49 - Diversa

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Dal giorno della nostra discussione, Uriel smise finalmente di mettere in dubbio le mie motivazioni e dedicò più tempo possibile alla mia preparazione. Naturalmente anch'io mi impegnai al massimo. Tornai nel mondo umano molte volte, e ad ogni viaggio la nausea durava sempre meno, permettendomi di fare dei viaggi più ravvicinati nel tempo. Ogni volta facevo diversi tentativi di trasformazione e iniziavano finalmente a vedersene i risultati. Per il momento era sufficiente anche un cambiamento leggero, perché ormai molti angeli sapevano della mia esistenza, ma in pochi erano riusciti a scorgere il mio volto.

Arrivai a raddoppiare il tempo in cui riuscivo a restare in forma umana, e a quel punto Uriel iniziò a prepararmi su qualcosa di più difficile: fingere di non vedere gli angeli. Dovevo imparare a non mettere a fuoco la sua immagine e a non reagire ai suoi movimenti, né ai rumori; dovevo riuscire a fingere con i suoi protetti così come David faceva con Abel, ed era molto più difficile di quanto immaginavo.

Tuttavia non ci esercitavamo sempre. A volte Uriel mi costringeva a riposare anche per intere giornate in modo da non stressare troppo il mio fisico, mentre altre volte doveva lasciarmi sola per occuparsi degli altri angeli dell'Ovest.

Quando se ne andava ed eravamo lontani dal mio gruppo, per ingannare il tempo avevo ripreso l'abitudine di disegnare sulle sponde argillose dei fiumi, così come facevo sempre da bambina. Il soggetto più ricorrente, però, era diventato il mondo umano: la casa di Chris, la scuola, i palazzi... ma anche i luoghi lontani che avevo visitato con Uriel.

In una di quelle occasioni mi divertii a disegnare sulle rive di un grande fiume le immagini di un parco in cui ero stata con Chris, con le sue stradine asfaltate, le panchine e i piccoli lampioni di ferro battuto. Cercavo di essere il più fedele possibile alla realtà per mostrare quel mio ricordo ad Uriel al suo ritorno, ma le cose presero una piega diversa.

«Wow, ma è meraviglioso!».

Mi voltai con un sussulto. Alle mie spalle c'era una ragazzina di tredici o quattordici anni che indicava il mio disegno a bocca aperta. Mi venne subito accanto e si inginocchiò accanto a me per osservarlo meglio. Era piuttosto minuta, aveva dei bei boccoli scuri che le ricadevano sugli occhi e un viso ovale dai lineamenti dolci.

«E' il mondo umano, vero? Ci sei già stata?». Il suo sorriso sognante mi ricordò me stessa da bambina.

Mi voltai nuovamente per un rumore di passi alle nostre spalle. Dietro di me, con l'aria un po' imbarazzata per l'atteggiamento della sua giovane amica, c'era una ragazza più o meno della mia età. Sembrava il suo esatto opposto, col viso fino e i capelli lisci color cenere.

«Ciao, ehm... perdona il comportamento di Maya, a volte è un po' esuberante».

«Non c'è problema» mi trovai a scusarla.

«Io sono Ellen, piacere di conoscerti. Quello che hai disegnato è davvero il mondo umano?».

«Sì, è un parco in cui sono stata una volta».

Come capitava normalmente nel mio mondo, facemmo subito amicizia. Scoprii che nemmeno quella ragazza aveva ancora fatto il suo Viaggio e mi fecero entrambe moltissime domande sugli umani. Era la prima volta che conoscevo qualcuno dopo il mio ritorno, e quella sorta di normalità mi diede molta nostalgia. Passammo insieme almeno due ore, durante le quali risi come non facevo da molto tempo. Ellen e Maya si conoscevano da anni e mi raccontarono che con loro c'era anche un ragazzo di nome Will che sarebbe tornato a momenti. Non mi dispiaceva l'idea di godermi un po' di normalità, piuttosto che aspettare di nuovo Uriel da sola, e mi attardai con loro a raccontargli del mondo umano molto volentieri.

Mentre chiacchieravamo, Ellen vide il loro amico arrivare in volo e agitò le ali per farsi notare. Doveva avere all'incirca la nostra età, ma era più alto di noi e abbastanza robusto.

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