8. Two sides of an argument

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Nella foto: Alencar Loss

  Consuetudo est altera natura.
(L'abitudine è una seconda natura)  



CALLUM

Se ne era andato. Quando la mattina mi ero svegliato ed ero passato in punta di piedi davanti alla sua camera la porta era aperta, avevo gettato timidamente lo sguardo all'interno: era vuota. Alcuni cassetti erano ancora semi aperti, anche l'armadio era stato svuotato, la foto sul comodino non c'era più, Alencar aveva davvero lasciato quella casa alla fine, ero rimasto solo.
Non sapevo cosa provavo al riguardo, di certo una grossa parte di me era sollevata anche se consapevole che quei due non avrebbero mai smesso di vedersi. Poi c'era una piccola parte che, invece, era triste per quell'ennesimo distacco, un'altra persona che nel bene o nel male considerava la mia esistenza era sparita dalla quotidianità. Erano terribili le abitudini, alla fine arrivi a rimpiangere qualcosa che ti ha sempre fatto soffrire ma che, contemporaneamente, era lì con te, ti si è annidata sotto la pelle e ora temi persino di rimpiangerla.

Sei patetico.

Quando arrivai a scuola quella mattina intuii subito che non era un giorno come gli altri, nei corridoi sentivo una strana pressione, come se gli sguardi di tutti fossero su di me. Mi resi conto che era più di una sensazione, ogni persona che incontravo mi fissava e poi voltava lo sguardo, persino i gruppetti agli angoli degli armadietti.
Rabbrividii mentre mi infilavo in classe sperando che quelle occhiate cessassero ma non fu così, vidi diversi miei compagni voltarsi e poi mormorare fra loro.
- Callum? – era stato Finn a parlare, il ragazzo che sedeva abitualmente nel banco accanto al mio – ma ti senti bene? Sembri sul punto di vomitare
E lo ero, non potevo vedermi ma sapevo di essere pallido come un cencio, avevo persino la nausea – non capisco perché mi fissino tutti. Cos'ho fatto?
Era dai tempi del mio primo attacco di panico a scuola che nessuno mi guardava in quel modo, come se fossi una sorta di fenomeno da baraccone o una creatura che nessuno avesse mai visto sulla faccia della terra.
- Sono solo stupidi pettegolezzi – mi tranquillizzò - qualcuno ha picchiato Maxwell, è parecchio grave, lo hanno ricoverato in ospedale. Qualche idiota ha cominciato a dire che ultimamente aveva preso di mira te e sai ... magari Alencar gliela aveva fatta pagare, sai visto che i vostri genitori stanno insieme – poi sorrise – vedrai che la smetteranno, sono solo chiacchiere. Maxwell era un enorme stronzo chissà chi avrà fatto incazzare
Io mi ammutolii, non riuscivo a parlare, niente si poteva avvicinare alla verità più di quelle chiacchiere, doveva essere stato lui. Mi sollevai prima che la lezione iniziasse e uscii di fretta dall'aula, mi sentivo di nuovo soffocare, quel disagio mi si arrampicava addosso, come la tremenda domanda che infestava la mia mente.
Era colpa mia? Se non avessi sfidato la sorte, se gli avessi consegnato un buon compito adesso lui starebbe bene, era l'ennesima persona che stava soffrendo per la mia superficialità? Non riuscii a controllarlo, semplicemente l'immagine di quella mano penzolante spuntò davanti ai miei occhi. Era come perdere le redini della mia stessa mente, come se le cose semplicemente andassero e quelle immagini si presentavano senza che io potessi fermarle. Il sapore dell'acqua salata, il dolore alle gambe e alle braccia, la terribile fatica di uscire da quell'inferno e poi la consapevolezza che l'inferno era appena cominciato. Quella folla, le urla di mia madre e tutti quegli occhi puntati su di me, accusatori.

È colpa tua, tua, tua, tua!

Mi ritrovai sul retro della scuola, non sapevo come avessi fatto a muovermi fin lì ma ci riuscii, mi lasciai scivolare lungo la parete vecchia dell'istituto mentre sollevavo il volto in alto e cercavo di allargare maggiormente il colletto del maglione.
Il dolore stava per diventare ingestibile quando un rumore mi costrinse a voltarmi, Levin venne avanti quasi sorpreso e si appoggiò alla parete poco lontano da me.
- Questo posto sta diventando parecchio affollato – disse in una sorta di commento ironico.
- Non per colpa mia, sono cinque anni che vengo qui. Sei tu il nuovo arrivato – replicai con lo stesso tono.
Lui accennò un sorriso, molto breve e poi si accese una sigaretta, ci fu un lungo silenzio prima che riaprisse bocca – preferisci che vada via?
Io scossi la testa, portai le ginocchia al petto e mi lasciai cullare da quella vicinanza. Il primo essere umano fermo accanto a me che non mi guardasse come fossi ripugnante oppure un comodo mezzo per ottenere qualcosa.
- Ho notato di non essere più l'attrazione principale oggi – disse inspirando dal cilindro – a lezione si mormorava il tuo nome. Un cambiamento piacevole, direi
Annuii consapevole – Maxwell era il tipo che mi ha pestato qualche giorno fa, quello a cui mi sarei dovuto ribellare
Mi rifilò un'occhiata di sbieco – e lo hai mandato in ospedale?
- Non sono stato io – il mio tono era cupo.
- Non sei un fan dei vendicatori? Sembra che ti dispiaccia per Maxwell
- E' solo che ... - era dura ammettere davanti ad un altro essere umano quello che sentivo dentro di me – è tutta colpa mia, se io avessi svolto bene quel compito, se non mi fossi messo a fare cose stupide Maxwell non mi avrebbe pestato e adesso ....
- E' una delle cose più assurde che io abbia mai sentito – mormorò espirando.
Fissai il fumo espandersi nell'aria e sparire, mi chiesi perché io non potessi fare altrettanto – vorrei solo che la gente smettesse di farsi male a causa mia. Il figlio del compagno di mia madre... è una persona violenta, è stato lui a picchiarlo
- Sei uno di famiglia per lui, dovreste guardarvi le spalle a vicenda, sembra quasi una condanna a volte però – parlava con tono basso e consapevole, come se stesse ricordando qualcosa che era successa anche a lui – anche davanti ad un fratello indegno, si finisce per desiderare di proteggerlo. Tu almeno sembri degno di meritare aiuto, sono certo che a suo modo vuole solo proteggerti

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