il fantasma di se stesso.

Il suo sguardo, di solito leggermente accesso e combattivo, ora sono freddi, spenti, senza più nessuna scintilla di vita.

Forse dopo dovrei chiamare Hanji per risolvere questa assurda situazione. Per ora è meglio vedere come va la situazione.

Dalla mia borsa di lavoro prendo un flacone di sonniferi e dall cucina preparo un panino con insalata e formaggio e mi dirigo verso la camera del ragazzino. Apro la porta e lo trovo disteso sul letto, ancora vestito, con lo sguardo rivolto verso il soffitto. Poso il panino sul comodino, mi siedo al bordo del letto e l'osservo.

Non so il perchè ma vederlo in questo stato mi provoca un certo... fastidio: mi provoca dolore.

<< Dovresti mangiare qualcosa. >>

Scuote la testa. Sospiro.

<< Moccioso devi mangiare qualcosa. Non hai toccato cibo da ieri sera. >>

Nuovamente nega con la testa.

Dopo alcuni secondi mi sto per alzare quando all'improvviso sento la sua mano fermarmi per il poso sinistro.

<< Non te ne andare, ti prego. >> 

Una pugnalata al cuore lo colpisce pienamente quando sento la sua voce quasi inesistente. Era peggio di un sussurro tratenuto ricolmo di tristezza, disperazione, irrequitudine, senza alcuna voglia di vivere. Gli suoi occhi sono gonfi e leggermenti rossi segno che da un momento all'altrosarebbe scoppiato a piangere in un pianto disperato, isterico.

Istintivamente mi risiedo sul letto e lo stringo forte al mio petto.

E come avevo previdto ecco il pianto disperato.

Lo sento tremare nelle mie braccia ed in modo spontaneoporto le mie mani sulla sua schiena calda e sui suoi capelli morbidi nel tentativo di farlo calmare almeno in parte. Per tutta risposta il ragazzo mi abbraccia a sua volta diminuendo i singhiozzi.

Rimaniamo in questa posizione per un bel po': lui con la testa completamente sprofondata sul mio petto e io sulla sua testa. 

Solo ora mi accorgo che emana un buon odore: mi piace.

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