8 - Trio

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Dopo ore di domande e curiosità, iniziai a sentirmi finalmente più calma, tanto che all'improvviso sentii tutta la stanchezza delle due notti insonni. Così, mentre Uriel ed Abel parlavano ancora del mondo umano, appoggiai la schiena a un tronco lì vicino, faticando a tenere gli occhi aperti. Abel incrociò il mio sguardo e il suo sorriso sereno mi disse che potevo lasciarmi andare al sonno senza preoccuparmi. Non ebbi il coraggio di incrociare anche lo sguardo gentile del mio arcangelo, ma ormai sapevo che non se la sarebbe presa. Chiusi gli occhi, addormentandomi profondamente in pochi secondi, e il discorso che quei due fecero nel frattempo lo seppi solo la sera, quando Abel si decise a raccontarmene almeno una parte.

«Grazie per averci detto tutte queste cose, sei stato gentile» lo ringraziò Abel quando si ritenne finalmente soddisfatto. Sedevano vicini sull'erba come due amici che si conoscevano da tempo.

«Sono io che devo ringraziarti, e per più di un motivo». Uriel, intanto, stava guardando me; mi sentivo in imbarazzo solo a pensarci. «Sei stato tu a convincerla a tornare qui, non è vero? Quando è andata via sembrava aver perso totalmente la fiducia nelle mie buone intenzioni, di certo non stava pensando di tornare».

«E' solo a causa delle voci che girano su di te, chiunque avrebbe reagito come lei» tentò di difendermi il mio amico, come faceva sempre.

Il suo arcangelo lo fissò con uno sguardo così profondo che, per un momento, Abel temette che lui non sapesse nulla di quelle voci, ma naturalmente si sbagliava. Uriel rivedeva la mia stessa paura in tutti i suoi protetti, quasi tutti.

«Tu però non reagisci come gli altri. Tutti hanno paura di me e rabbrividiscono davanti ai miei occhi, invece tu sei riuscito a guardarmi e a parlarmi fin dal primo momento. Per quale motivo?».

«Perché Azalee mi ha detto come sei davvero. Mi ha parlato di te tutti i giorni: della tua gentilezza, della tua pazienza... era chiaro che qualcosa non andava. L'unica spiegazione sensata era che tu non fossi come tutti ti dipingono».

«Sei il primo che riesce a trattarmi così».

Davanti al suo sorriso sereno, Abel si sentì orgoglioso di se stesso. Lo stava trattando come un bambino normale, è vero, ma aveva sempre tenuto a mente l'importanza della persona che aveva davanti. A prescindere dalla sua età, Uriel restava la massima autorità di un quarto del mondo angelico.

«E' solo grazie a te che ho potuto rivedere Azalee» riprese. «Non so dirti quanto è stato importante, per me, poterle parlare ancora e farle capire che non l'ho presa in giro. E poi so che ti sei sempre preso cura di lei, sono felice che Azalee abbia una persona come te al suo fianco. Se dopo oggi non potrò più rivederla, mi auguro che continuerai a starle vicino come hai sempre fatto».

Ma io non avevo nessuna intenzione di dirgli addio, e Abel non ne dubitava.

«Certo che potrai rivederla. Azalee ti vuole bene, e poi ora sa come sei davvero. Anzi, sono convinto che diventerete buoni amici».

Abel decise di non raccontarmi il resto del suo discorso, che io scoprii solo molti anni più avanti, quando Uriel stesso me ne parlò nel suo lungo racconto.

«Azalee... a volte mi sembra che per lei questa vita così monotona sia come una gabbia. Ho sempre avuto l'impressione che fosse destinata a qualcosa di speciale, lei è speciale». Non immaginavo nulla di questi suoi pensieri.

«Probabilmente la vedi così per l'affetto che provi nei suoi confronti» provò a spiegarsi Uriel.

«Ne dubito. In ogni caso, se resterai, Azalee tornerà di sicuro».

«Lo farò. E spero di rivedere anche te».

Uriel pensava che entrambi fossimo speciali e che proprio per questo motivo stavamo bene insieme ed eravamo stati in grado di fare amicizia con lui. Ci vedeva già come una coppia inscindibile, ma se aveva ragione sul fatto che anche Abel, in un certo senso, era diverso dagli altri angeli, si sbagliava di grosso sul resto. Ancora oggi mi chiedo cosa sarebbe accaduto se, quel giorno, Uriel avesse capito a fondo ciò che Abel, pur con l'ingenuità di un bambino, gli stava preannunciando.

*

Aprii gli occhi circa un'ora dopo, notando subito i miei due amici seduti insieme in piena sintonia. Stavano parlando a voce bassa, con una complicità che un po' mi allarmò.

Li raggiunsi, senza tuttavia trovare il coraggio di sedermi anch'io così vicina ad Uriel.

«Ehi, di che parlate voi due?» finsi di scherzare.

Abel, però, si accorse subito del mio stato d'animo e mi guardò con un sorriso beffardo.

«Stavo rivelando al nostro arcangelo tutti i tuoi segreti più oscuri».

Esitai, e lui scoppiò a ridere. Mi stava prendendo in giro! Se anche avessi davvero fatto qualcosa di male, di sicuro Abel non sarebbe mai andato a raccontarlo proprio a chi doveva controllare che tutto andasse secondo le regole, altrimenti avrei rischiato chissà che orribili conseguenze.

«Non dire sciocchezze. E poi non ho segreti oscuri!» risposi per le rime.

Solo dopo riuscii a guardare Uriel, che era rimasto piuttosto spiazzato dallo scherzo di Abel. Cercò di sorridermi, ma era chiaro che temeva che la sua frase mi avesse messa in agitazione, e si calmò solo quando vide me serena. Non sapeva scherzare, non sapeva giocare... avrebbe imparato tutto insieme a noi.

Restammo insieme per pochi altri minuti, poi Abel si alzò in piedi con un sospiro di rassegnazione. «Dovremmo andare. Gli altri si chiederanno dove siamo».

«Hai ragione» dovetti ammettere, mio malgrado.

Eravamo lì da ore e non avevamo avvertito nessuno della nostra assenza. Era meglio evitare di scatenare curiosità e domande, dato che nessuno avrebbe mai potuto accettare la verità. Uriel veniva etichettato da tutti come "spaventoso, gelido e pericoloso", e i nostri amici non sarebbero stati disposti a credere alle nostre smentite né tantomeno a ricredersi venendo a conoscerlo.

«Non direte nulla di me ai vostri amici, vero?» si preoccupò lui, infatti.

«Meglio di no, si spaventerebbero senza riuscire a credere alla verità» risposi senza pensare, poi realizzai che davanti a un arcangelo non ero certo io a prendere le decisioni. «Ehm, a meno che tu non...».

«No, in realtà preferisco anche io che non lo sappiano» mi fermò.

Sarebbe stato il nostro segreto. Wow.

«Però noi possiamo tornare, vero? Ti prego, lo vorrei tanto».

Finora non avevo osato chiederglielo per paura della risposta, perché se me l'avesse negato, stavolta non avrei potuto insistere contro un paio di occhi dorati. Per fortuna, invece, Uriel accettò con un bellissimo sorriso allegro.

«Certo. Sarei felice di rivedervi».

«Bene». Ero al settimo cielo. «Allora... a presto, arcangelo Uriel».

Era strano pronunciare il suo nome ad alta voce. Non riuscivo a guardarlo, così lui mi sfiorò il mento con la punta delle dita in modo che alzassi lo sguardo. Che vergogna, aveva capito che faticavo a fissare i suoi occhi.

«"Uriel" è sufficiente. Continua a trattarmi come hai sempre fatto».

Il suo bellissimo sguardo dorato sembrò ipnotizzarmi, fino a che non fu lui a lasciar andare il mio. Avrei voluto poter restare lì per sempre.

*

Non facemmo parola con nessuno della nostra avventura. Morivo dalla voglia di parlarne con Miriam, la mia migliore amica, ma non volevo metterla nella nostra stessa condizione di silenzio. Abel, invece, non sembrava affatto tormentato, nonostante fosse piuttosto legato a molti dei ragazzi del nostro gruppo. Quando gli chiesi come faceva ad essere così sereno mi spiegò che tra i ragazzi nessuno faceva domande troppo insistenti, e che comunque tutti davano per scontato che se Abel non stava con loro era semplicemente per stare con me.

Miriam e un paio di altre nostre amiche, al contrario, mi chiesero prontamente se il bambino cieco del bosco fosse guarito, e sapendo che Abel ed io ci saremmo recati spesso da lui dissi loro che adesso stava bene e che aveva deciso di restare qui con alcuni nuovi amici, perciò ogni tanto saremmo andati a trovarlo.

"Ogni tanto", però, si rivelò un eufemismo. Non passò giorno senza che sentissi il bisogno di tornare da lui.

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