Capitolo cinquantadue

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« Ecco le vostre ordinazione: un caffè espresso amaro e un tè ai frutti rossi. » s'intromette la cameriera facendo tacere per un momento la pazza occhialuta.

Sono con Hanje in un piccolo bar molto tranquillo vicino all'ospedale. Non potevamo allontanarci di molto visto che lei è ancora di turno.

È da quando siamo entrati che parla a vanvera di non so cosa. Non le sto prestando molta attenzione: sto giocando con il pacchetto di sigarette da quando ho messo piede qui dentro.

« Finalmente è arrivato il mio tè. Sono così stanca... Non vedo l'ora di finire questa giornata e di tornare a casa. » si lamenta stringendo tra le mani la sua amata bevanda calda. Apro per l'ennesima volta il pacchetto di sigarette decidendo di estrarne una questa volta, l'accendo stringendola tra le labbra per poi aspirarne il contenuto.

« Dunque Levi perché mi hai chiesto di vederci?»

« Hm? » rispondo distratto troppo concentrato a osservare il modo in cui la nube di fumo si dilata per poi sparire in così poco tempo. La mia mente è ridotta a un caos già da diversi giorni.

« Levi non sono stupida. Anche se mi piacerebbe molto pensare che mi hai invitata qui per una semplice chiacchierata tra amici lo so che il vero motivo che ti ha spinto a chiamarmi non è questo. In tutti questi anni che ci conosciamo non mi hai mai chiamato per vederci come semplici amici. Mai. »

Sono veramente così insensibile da non averle neanche una volta pensato di offrirle qualcosa in tutti questi anni? Eppure, mi ricordo di sì...

La osservo con la coda dell'occhio. Il tono di voce con cui mi ha parlato aveva un non so che di professionale...

Beh, se l'è veramente meritato il titolo di miglior psicologo: poche occhiate alla situazione e già ha in mano un quadro generale.

E io che volevo introdurre con calma l'argomento.

Faccio un altro tiro dalla paglietta scollando subito dopo la cenere all'interno della ceneriera.

« Si tratta di Eren » affermo a bruciapelo bevendo un goccio di caffè.

«Cosa è successo a Eren? Sta male? Non dirmi che hai osato toccarlo in quel modo? Giuro che se gli hai fatto qualcosa io - ...» inizia a parlare a vanvera con quel suo tono di voce iperprotettivo

« Non gli ho fatto niente stai calma pazzoide. Sta bene. » la interrompo prima che possa dire una cazzata

« Sicuro? Non lo hai toccato?»

« Non sono così stupido da distruggere tutti i suoi sforzi per un desiderio che si può controllare. »

« E allora cosa gli è successo? » il modo in cui mi parla e mi osserva ricorda molto il fare apprensivo, agitato e preoccupato delle mamme quando si tratta dei propri figli. Non mi sorprende molto questo suo lato. Hanje, non volendo, finisce sempre per legarsi in qualche modo con i suoi pazienti. Chi meno e chi no.

Più la guardo e più noto che il suo legame con Eren è molto più forte di quello che aveva creato con i suoi pazienti. Più forte di quello che condividiamo io e lei. E più la guardo e più mi chiedo se sia giusto renderla partecipe alla storia di Eren. In che modo potrebbe assimilare quelle informazioni? Da amica? Da madre? O da psicologo? E quanto tempo ci vorrà per farle elaborare il tutto? Qualche ora? Giorni? Settimane?

Io stesso non so quanto tempo mi ci vorrà. Sono già passati alcuni giorni e ancora non riesco a togliermi di dosso quella strana e fastidiosa sensazione che ho da quel giorno. Non riesco a sfiorarlo senza sentire il mio cuore contorcersi su sé stesso e ogni volta che poso lo sguardo sul suo corpo ho uno strano formicolio alle mani, come se volessi prendere a pugni qualcosa o qualcuno.

Save Me From The DarknessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora