40 - Come una volta

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«Sei stato un pazzo a cimentarti in una simile impresa».

Uriel ed io eravamo seduti insieme sull'erba, mentre io mi tenevo stretta al suo braccio, incapace di lasciarlo allontanare. Era diventato così alto che potevo posare il viso sulla sua spalla senza problemi anche in quella posizione.

«Se ti riferisci alla mia finta apatia, non è stato nulla di così strano. Sono abituato a fingere con tutti. Certo, nel tuo caso è stato più difficile a causa del nostro legame, ma valeva la pena almeno di tentare».

«Con tutti tranne che con Abel» puntualizzai. Questo avrebbe finalmente spiegato quel loro legame a cui non ero mai riuscita a stare dietro.

Uriel mi fissò con aria preoccupata, lasciandomi capire che come al mio solito avevo parlato troppo schiettamente.

«Non è un'accusa, sto solo cercando di capire» mi spiegai meglio.

«Abel in realtà ci è arrivato da solo. Ho fatto l'errore di confermare i suoi sospetti sui miei sentimenti per te quando eravamo poco più che bambini, e col passare del tempo deve aver tratto le sue conclusioni. Ho tentato di convincerlo almeno della mia freddezza per non costringerlo a mentirti più del necessario, ma credo che abbia sempre sospettato la verità. E in ogni caso, quando l'ho riportato in questo mondo non sono riuscito a restare impassibile».

Chinò il viso dalla mortificazione, non potevo vederlo in quello stato.

«Mi dispiace, Azalee. Abel ha sofferto molto nel nasconderti i sentimenti che provavo per te, ma era troppo importante per permettergli di parlartene. Non gli ho lasciato scelta».

«Questo lo so, o non mi avrebbe mai tenuto un segreto di questa portata. Ma c'è una cosa che non capisco. Se è così importante che nessuno lo scopra, perché ora ne stai parlando apertamente? Non hai paura che in mezzo agli alberi ci sia qualcuno che può sentirti?».

Alcuni angeli avevano l'abitudine di riposarsi sui rami degli alberi più robusti. Quelli del nostro bosco erano un po' troppo fitti per questo scopo, ma non potevamo avere la certezza assoluta di essere soli.

«Non ora, perché qui non c'è nessuno».

«Come fai a dirlo?». Scrutai la schiera di alberi al margine del bosco. «I rami sono troppo fitti».

«Se nelle vicinanze ci fosse un angelo lo saprei, percepisco la presenza di tutti i miei protetti».

Mi rapì con l'oro dei suoi occhi, che ora apparivano un po' preoccupati. Non ci eravamo ancora ripresi dalla partenza di Abel e già eravamo arrivati alla parte delle rivelazioni spinose.

«Quando ci saranno altri angeli non mi vedrai sorridere o esprimere emozioni come adesso. A te dirò sempre la verità, te lo prometto, ma non posso far cadere la maschera con gli altri o non riuscirei più a restarne distaccato né ad incutere il timoroso rispetto di cui ho bisogno per farmi obbedire. Mi dispiace, sono costretto a chiederti di mantenere il segreto con tutti, perfino con le tue amiche più care. So che Raphael te l'ha detto».

Dunque avrei rivisto quell'orrenda maschera di apatia ogni volta che qualcuno si avvicinava a noi? Era un pensiero orribile...

Uriel sentì la mia angoscia, me ne accorsi dall'espressione colpevole che assunse. L'unica cosa che avevo indovinato di lui, fin dall'inizio, erano proprio i continui sensi di colpa che provava nei miei confronti.

«Mi dispiace di doverti dare delle costrizioni, devi credermi».

«Lo so, non preoccuparti».

Ma le mie rassicurazioni non servivano a nulla, e lui voltò il viso nella direzione opposta per sfuggire al mio sguardo.

«Vorrei che fosse possibile. Purtroppo ci sono molte altre questioni problematiche di cui non ti rendi ancora conto. Probabilmente, alla fine, tu stessa capirai che non vale la pena di sopportare tutto questo per me».

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