Capitolo Trentasei

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Siamo camminando senza nessuna meta per le vie della città che ha appena iniziato a vivere con il suo continuo flusso di gente che scorre senza sosta. 

Abbiamo lasciato il ristorante una ventina di minuti fa. Levi non ne voleva proprio sapere di farmi pagare almeno la metà del conto. Una volta usciti poi dal grazioso locale non mi ha rivolto la parola neanche per sbaglio. Continua a camminare con lo sguardo fisso in un punto impreciso davanti a sé. È come se il mondo intorno a lui non esistesse. Esiste soltanto lui e il flusso di pensieri che scorrono nella sua mente come la gente che gli passava accanto.

E sono stato io a portalo a circondarsi di quel flusso  fatto di pensieri. È colpa mia se ora siamo più distanti di quando non lo eravamo già.

Continuiamo a camminare senza meta: lui che spiana la strada ed io dietro che seguo l'orma dei suoi passi. Non smetterò mai di ripetere quando la sua schiena sembri così forte e grande. 

D'un tratto si ferma: siamo accanto a un piccolo parco dalle mura in mattone rosso e il cancello in ferro battuto. Entriamo dentro l'area caratterizzata da ampi spazi verdi e da colori vivaci dati dalla presenza di numerose giostre e panchine. Continuiamo a camminare guidati dai vari lampioni che sono presenti fino a raggiungere una panchina, su cui ci sediamo, vicino a una piccola fontana con la statua di una donna inginocchiata, dagli occhi bendati e dalle ali aperte, come decorazione.

Sento l'ansia schiacciarmi lo stomaco. 

Non so cosa aspettarmi da lui, non so perché siamo venuti qui in un posto un po' troppo tranquillo. Non so come comportarmi. Molto probabilmente ho rovinato la nostra relazione con la mia uscita di poco fa. 

Qualcosa di bagnato e caldo scorrere sul mio viso e mi rendo conto di star piangendo. 

E non dovrei, ma ne ho un assoluto bisogno.

<< Hey moccioso che hai? Shh calmati >> È la prima cosa che dice da quando siamo usciti dal ristorante. Il mio volto è bloccato tra le sue mani costringendomi ad alzare la testa per incontrare i suoi occhi. 

E io non voglio quindi li chiudo.

<< Eren mi stia facendo preoccupare. Avanti dimmi cosa c'è che non va. >> continua con voce calma e dolce mentre cancella con i polpastrelli delle dita il percorso lasciato dalle lacrime che continuano a scorrere.

<< Sc- scusa- mi >> tiro su con il naso. Probabilmente gli ho fatto schifo.

<< Non c'è niente di cui scusarsi, credimi. Ora calmati ok? >> sussurra lasciandomi un leggero bacio sulla fronte per poi appoggiare la sua fronte sulla mia ed accarezzarmi le guance. Apro gli occhi.

Rimanere imprigionati tra quelle sfumature di metallo azzurro e nero è la cosa più bella che si possa mai desiderare. Annegarci dentro, farsi penetrare nel profondo per poi percepire quella sensazione di sicurezza, di protezione diffondersi dentro di te...

Si allontana, torna a sedersi sulla panchina e, non distogliendo neanche di un millimetro il suo sguardo dal mio, picchietta sulle gambe.

Veramente? Vuole realmente che mi sieda sulle sue gambe? Non ha minimamente paura di ciò che la gente pensa? È così coraggioso?

Esitante mi alzo dal mio posto per sedermi poi sulle sue gambe e poggiare la testa sull'incavo del collo. Delicatamente con il braccio sinistro mi circonda la vita e mi attira a se mentre con la mano destra mi asciuga il viso dalle rimanenti lacrime.

Sembra di essere tornati a stamattina con quella sensazione di sicurezza che mi avvolge che va a pari passo con il senso di repulsione che invade il mio corpo.

Save Me From The DarknessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora