Capitolo 1

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Buio. Ovunque, intorno a lei era nero. Buio totale.
Era morta? Sicuramente non era all'Inferno: non avvertiva calore, né sentiva urla disumane. Eppure, non era neanche in Paradiso: niente luce accecante, né beatitudine.

E, allora, dove si trovava? Voleva girarsi per guardarsi intorno, perciò provò a muovere le gambe ... Ahia.

Erano indolenzite, non poteva muoverle. A quel punto provò con le mani. Sì! Un indice si mosse, ma il braccio era pesante e non voleva saperne di alzarsi. Se magari la testa avesse reagito, sarebbe stato un grande passo avanti.

La testa. Già... Le bruciava come se avessero appiccato un incendio al suo interno; nonostante ciò, provò a girarla a destra, poi a sinistra.
Pessimo errore.
Qualcuno le aveva sparato una pallottola nelle tempie, o era solo una fitta acuta?
Inferno, optò. Cosa aveva mai combinato per finire all'Inferno?
Non lo sapeva, non ricordava. Forse succede questo quando si muore: non ci si ricorda della vita. E adesso doveva pagare per colpe che non sapeva di aver commesso.
Apri gli occhi. Quella voce nella sua testa non faceva altro che ripeterlo.

Ormai era finita, non aveva senso provare paura, e lei era sicura di non provarne. Perciò lo fece, aprì gli occhi.

Eccola!
La luce la accecò, tutto intorno era bianco, anche se non sembrava, poi, così meraviglioso e paradisiaco.
Girò ancora la testa e i dolori la colpirono come mille frecce avvelenate, scoccate da Guglielmo Tell, dritte dietro la sua nuca. Ma, stavolta, riuscì a percepire altro: qualcosa di soffice e fresco. Una nuvola?
Non lo sapeva, la vista era ancora annebbiata. D'altra parte, si accorse che l'aria che respirava era alquanto fresca.

«Bentornata.» disse la voce, la stessa che le aveva intimato di riaprire gli occhi.
Nel suo spazio visivo si materializzò una macchia.
«Riesci a vedermi?» chiese. Si rese conto solo allora che la voce calda e profonda era maschile. La macchia prese forma, pian piano riuscì a distinguere prima i capelli neri, spettinati che si concludevano in un soffice ciuffo sulla fronte e che minacciavano di coprire gli occhi... gli occhi. Dio. Quegli occhi erano qualcosa di fenomenale. Li aveva mai visti prima? Non lo sapeva. Due occhi di ghiaccio come quelli erano difficili da dimenticare.
La sue pelle era fatta di ceramica, sottile, chiara, coperta sulle guance da un filo di barba che stava appena crescendo. Come descrivere tanta bellezza? Le labbra gli si schiusero in un dolce sorriso.
Non tutti gli angeli avevano i capelli biondi.
«Sì.» farfugliò «Ti vedo.» eccome se lo vedeva.

Il viso le si contrasse in una smorfia di dolore.

«Dove mi trovo?» chiese con un filo di voce. I suoi occhi erano due fessure.
«Siamo in ospedale, non ricordi?» disse lui. Era viva.
Solo quando il ragazzo si lasciò andare allo schienale di una sedia capì che era seduto accanto al suo letto.
«No.» rispose. Fece un grande sforzo per aggiungere anche: «Da quanto sono qui?»
Il ragazzo aveva un'espressione decisamente preoccupata.
«Precisamente da trentacinque ore. Sono le dieci di mattina e sei qui dalle undici di sera dell'altro ieri.»
Oh merda. Ecco spiegate le gambe indolenzite. E i dolori?
«Cosa mi è successo?» le sembrava più facile parlare, ora.
«Hai sbattuto la testa, hai perso i sensi. Ci hai fatti spaventare.»
... Ci?
La confusione la assalì. Si portò una mano alla fronte e scoprì che era fasciata, dal momento che le dita toccarono la garza morbida.
Ok, doveva sapere di più. O meglio, doveva sapere tutto.
Guardò di nuovo il ragazzo-angelo. Si sistemò meglio sul letto, fino a trovare una posizione comoda. Gli occhi fissi in quelli di lui.
«Tu chi sei?» gli chiese.
Lui si incupì, deluso. Non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo.
Oh, no. Non voleva ferirlo.
«Ehm, scusa. Non è colpa tua...» balbettò «È solo che ... non ricordo.» sputò tutto d'un fiato.
Lui la guardò con aria interrogativa, poteva capirlo dai suoi occhi.
«Partiamo dall'inizio.» disse lei «Io chi sono?»
«Oh, merda!» il ragazzo si portò le mani tra i capelli e alzò gli occhi al soffitto. La maglia nera a mezze maniche gli lasciò scoperti i muscoli delle braccia. Gli angeli potevano dire parolacce?
«Amnesia retrograda. I medici lo avevano detto.» continuò lui.
Amnesia? «Cosa?»
Lui la guardò, triste, comprensivo «Che avresti potuto perdere la memoria.» scosse la testa «Ma non credevo fino a questo punto.»
«Diavolo! Questo sì che è un bel problema. Mi aiuteresti a ricordare?» che tono sdolcinato! Si vergognò mentre lui la guardava. Era pietà quella nei suoi occhi?
Lui prese un bel sospiro «Ti chiami Lara Wells, i tuoi genitori sono John e Claire e dovrebbero essere qui a momenti.»
John, Claire... sì, quei nomi le erano familiari, ma quel ragazzo «E tu? Sei mio fratello?»
«No, Lara.» rise.
«Oh, menomale, sei molto carino.» forse, questo non avrebbe dovuto dirlo.
Lo guardò, rossa in viso, le sembrò che anche lui fosse arrossito. Non rideva più.
Doveva rompere il silenzio «Non sei un mio parente, vero?»
«No.» il ragazzo sorrise di nuovo.
«Scusa...» lei si fece pensierosa «Se tu non sei un mio parente, allora che ci fai qui dentro?»
«Lara...» disse con voce carezzevole.
Le faceva uno strano effetto sentire il suo nome pronunciato dalla voce melodica di lui.
«Io sono Ethan Bay. E ti ho tirato fuori da quell'inferno.»

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