Capitolo Venti

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È passato qualche giorno da quella sera...

Ho lasciato il lavoro al bar. Connie ci è rimasto male, ma non potevo sopportare l'idea di frequentare lo stesso posto del mio presunto carceriere e aggressore. Per mia fortuna sono riuscito a trovare subito un altro lavoro come commesso in un negozio che vende articoli per pittura, scultura e disegno non molto distante dalla casa di Levi e da quella di Hanji.

Quest'ultima qualche giorno fa ha chiamato per avvisarmi che, "sfortunatamente", sarebbe dovuta stare via ancora per qualche settimana o giù di lì, cosa che, in parte, mi rese felice.

Ho più tempo da trascorrere con Levi... E quindi definire questo rapporto che c'è tra noi.

In questi giorni ho scoperto che è una persona molto protettiva, possessiva ed estremamente gelosa e questo... mi piace. Mi fa sentire così dannatamente bene quando la sera, dopo aver preso i sonniferi, che sono costretto a prendere, mi stringe forte a sé e non mi lascia per tutta la notte.

È così dannatamente premuroso... Però... Non riesco a togliermi una domanda che continua a tormentarmi...

Che cosa siamo io e lui ora?

È alquanto fastidiosa come domanda. Non mi lascia godere a pieno questo momento tanto dolce e magnifico facendomi così alla fine dubitare di tutto.

Ho provato a parlarne con lui ma ogni volta che ci provavo mi sentivo la voce morire e il coraggio abbandonarmi facendomi sentire come se non fosse il momento giusto per chiedergli una cosa di tale importanza...

Sono appena uscito da scuola e come di consueto l'auto di Levi è qui fuori ad aspettarmi per accompagnarmi a lavoro. Saluto Armin e mi dirigo di corsa verso la vettura aprendo la portiera del passeggero e chiudendola appena salgo.

E come di consueto Levi fa appoggiare le sue labbra sulle mie per dare vita ad un dolce e voluto bacio al quale partecipo più che volentieri. Dopo alcuni minuti, che mi sono sembrati quanto a un battito di ciglia, il bisogno di respirare ci fa separate ed automaticamente appoggiamo la fronte l'uno su quella dell'altro.

<< Come è andata? >> mi chiede allontanandosi dopo aver lasciato un fugace bacio a stampo e facendo partire l'auto.

<< Noiosa come sempre. >> rispondo sorridendogli leggermente appoggiando la testa alla finestra.

<< Prima che me ne dimentichi è molto probabile che io stasera non sarò a casa. Ho il turno al pronto soccorso, forse. >> dice accarezzandomi dolcemente il ginocchio sinistro. Ha lo sguardo puntato verso la strada e le labbra serrate in una linea sottile.

Credo che sia preoccupato per me, o per essere più precisi di quello che potrei fare. Lo capisco: anch'io certe volte non mi fido di me stesso.

Questa volta però mi devo trattenere.

Lo devo fare.

Per lui.

Per far sì che così si possa fidare di me.

Per me.

Lo devo fare per me.

Per un "noi" se mai ci sarà.

Lo devo fare per mia madre.

In qualche modo devo uscire da questo stato patetico in chi sono caduto dal giorno della mia libertà e cercare di ritornare ad essere l'Eren di un tempo.

Per mia madre.

Il suo volto sorridente e luminoso investe la mia mente coprendo il mio volto con un alone di tristezza, nostalgia, preoccupazione e.... rabbia.

Save Me From The DarknessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora