1 - Il bambino nel bosco

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Proprio mentre il bosco iniziava a farsi troppo fitto, il rumore dei miei passi venne coperto da uno strano suono basso e ripetitivo. La curiosità mi spinse in quella direzione, fino a che non incrociai un bambino seduto a terra, intento a fare qualcosa che non compresi.

Il rumore era causato dallo sfregare di due pietre con cui stava sminuzzando delle foglie molto scure. Le riconobbi subito, erano del genere che gli angeli usavano per medicarsi quando si facevano male, ma lui le stava triturando in maniera un po' goffa. Mi avvicinai per scorgere il suo volto e finalmente capii cosa non andava: il bambino non vedeva, teneva le palpebre serrate ed era costretto a procedere a tentoni. Ecco perché stava sminuzzando quelle foglie, doveva essersi ferito agli occhi.

Lo raggiunsi immediatamente, con l'intenzione di aiutarlo. Gli angeli normalmente si aiutavano tra sconosciuti esattamente come tra amici.

«Chi c'è?» scattò lui non appena mi sentì.

«Ehm, scusami, non volevo spaventarti. Ho visto che ti serve aiuto e mi sono avvicinata. Che ti è successo?».

Inizialmente rimase spiazzato dal mio tono così diretto e tranquillo. Impiegò qualche secondo per realizzare che, non vedendo i suoi occhi chiari, non potevo sapere con chi stavo parlando.

«Nulla. Non ho bisogno di aiuto, grazie» rifiutò.

Tornò subito al suo lavoro, pur senza osare allontanarmi per via delle indicazioni di Raphael.

«Ma che dici? Certo che ne hai bisogno. Riconosco quella pianta curativa, e poi non apri gli occhi, è chiaro che ti sei fatto male».

«Sto bene».

Al suo secondo rifiuto iniziai a incuriosirmi. Che senso aveva intestardirsi così? Nelle sue condizioni non riusciva nemmeno a capire a che punto fosse l'impasto.

«Non devi più triturarlo, è pronto» tentai lo stesso.

Posai una mano sulle sue per fermarlo, e invece di ringraziarmi lui le scostò con un sussulto. L'ansia di Uriel era dovuta al fatto che non era abituato ad essere avvicinato dagli altri angeli, ma io non ne avevo idea e mi diedi una spiegazione del tutto diversa.

«Non puoi vedere nulla di nulla, vero? Fa paura?» mi preoccupai, mentre mi sedevo di fronte a lui.

«Non fa paura. E ho detto che non mi serve aiuto».

Mise il medicamento sugli occhi in fretta, con più precisione di quanto avrei potuto fare io stessa. Non mi restò che attendere in silenzio che finisse, notando quasi per caso che lì accanto c'era una benda di vecchia corteccia che sembrava messa lì apposta per lui.

«Permettimi almeno di metterti questa» provai un'ultima volta. «La medicazione si seccherà, se non la copri».

Prima che riuscisse a rifiutare, lisciai la benda e gliela portai sul viso. Il bambino trasalì di nuovo, ma stavolta mi permise di aiutarlo: la tenne ferma sulle tempie mentre io la annodavo e mi sembrò che finalmente iniziasse a sentirsi un po' meno a disagio.

«Ora dovresti metterti sdraiato per far penetrare la linfa negli occhi. Se preferisci me ne vado, così potrai riposare in tranquillità».

In realtà sarei voluta rimanere, ma se proprio non mi voleva tra i piedi non potevo continuare a infastidirlo solo per un'egoistica curiosità.

Il bambino sospirò, arrendevole. «Dubito che riuscirei a dormire, ma tu devi fare ciò che desideri».

«Wow, finalmente una risposta gentile» gli feci notare con un certo sarcasmo. A quel punto decisi di approfittarne. «Allora posso farti un paio di domande?».

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