14 - Forte a sufficienza

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La spensieratezza di quel periodo durò appena qualche mese, poi arrivò un momento in cui Uriel iniziò a star male, e noi con lui. Non si trattava di un malanno specifico, ma di tanti piccoli sintomi che Abel ed io non riuscivamo a spiegarci in alcun modo. Le sue assenze aumentarono, crollava dal sonno molto più spesso e quando dormiva era sempre molto agitato. Se gli chiedevamo spiegazioni ci diceva di stare bene, ma era chiaro che qualcosa non andava.

Non si convinse a parlarcene fino a che non fu inevitabile. Accadde praticamente per caso, in un orario in cui di solito Abel ed io eravamo con il nostro gruppo.

Quella mattina Abel era occupato a fare una gara di velocità con i ragazzi e, visto che Uriel non si era fatto vedere per due giorni consecutivi, avevo deciso di fare uno strappo alla regola e di andare da lui anche di mattina.

Non lo trovai nel bosco nemmeno stavolta, perciò decisi di attenderlo vicino al fiume, dove spesso andava dopo le sue missioni più difficili perché diceva che il rumore dell'acqua lo rilassava.

Restai in attesa per più di un'ora; lo vidi finalmente comparire nella sua luce dorata quando ormai stavo perdendo le speranze. Si era materializzato davanti al fiume, anzi, proprio sulla riva. Era a qualche metro da me, ma non appena mi vide mi diede le spalle come per nascondersi alla mia vista.

«Azalee? Perché sei qui?». Sembrava agitato.

«Scusami, so che non dovrei venire anche al mattino, volevo solo assicurarmi che stessi bene. Tra poco me ne vado».

Mossi un passo verso di lui, ottenendo solo di farlo irrigidire ancora di più.

«Ferma, non avvicinarti».

Mi bloccai. Uriel continuò a darmi le spalle senza alcuna spiegazione, inginocchiandosi vicino all'acqua con movimenti pieni d'ansia e lasciandomi scorgere, senza volerlo, delle macchie di un rosso intenso sulla sua maglia.

Mi sentii rabbrividire. «Che cos'hai? Quello è... sangue?».

Iniziai ad agitarmi anch'io. Si era ferito? Quanto era grave? Perché era da solo in un momento del genere?

«Sto bene, Azalee, devi credermi. Non è mio».

Capì che ormai era inutile nasconderlo e si girò a guardarmi. La mia espressione gli fece capire che le sue parole non mi avevano tranquillizzata per niente, così si tolse la maglia in tutta fretta e la gettò lontano da me.

Diceva la verità, non era ferito.

Tirai un sospiro di sollievo. «Adesso posso avvicinarmi?» sperai.

Uriel annuì appena, e in un secondo ero già accanto a lui. Non mi guardava, si stava lavando nervosamente le mani e i polsi nella corrente del fiume, che ora trascinava con sé acqua di colore rosso acceso.

«Te l'ho detto, sto bene. Torna dai tuoi amici, ci vediamo nel pomeriggio».

«Non dire sciocchezze, non stai bene per niente!» scoppiai senza volerlo. «Stai tremando, e poi tutto quel sangue... Come pensi che possa andarmene adesso?».

Non riusciva ancora a guardarmi, continuava solo a lavarsi le mani dal sangue residuo con gesti sempre più nervosi.

«La tua presenza non mi aiuterà di certo, se stai male nel vedermi così. Per favore, vai».

«Ma...».

Accusai il colpo in silenzio, rendendomi conto che, se volevo restare con lui, dovevo assolutamente calmarmi. Così rimasi a guardarlo in totale immobilità, mentre lui si sciacquava il viso con le mani ancora tremanti. Riuscivo ad immaginare cosa gli era accaduto: un suo protetto doveva essersi ferito gravemente davanti ai suoi occhi, molto vicino a lui, magari mentre Uriel tentava invano di aiutarlo. Lui non era ferito, ma quanto poteva avergli fatto male una scena simile? Di sicuro Raphael aveva curato subito quelle ferite con i suoi poteri, ma Uriel se ne sentiva responsabile? E la situazione si era risolta? A queste domande non avrei mai avuto risposta, ma una parte di me sapeva già che, se Uriel era così scosso, era perché Raphael l'aveva allontanato contro la sua stessa volontà quando la situazione si era fatta critica, altrimenti il mio amico non avrebbe mai abbandonato un suo protetto nel momento del bisogno.

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