Capitolo sessanta. - "Principio."

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Questo sarà l'ultimo capitolo di questa storia. Spero che siate pronti e che lo leggiate fino all'ultima parola.

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Il corpo gracile di una ragazza era seduto sul materasso di un letto singolo. Il piede era poggiato su di esso e le sue dita erano nell'intento di allacciare le stringhe delle scarpe di una marca non famosa. Il suo labbro inferiore veniva torturato dai suoi stessi denti. Le unghie divorate, indossavano uno smalto rosa confetto. Lei aveva quello stupido vizio, ovvero; di mangiarsi le unghie come non mai, fregandosene del suo stomaco e dei problemi che potessero causare. Era rimasta l'unica a restare in vita, tutti erano scomparsi, tutti non c'erano più, erano morti. I suoi occhi erano spenti, di quella volta non ricordava nemmeno cosa fosse accaduto, né di ciò che accadde prima. Ricordava solo che erano morti tutti. Si alzò un po' dal letto, sbandando leggermente. Non aveva preso ancora la stabilità. Erano passate due settimane, era sveglia da soli cinque giorni, non appena la porta abbastanza spessa si spalancò, gli occhi di un uomo si posarono sul corpo non stabile della ragazza. «Cosa stai facendo?»
Lei rimase a guardarlo, non disse nulla e tornò a sedersi mentre le stringhe erano slacciate. «Credo che tu voglia andare via, vero?» La guardò ancora ma lei rimase in silenzio. «Devi ancora riprenderti, tra un po' le infermiere verranno da te per farti degli eventuali controlli.»

Lei continuava a non rispondere. «So che sei ancora sconvolta per la notizia dei tuoi genitori e del tuo ragazzo.» Sospirò l'infermiere. «Sono cose che purtroppo la vita offre.» Lei lo guardò come se il suo cuore fosse crollato più del dovuto. «Ma vedi, devi stare a riposo.» Continuò il discorso e la ragazza piano piano si tolse le scarpe un po' goffamente. «Con tuo padre eravamo amici, sono stato io stesso a metterti al mondo. Ho aiutato tua madre a farti nascere. È stato emozionate, tu eri davvero piccola, solo che urlavi come una disperata.»

La giovane lo guardò, inclinò la testa guardandolo senza capire. «Io ricordo.» disse Camila guardandolo. «Io dormito tanto tempo e, Camila consape... Consapevole ciò che successo.»
«Come? Allo schianto dell'aereo tu eri già messa male, come può essere?» chiese lui sorpreso e Camila tirò su con la testa, e sorrise dolcemente.
«Io viaggiato?»

«Viaggiato? Camila, dimmi di più.» sussurrò lui prendendo la sua mano e la cubana la strinse dolcemente, facendolo sorridere.
«Io viaggiato con... Testa!» batté le mani.

L'uomo corrugò le sopracciglia e negò con la testa.

«Io come volata, io viaggiato per tutto anno scolastico. Io conosciuto tanta gente.» sussurrò Camila mordendosi il labbro.
«Tanta gente? Tipo?»

«A-Allyson chiamata Ally o... Allysus, Norman... Normani e... Lauren.» sorrise un po' dicendo il suo nome. «Io amare Lauren Jauregui.»
«E chi è?»
«Una ragazza... Bella per me, io innamorata. Lei avere occhi verdi e capelli neri. Lei prima non sopportarmi, ma poi, lei andata a cercare me per Cuba.»

«Perché, eri a Cuba?»
«Io... Io litigato con lei. Ricordare che lei non mi amava perché io... Malata.»
«E poi?»
«Io partita.» disse. «Io andata a Cuba da mia nonna... Mercedes. Lei volere insegnare a riprendere memoria.»

«Cos'è successo però?»
«Io scoperto Rana Del Ley, grazie a Lauren. Io andata al concerto, una sera. Lauren cercava me, aveva trovato il mio sguardo tra tanta... Gente.» disse parlando piano cercando di non sbagliare. I suoi ricordi, il suo viaggio mentale, lo ricordava perfettamente. Questo però, era solo una specie di sogno.

SCAR TISSUEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora