5 - Tra le braccia di un arcangelo

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L'ultima giornata insieme al mio amico era volata, come tutte le altre.

Mentre il sole ormai tramontava, lasciando il bosco nella penombra, Uriah prese le mie mani tra le sue con aria estremamente seria.

«Grazie per ciò che hai fatto per me» iniziò a testa bassa. «Domattina potrò togliere definitivamente la benda e riprendere il mio viaggio». E quindi dirmi addio...

Davanti a quelle parole non potei restare in silenzio. «Non farlo! Rimani qui, Uriah, per favore. Non te ne andare».

Come temevo, non fu affatto felice della mia richiesta. Lasciò le mie mani e si alzò in piedi per troncare il discorso, ma stavolta non potevo rinunciare così facilmente.

«Ti prego, perfino Abel dice che dovresti rimanere, sai? Ti troveresti bene anche con lui, vi somigliate, e poi sapresti tener testa a chiunque dei grandi del mio gruppo. Ti prego, resta con noi».

«Non è così facile» ammise con amarezza. Il suo aspetto stavolta non era per nulla fiero.

«Certo che lo è! Vuoi viaggiare? Aspettami! Resta un po' con noi, poi sarò io a seguirti, e potrei non essere l'unica». Mi riferivo ad Abel, anche lui aveva la mia stessa passione per i viaggi.

«Non posso. Per favore, Azalee, non insistere. Domattina appena sveglio toglierò le bende e andrò via, perciò non tornare. Ci saluteremo stasera».

«Cosa? No!» quasi gli urlai contro. Non riuscivo a credere che non gli importasse nulla nemmeno di guardarmi in faccia per salutarmi. «Perché hai tutta questa fretta? Prova almeno a conoscere i miei amici».

«Ho detto che me ne andrò. Smettila di insistere».

Di nuovo quel tono incontestabile che non mi lasciava scelta. Eppure non riuscivo proprio ad accettare di dovergli dire addio quella sera stessa.

«Va bene, non vuoi restare, ho capito. Ma almeno accetta un compromesso, ti prego! Non ti costerà nulla e per me è importante».

Finalmente riuscii a farlo esitare. «Quale sarebbe?» mi chiese con la stessa diffidenza del nostro primo incontro.

Toccai la sua benda in risposta, causandogli, senza volerlo, un leggero sussulto. «Aspettami, prima di toglierla. Voglio esserci».

«Resteresti solo delusa».

«Ma che dici? Non puoi deludermi, quello che abbiamo vissuto insieme è tutto ciò che conta. E poi non sarò io a vedere qualcosa di nuovo, vorrei che fossi tu a... vedere me. Lo vorrei tanto, così potrai ricordarmi, e se in futuro dovessimo incontrarci di nuovo potresti riconoscermi. Ti prego».

Restò in silenzio, spiazzato dalla mia schiettezza o forse dal mio tono disperato. Poi, invece di rispondermi, compì un gesto che mi lasciò senza fiato: avvicinò il suo viso al mio, guancia contro guancia, con la sicurezza di chi vedeva perfettamente; mi cinse le spalle con entrambe le braccia e mi parlò all'orecchio.

«Ti riconoscerei ovunque, anche tra secoli. E di certo non potrei mai dimenticarti».

Fu il calore della sua voce a farmi crollare. Scoppiai a piangere senza più riuscire a calmarmi in alcun modo. Uriah continuò a stringermi a sé, mi fece appoggiare sull'erba e per tutto il mio lungo pianto mi tenne tra le sue braccia di bambino, atterrito dalle mie condizioni quanto dal nostro imminente addio. Ormai non avevo più scelta: se non aveva accettato nemmeno davanti al mio pianto disperato, non mi restava che arrendermi.

Quando riuscii a riprendermi da quello stato pietoso era ormai buio e non potevo più restare nel bosco, dovevo salutarlo anche senza essere pronta.

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