29. Sinner

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"Parva scintilla magnum saepe excitat incendium"
Una piccola scintilla è spesso causa di un grande incendio. Proverbio


LEVIN

Un freddo secco e gelido era calato su Brooklyn, un perfetto anticipo di quello che sarebbe stato uno dei natali più freddi degli ultimi anni, o almeno questo era quello che si diceva in giro. Erano i primi di dicembre e le strade iniziavano a colorarsi di luci e decorazioni natalizie, nonostante tutto quell'atmosfera calda e festiva non riusciva a coinvolgermi a dovere. Camminavo piano, con le mani nelle tasche del mio cappotto lungo ed il cappuccio calato sulla testa per proteggermi dal freddo, mi stavo dirigendo verso il centro pulsante di Brooklyn notturna, dove speravo di poter seppellire per qualche ora i miei pensieri.
L'abitudine mi aveva portato a lanciare uno sguardo sommario lungo il parco in cui Kai e molti altri tossici passavano il loro tempo, ultimamente sembrava cavarsela meglio del normale e fu per questo che notarlo lì mi sorprese. Era steso su una panchina, quasi irriconoscibile sotto uno strato spesso di coperte e giubbotti: un altro sbandato in mezzo a mille altri sbandati. Entrai nel parco con un nuovo peso sullo stomaco e sulla coscienza
- Kai?
Aveva aperto gli occhi, stava tremando dal freddo e non appena mi notò il suo viso mostrò grande disagio ed imbarazzo
- Levin ... ehi, big bro. Che ci fai qui? – disse mentre si sollevava in fretta da quello che doveva essere il suo nuovo letto.
- Stavo per farti la stessa domanda ... - mi guardai intorno, era davvero arrivato a tanto? A dormire su una dannata panchina fatiscente con quasi otto gradi sotto lo zero?
- Che cosa sta succedendo? Non vivi più con la tua ragazza?
Il viso di Kai si era incupito, lo vidi stringersi nel suo giubbotto e scuotere la testa. Aveva una cera di merda, sperai che non fosse fatto più del dovuto.
- Senti, non devi preoccuparti. E' solo per un paio di notti, poi i miei amici mi trovano un posto dove dormire.
- Quali amici? Ne hai che non siano dei tossici del cazzo? – sospirai – non puoi rimanere qui. Stanotte nevicherà e la temperatura scenderà ancora di più. Ti stai congelando il culo, Kai. Perché non mi hai chiamato?
- Per dirti cosa? – ribatté con un tono amaro – per dirti che il tuo fratellino è finito ancora una volta nella merda? Anzi, aspetta ... quando mai ne sono uscito? Hai già abbastanza problemi con il tuo ragazzo in ospedale o quello che è
- Tu sei mio fratello! Credi che ti avrei lasciato dormire in questo cazzo di posto con queste temperature? – feci l'unica cosa che potevo fare, non avrei dato la mia carta di credito a Kai, ma gli passai le chiavi di casa
- Cosa sono?
- Lo sai cosa sono.
- Non posso tornarci lì, non mi vogliono – disse piano, lo sguardo ancora fisso sul mazzetto di chiavi che tenevo davanti al suo viso in attesa che le prendesse.
- Lui non c'è, starà via per un paio di giorni. E'a Washington con la delegazione e lei ti farà restare fintanto che non combinerai delle stronzate. Muoviti, torna a casa.
Lasciai cadere il mazzo tra le sue mani, Kai lo afferrò prima che potesse toccare terra. Potevo quasi percepire la sua lotta interiore, tornare da loro significa ammettere di non essere in grado di farcela da solo, ecco cosa stava pensando quello stupido di mio fratello.
- Torna a casa. – ripetei con un tono che non ammetteva repliche
- E tu dove stai andando?
- In giro – dissi vagamente
- Allora vengo con te e poi torniamo insieme
- No – la mia voce suonò secca e brusca, forse troppo.
Kai mi guardò confuso – Perché? Devi uscire con qualcuno?
- Non nel modo in cui pensi tu – dissi in fretta, stavo già iniziando a camminare verso il cancello
- Allora perché non posso venire?
Perché non poteva venire? Non lo sapevo, non poteva e basta. Forse non lo volevo tra i piedi, forse volevo che fossimo soltanto io ed Andrew per quella sera. No, non da soli, pensai, saremmo stati in un locale pieno di musica e gente, dove avremmo bevuto e parlato e basta. Ed era così che doveva finire. Gli ripetei di tornare a casa ancora una volta e senza guardarmi indietro lasciai il parco e i tossici che lo popolavano.
Ero venuto meno ad una delle regole di mio padre quella sera, sapevo che far tornare Kai a casa, seppure per qualche giorno, avrebbe fatto male a tutti noi, soprattutto a mia madre. Non sarei mai stato pronto a lasciarlo in una situazione di pericolo e nessuno poteva rimproverarmi per avere una dannata coscienza che mi impediva di vivere come se mio fratello non fosse mai esistito. E poi ero sempre io quello costretto ad averci a che fare, a vedere con i miei stessi occhi quanto avesse toccato il fondo. Non potevo girarmi dall'altra parte.
Stavo ancora pensando al mio incontro con Kai quando mi feci strada tra la folla vociante dell'Hartley, un pub piuttosto rinomato del centro, sempre pieno di ragazzi e caos. Dentro faceva un caldo terribile che mi impose di spogliarmi immediatamente prima di svenire. Muoversi tra la ressa di gente era difficile, stavo cercando il volto di Andrew tra la folla di avventori già mezzi ubriachi. La musica era alta, una sorta di garage rock martellante che imponeva ai ragazzi di ballare e muoversi in modo scomposto. Anche le luci erano troppo basse per vederci qualcosa, ero sul punto di tornare fuori e chiamare Andrew al telefono, quando sentii una mano sulla mia spalla.
- Sei in ritardo
Andrew era dietro di me, potevo percepire il profumo delicato della sua colonia che ormai conoscevo bene, ma non ero in grado di girarmi, bloccato com'ero tra troppi corpi che si muovevano al ritmo di musica.
- Problemi di percorso. C'è poca gente, vedo – urlai dietro le mie spalle, nel frattempo Andrew aveva messo entrambe le mani sulla mia schiena e mi stava guidando verso un punto imprecisato della sala.
- Qui è sempre così di sabato, soprattutto quando suonano. Vieni, ti ho tenuto un posto al bancone, conosco il proprietario
- E ti pareva ... c'è qualcuno che non conosci?
- Ti stai davvero lamentando per questo? Sta calmo, la mia raccomandazione è valsa a poco. C'è troppa gente per stare comodi
In effetti il posto c'era, ma la clientela era talmente numerosa che gli sgabelli erano posizionati vicinissimi tra loro, le mie dannate gambe lunghe cozzavano contro quelle di chiunque, fino a quando non mi voltai direttamente verso Andrew e le allungai verso il suo sgabello per appoggiarle tra le sue.
- Comodo?
Annuii, il rossore sul suo viso e i due bicchieri già vuoti davanti a lui mi suggerivano che si era già dato da fare con le ordinazioni. Quella sera aveva scelto un pantalone ed una camicia quasi sportive, un genere di finto casual che però gli era comunque costato una fortuna, avevo il sentore.
- Allora? Che te ne pare?
Era rivolto verso di me, nell'unica posizione che ci impediva di sbattere le ginocchia contro il bancone. Andrew aveva lanciato un'occhiata verso la band che si stava esibendo in fondo alla sala
- Passabili
- Li troverai meno passabili dopo un paio di pinte di birra forse. Forza, serviti.
Non mi sentivo in grado di smentirlo, avevo una sete assurda e quell'atmosfera caotica mi invogliava sicuramente a bere pur di sentirmi meno infastidito da tutta quella gente e quei rumori. Così presi il bicchierone di birra fresca e ne bevvi due grossi sorsi, stavo cercando di mostrarmi tranquillo, come se non ci fosse nulla di strano in una situazione come quella. Come se fossi uno di quei ragazzi estroversi che trascorreva le serate in giro per pub, con qualsiasi compagnia gli capitasse sotto tiro, senza provare mai neanche un briciolo di imbarazzo o confusione.
Andrew, invece, sembrava davvero a suo agio, con le dita giocava con i bordi del suo bicchiere di Whiskey, aveva gli occhi chiusi e muoveva appena la testa a ritmo di musica. Rimasi a fissarlo per un po', a chiedermi perché nel giro di una settimana eravamo già usciti due volte e forse furono quei pensieri insostenibili a spingermi a parlare.
- Stai tornando dall'ospedale? Com'è andata oggi?
La pace era finita, Andrew aveva aperto i suoi occhi che si erano fatti immediatamente cupi. Eravamo lì per Aiden, no? Era quello di cui avremmo dovuto parlare durante quelle serate, ammesso che fosse così necessario uscire insieme.
- Male. Ho parlato con il dottor Langdon e ha tirato fuori quel discorso che nessuno di noi vuole sentire – poi si portò il bicchiere alle labbra e con un sorso deciso lo svuotò – sono trascorsi quindici giorni ed Aiden è ancora nello stesso stato di quando è stato operato. Le probabilità che si svegli si assottigliano giorno dopo giorno, parole sue. Ha detto che più tempo passa, più sarà difficile che succeda e che se le cose non cambieranno nel giro di un paio di mesi saranno costretti a trasferirlo altrove. Quel posto gli serve per qualcuno che ha ancora speranze di potercela fare, capisci?
Un brivido gelido mi scosse da cima a fondo, il modo apparentemente incurante con cui Andrew aveva parlato non era servito a nascondere il dolore dietro la maschera. Aveva ordinato un altro bicchiere con un gesto della mano, poi i suoi occhi si erano spostati su di me.
- E allora mi sono incazzato e ho iniziato ad urlargli contro che sto sborsando un sacco di soldi per vedere dei cazzo di miglioramenti e che non voglio sentire parlare neanche lontanamente di gettare la spugna in quel modo. Lui ha detto che stanno facendo tutto il possibile per fornirgli la migliore assistenza e che non dipende più da loro, così l'ho mandato al diavolo. Ecco, ti ho aggiornato sulla mia fantastica giornata. Adesso posso ubriacarmi e godermi la serata, per favore?
Non dissi nulla, lasciai che il suo bicchiere toccasse il mio in un brindisi silenzioso, poi mandai giù la mia birra con la stessa determinazione con cui lui mandò giù il suo liquore. La folla si era fatta più serrata intorno a noi, ci stavano quasi ballando addosso ormai e per poco non mi versarono un dannato cocktail sulla schiena
- Ehi, che cazzo ... - mi lamentai più con me stesso che con gli altri. Tanto non mi sentivano neanche.
Poi Andrew aveva afferrato il mio sgabello con le mani fino a trascinarlo ancora più vicino al suo per evitare che ci spingessero ancora, adesso le nostre braccia appoggiate sul bancone si toccavano. Guardai il suo avambraccio nudo accanto al mio, un fascio di muscoli che si perdeva sotto il tessuto leggero della camicia color carta da zucchero e quelle vene ben in vista, come stradine che portavano su, alla sua mano chiusa a pugno sul bancone. Mi concentrai sulle dita affusolate, sull'anello d'argento che portava all'anulare, sulle unghie bianche e curate.
- Perché hai accettato di uscire con me?
Una domanda a bruciapelo, non mi guardava neanche, tutta la sua attenzione sembrava puntata sul liquido ambrato nel bicchiere che reggeva tra le mani, rigirandoselo di tanto in tanto. Quelle parole mi avevano preso alla sprovvista, mi ritrovai a fissarlo con un'aria quasi di sfida.
- Che cazzo vuol dire? Perché non avrei dovuto?
- Ti sto chiedendo perché lo hai fatto, no perché non avresti dovuto farlo – si era lasciato andare ad un sorriso schernitore. A che gioco voleva giocare?
- Tu perché mi hai invitato ad uscire? – era una guerra? Per me stava iniziando a diventare qualcosa di simile.
- Ah, non funziona così, Eickam. Non puoi rispondere ad una domanda con un'altra domanda. Eppure credevo che non ci fosse nulla di complesso nel darmi una risposta – poi scosse la testa, ancora evidentemente divertito
- Fanculo
- Potevi dirmi ad esempio che sono l'unica persona che capisce quello che stai passando o magari che mi hai anche rivalutato come essere umano, questo lo capirei – continuò imperterrito.
Non mi piaceva quello strano Andrew che mi ero trovato davanti quella sera. Era diretto e fin troppo spavaldo, non sembrava in grado di controllarsi come aveva sempre fatto con me fino a quel momento. E senza contare che c'era qualcosa di strano nell'atmosfera, eravamo sull'attenti dall'istante stesso in cui avevamo preso posto lì.
- Se conosci già la risposta per quale motivo me lo hai chiesto? – dissi, ancora sulla difensiva
- Perché vorrei sentirmelo dire da te. Giusto per essere sicuro
Adesso si era deciso a guardarmi e per un attimo pensai che avrei preferito non dover sostenere quel genere di sguardo. Era ubriaco? Probabilmente sì.
- Giusto per essere sicuro di cosa?
Tentennò, il suo braccio toccava ancora il mio, soltanto pochi millimetri di pelle e allo stesso tempo quel lieve contatto era tra le sensazioni più vivide che ricordavo da molto tempo a quella parte. Era un calore insopportabile.
- Per essere sicuro di non aver frainteso
Frainteso che cosa? Lo pensai, ma non lo dissi. Mi sentivo un bambino messo con le spalle al muro dal bulletto del quartiere, dovevo lasciar cadere quella conversazione, perché Andrew era chiaramente ubriaco e qualsiasi cosa stesse cercando di dirmi poteva essere fuorviante, se non addirittura pericolosa.
- Farei meglio a tornarmene a casa. Non sei dell'umore per comportarti decentemente.
Andrew non disse nulla, non sembrò neanche sorpreso dal sentirmi dire quelle parole. Aveva spostato il braccio dal bancone, senza smettere di guardarmi però. Occhi verdi e combattuti, di chi non aveva ancora deciso se attaccare o ritirarsi.
Attaccami. Lo avevo pensato, ero pazzo, ma mi resi conto che non mi stavo muovendo a discapito delle parole che avevo appena pronunciato. Ero ancora lì, in attesa che Andrew decidesse che piega dare a quella serata strana e piena di possibilità.
- Se io decidessi di essere sincero ... poi lo saresti anche tu? – la sua voce tentennante mi fece incazzare, ancora di più quel dire e non dire.
- Non mi sono fatto trenta minuti a piedi sotto lo zero solo per farmi una cazzo di birra in questo locale pieno di hipster di merda, ok? Era quello che volevi sentire? Io ho le palle di ammetterlo almeno. – lo avevo detto e quelle parole erano suonate come un dannato pugno diretto contro il mio stesso stomaco.
Andrew si era irrigidito, adesso aveva abbassato lo sguardo, incapace di sostenere il mio che doveva apparire fin troppo spaventoso. Aveva detto qualcosa sottovoce, era stato soltanto grazie al labiale che ero riuscito a capire cosa avesse detto.
Ce ne pentiremo.
Era vero, era sbagliato e ce ne saremmo pentiti. Il peso di quello che gli avevo quasi urlato contro crollò su di me in modo inaspettato. L'imbarazzo, la vergogna e il disgusto arrivarono subito dopo, mi misi in piedi in fretta, adesso facendomi strada con decisione lungo la folla di gente. Che cosa diavolo avevo cercato di fare lì dentro? Avevo perso la testa completamente.
- Levin, aspetta!
Il mio cuore batteva all'impazzata, stavo tremando per l'urgenza di allontanarmi da quel pub il più in fretta possibile, per poi nascondermi in un buco così profondo da non lasciar penetrare neanche un fioco raggio di sole. Mi ero portato a letto Aiden quando stava con Andrew e adesso volevo portarmi a letto Andrew mentre Aiden era in coma!
Quel pensiero mi fece provare un disgusto che avevo sperimentato di rado prima di quel momento. Da quando in qua non riuscivo a controllare i miei istinti? Era colpa mia? O era stato Andrew a spingermi fino a quel punto? Non avevo una risposta, sapevo soltanto che non andava bene e che avrei dovuto chiudere quella storia molto prima.
Ero fuori in strada, il freddo gelido mi colpì dritto sul volto e per un attimo pensai che dovevo essere come minimo pazzo per aver detto una cosa del genere, per aver lasciato sottintendere che ero andato fino a lì perché volevo di più di una cazzo di birra. Dovevo scusarmi e dovevo spiegarmi, ero tornato sulla retta via, era bastato uscire da quell'universo fatto di caos, alcol, caldo asfissiante e il suo dannato braccio accanto al mio per farmi tornare in me.
Andrew mi aveva seguito e un attimo dopo era già fuori a fronteggiarmi. Aveva il respiro affaticato per via della corsa e non aveva il giubbotto. Guardarlo dritto negli occhi mi fece provare una nuova ondata di vergogna che mi sommerse.
- Sono un dannato pezzo di merda! Non avrei mai dovuto dire niente del genere, ho perso completamente la testa e mi dispiace. Faresti bene a starmi lontano, niente uscite, niente rapporti strani ... a quanto pare finisco sempre per incasinare tutto. – dissi in modo trafelato, allontanandomi dalla folla che continuava ad ammassarsi sulla porta del locale. Pensai che Andrew mi avrebbe lasciato lì senza aggiungere nulla, il suo viso era imperscrutabile, sembrava quello di una statua bellissima quanto inespressiva.
- Credi che a me non sia passato niente del genere per la testa? Parli come se tu fossi l'unico qui ad aver lasciato che le cose ci sfuggissero di mano, ma ti sbagli.
Rimasi di sasso, per un attimo pensai di aver sentito male
- Cosa?
- Ci siamo dentro insieme, Levin. Le responsabilità di quello che succede o che potrà succedere vanno divise in due.
Si stava avvicinando piano ma inesorabilmente a me. Senza rendermene conto ci eravamo spostati su un vicolo secondario, buio e isolato. Quel pensiero scosse la creatura che viveva nel mio stomaco e che continuava a farsi sentire, quella che mi aveva spinto a parlare in quel modo poco prima nel pub e che reagiva a qualsiasi tipo di contatto avessi con Andrew. Quella bastarda che avrei fatto meglio ad annegare piuttosto che ad allevare. Andrew allungò le braccia verso di me e non servì a niente retrocedere. C'era un muro solido e freddo dietro le mie spalle contro il quale urtai poco dopo.
- Ce ne pentiremo, lo hai detto anche tu. Lo sai. – dissi con un filo di voce che non mi apparteneva
- Non importa – aveva parlato a voce bassissima ma non decisione, le sue labbra troppo vicine alle mie.
- Sì, cazzo. Dovrebbe. Dovrebbe per Aiden.
Sentivo il suo profumo delicato, poi quello più pungente del whiskey. Un brivido lungo la schiena che mi scosse quando appoggiò le braccia intorno alla mia testa, come una sorta di gabbia dalla quale avrei dovuto lottare per evadere. Ma volevo evadere?
- Ma io non smetto di pensarti, Levin.
Troppo vicino, così vicino che sarebbe bastato un movimento impercettibile per farci entrare in contatto. Quelle parole stavano facendo venire meno l'ultimo briciolo di resistenza a cui mi ero aggrappato con tutte le mie forze.
- Per un attimo ... solo per un attimo non pensare più al resto – era stato un sussurro basso il suo, percettibile soltanto perché non potevamo essere più vicini di quanto lo eravamo in quel momento. L'unico modo per essere ancora più vicini era lasciare che le sue labbra toccassero le mie in modo definitivo, ma la mia mano era ancora ferma sul suo petto eppure quel tocco non mi stava aiutando a spingerlo via, no ... era l'esatto opposto. Potevo percepire la pelle bollente di Andrew sotto il sottilissimo tessuto della camicia e potevo sentire il suo cuore battere all'impazzata sotto la mia mano.
- Andrew ... - avevo perso il respiro e qualsiasi pensiero sensato. Era troppo tardi per tirarmi indietro.
Uno scatto delle sue labbra verso la mia bocca che riuscii ad evitare sollevando il mio viso in alto, ma Andrew raggiunse comunque il mio collo. Avevo abbassato la mano, niente poteva più impedirgli di spingersi con tutto il peso del suo corpo contro il mio e fare quello che diavolo voleva, o volevamo.


ANDREW

La notte era gelida almeno quanto il suo collo era caldo sotto le mie labbra ancora chiuse. Controllo, controllo, controllo. Era un mantra che mi ripetevo, una sorta di legge mentale che avrebbe dovuto salvarmi da scivolare in un punto talmente profondo che poi sarebbe stato impossibile da risalire. Invece mi reggevo con le dita al precipizio dal quale stavo cadendo ma su cui avevo ancora il controllo.
- Solo un po', non andremo fino in fondo ... possiamo controllarci.
Ero sicuro di quello che dicevo mentre calavo con le labbra sulle clavicole magre di Levin, adesso gustando la sua pelle con la lingua, passandola su e giù lungo gli incavi del suo collo fremente. Si era aggrappato alle mie spalle, ma non si muoveva, non voleva prendersi alcuna responsabilità di sorta in quel gioco malvagio che stavo conducendo da solo. E mi stava bene. Sarebbe stata tutta colpa mia, ma anche la sua dannata bellezza era una colpa. Anche quel suo modo provocante di dire o non dire le cose e il modo che aveva di avvicinarsi a me, di mettere quelle sue dannate gambe sul mio sgabello e di sporgersi verso il mio viso.
Mi muovevo contro di lui senza alcuna censura, lo stavo toccando ovunque, prima le spalle larghe e muscolose, poi giù lungo la schiena ancora rigida, fino a posare le mani sul suo sedere sodo. Le lasciai lì e tornai a spingermi contro il suo inguine per cercare un po' di sollievo e invece, per una strana sorte del destino, finivo soltanto per sentirmi sempre più eccitato e desideroso di attenzioni che non avrei avuto. La mia bocca era impegnata a seviziare la sua mascella, pensavo di poter continuare in quel modo fino a quando non ne avessi potuto più, ma mi sbagliavo.
Levin gemette forte, qualcosa in quello che gli stavo facendo, o forse tutto, lo aveva spinto a reagire. Improvvisamente mi spinse indietro con la stessa forza di un leone che riesce a fuggire dalla gabbia che lo teneva imprigionato, poi mi venne incontro in fretta, tenendo il mio viso tra le mani fino a quando non fui io a finire con le spalle contro il muro opposto. Mi baciò un istante dopo, le sue labbra erano calde, ma la sua lingua era bollente nella mia bocca. Era precipitoso e allo stesso tempo però non c'era stata violenza in quell'assalto, cedetti subito e risposi con altrettanta foga, permettendogli di fare ciò che voleva con la mia bocca e con me stesso, almeno fino ad un certo punto. I baci si fecero più lenti e intensi a mano a mano che le nostre difese si abbassavano, lo stavo baciando piano per gustare Levin al massimo e per permettergli, allo stesso tempo, di assaporare me. Quei baci insieme ai suoi gemiti bassi e un po' indispettiti mi stavano torturando, senza rendermene conto avevo sollevato un lembo del suo maglione scuro e avevo infilato le mani tra la sua pelle bollente e il tessuto stretto dei pantaloni. Il mio inguine premeva fin troppo contro il suo e mi sentivo sul punto di scoppiare.
Controllo. Dove diavolo era finito il famigerato controllo che mi ero imposto poco prima? Non potevamo spingerci oltre. Una pomiciata in un vicolo poteva anche essere quasi giustificabile, considerata la situazione disperata che stavamo vivendo, ma ci trovavamo proprio al limite del giustificabile e quel limite non andava oltrepassato.
Così presi tutta la forza di volontà che possedevo e abbassai il suo maglione, poi posizionai le mie mani intorno alla sua vita stretta, al sicuro da qualsiasi tentazione. Levin non era dello stesso avviso, la mia camicia era stata sbottonata nel giro di un paio di secondi, ero a petto nudo sotto i dieci gradi e incredibilmente, invece di sentire freddo, ogni centimetro del mio corpo stava andando a fuoco. I suoi baci lasciavano scie bollenti, poi percepii la meravigliosa ruvidezza della lingua sui miei capezzoli.
- Levin, piano ... - dissi in un sussurro che finì con un gemito strozzato quando la sua bocca si chiuse intorno al mio capezzolo destro e iniziò a succhiarlo. Mi ero aggrappato ai suoi capelli, le sue dannate mani erano ovunque, così come le sue labbra umide e calde. Rischiavo di venire nei miei stessi pantaloni, proprio io che mi vantavo di avere una resistenza a letto di gran lunga superiore alla media.
- Levin – volevo interromperlo, ma non trovavo le parole. Morivano dentro di me ogni volta che la sua bocca faceva qualcosa di meraviglioso, cioè ogni attimo – aspetta
- Perché? – aveva parlato senza smettere di leccarmi lo stomaco, poi mi aveva assestato un morsetto sul fianco. Ero piegato in due, non riuscivo neanche a stare dritto tanta era la voglia di afferrare Levin e trascinarlo contro quel dannato muro per fargli qualsiasi cosa mi fosse passata per la mente. E sapevo essere pieno di sorprese.
- P-perché non dovevamo a-andare così in fondo, ricordi? – biascicai confusamente
Poi lo sentii in modo distinto: il rumore della zip dei miei pantaloni che veniva tirata giù in un gesto secco, quanto preciso.
- No, no, no ... - l'avevo rimproverato come avrei fatto con un bambino particolarmente indisciplinato sorpreso a fare una marachella. Non avevo idea di dove avessi trovato quel genere di forza di volontà, le mie mani scesero lungo il suo viso prima che avesse potuto fare qualcosa da cui non saremmo potuti tornare indietro e lo bloccai. Levin si mise su con lentezza, poi si passò una mano sulle labbra umide e arrossate. Non c'era imbarazzo nel suo viso, solo una strana oscurità che avevo visto settimane prima, quando il nostro rapporto era turbolento.
Avevo il respiro affannato e un dolore lancinante al basso ventre. Cercai di controllarmi quel tanto che bastava per abbottonarmi di nuovo la camicia e riprendere fiato.
- Stavolta me ne vado sul serio.
Ci stavamo fissando, adoravo le chiazze rosse di colore sul viso altrimenti pallidissimo di Levin. Era imbarazzato ed eccitato da morire.
- Ti accompagno io
- Non è una buona idea – ribatté in fretta, adesso a parecchi metri da me
- Non deve succedere nient'altro. – le mie parole risuonarono cariche di una convinzione che io stesso non avevo. Non volevo che Levin fraintendesse il mio comportamento, c'erano dei motivi più che ovvi per cui quella situazione doveva finire lì e immediatamente, ma non lo odiavo. Anzi, dopo quel dannato bacio era evidente che lo desideravo come non avevo osato ammettere a me stesso fino a quel momento.
- Ti porto solo a casa e basta. Fa troppo freddo per camminare e ci siamo già congelati le chiappe abbastanza per stasera. Vado a prendere il cappotto e andiamo via.
Era vero, adesso che i nostri corpi erano lontano l'uno dall'altro iniziava di nuovo a fare un freddo cane. Avevo recuperato una sorta di dignità che Levin mi aveva quasi strappato via quella sera e con passo deciso ero tornato dentro per occuparmi del mio cappotto e del conto. Avevo fatto in fretta per paura che lui avesse deciso di tornarsene a casa a piedi ed evitare un confronto con me. Levin era quel genere di persona? Forse lo ero io, ecco perché temevo di vedere in lui dei comportamenti che non avrei sopportato, ma che erano tipici di me. Quella volta non stavo scappando dalle mie responsabilità però, ero deciso ad andare fino in fondo. A chiarire quello che stava succedendo, senza negare niente allo stesso tempo.
Levin non era andato via, mi stava aspettando fuori con una sigaretta tra le labbra e l'aria di un sopravvissuto ad un conflitto bellico che aveva lasciato fin troppe vittime a terra. Stavo incasinando un altro ragazzino ... che enorme pezzo di merda incapace che ero. E tutto questo mentre Aiden era in coma, in bilico tra la vita e la morte. Dov'era il rispetto che gli dovevo?
Ma lui ti ha tradito, mi ricordò una vocina cattiva che si faceva sentire da qualche parte dentro di me, non troppo lontana dal cuore.
Non vuol dire un cazzo, ripetei con convinzione. Non voleva dire un cazzo e non potevo usare quella scusa per portarmi altra gente a letto, specialmente non Levin e specialmente non in un momento così drammatico e caotico.
- Andiamo? – mi affiancai a lui, stavolta ben attento a non toccarlo. Ero stato io ad iniziare quel gioco? Non lo sapevo, ma era probabile. Avevo oltrepassato una linea che doveva rimanere inviolata, ero sempre io a fare quel genere di cose, quindi doveva essere colpa mia anche quella volta. Era difficile parlare a quel punto, Levin non sembrava intenzionato a dire una sola parola, camminava in silenzio, con gli occhi fissi in un punto imprecisato della strada che facevamo, di tanto in tanto una boccata di fumo si sollevava in piccole nubi.
- Dammene una, ti prego – avevo bisogno di fare qualcosa oltre che a camminare.
- Vuoi la tua sigaretta post quasi sesso? – la sua risata suonò amara, quasi di scherno. Lo vidi scuotere la testa mentre mi passava l'intero pacchetto e lo zippo. Poi tentennò, c'era una certa nota amara nelle sue parole, ma pensai che non fosse destinata a me.
- Senti, ti chiedo scusa per quello che ti stavo per fare nel vicolo e da questo momento spero che non sarà più necessario parlare di quello che è successo o che sarebbe potuto succedere
- Quello che stavi per farmi nel vicolo? – trovavo divertente quel giro di parole – non vogliamo chiamarlo con il suo nome, eh? Siamo imbarazzati, Eickam?
- Perché non vai a fanculo, Andrew? – mi aveva spinto via e forse non stava proprio scherzando in quel momento. Iniziai a rincorrerlo, ma mi trattenni dal passargli le mani intorno alla vita come avrei voluto fare. Invece mi accostai a lui, non stavo più ridendo
- Non farla così tragica, ok? E tu non mi hai fatto niente! C'ero anch'io ed ero consenziente al mille per cento, lo sai. Poteva succedere a chiunque. Siamo due uomini, siamo gay e incazzati con il mondo e arrapati. Non è successo niente di irrimediabile, perché ci siamo fermati prima.
- Tu ti sei fermato
- E' uguale
Levin mi guardò con espressione scettica sul viso – Non è uguale per un cazzo invece. Non sono mai stato bravo a trattenermi in questo genere di cose, né con il sesso, né con qualsiasi altro tipo di dipendenza, quindi credimi quando ti dico che io non mi sarei fermato
Quelle parole risvegliarono la piccola belva ruggente nel mio stomaco che a quanto pare si era soltanto assopita appena. Lui non mi guardava, camminava con determinazione verso il fondo della strada
- Quindi cosa intendi fare? Pensi di ignorarmi da ora in poi? – perché pregavo che mi dicesse che non era quello che voleva? Non eravamo neanche amici, né potevo pensare che lo saremmo stati in un futuro vicino. Era troppo pericoloso provare a frequentarci a quel punto.
- Non so cosa intendo fare, non so neanche che cosa ho fatto stasera, Andrew. Non è abbastanza evidente che sto brancolando nel buio?
- Per fortuna ci sono io allora – il mio tono era acido esattamente come il suo. Eravamo arrivati all'auto, l'accesi e subito azionai il riscaldamento. Faceva un freddo cane, ma trovarmi lì dentro con lui innescò qualcosa dentro di me. Un piccolo incendio, niente di ingestibile, doveva essere perché lo trovavo bello e purtroppo quei baci mi erano piaciuti. Ad un tratto avevo sperato che quella sorta di attrazione sarebbe morta baciandolo, a volte succedeva, ma non era stato quello il caso. Mi lasciai sfuggire un sospiro che non passò inosservato, Levin mi stava fissando
- Vuoi mettere in moto o no?
Era teso, intuiva un pericolo e temeva che io non sarei stato abbastanza forte da tenerci al sicuro. Misi in moto un attimo dopo, toccava a me alleviare i pensieri di Levin, gli dovevo delle scuse.
- Senti, non vedo perché tu debba addossarti delle colpe che dovrebbero comunque essere divise tra due persone, sempre se si può parlare di colpe.
- Chiamiamolo tradimento allora
Lo guardai stupefatto – Cosa? Questa è nuova. Chi avremmo tradito? Io non sto con nessuno, tu non stai con nessuno!
Levin scosse la testa – Ma c'è Aiden e non fingere che tu non abbia pensato a lui ... lo sai che questo avvicinamento non è normale.
- Ci siamo avvicinati, è vero. Abbiamo parlato troppo e cazzo, ci siamo anche trovati bene e non ho problemi a dire che non me lo aspettavo, avevo deciso di evitarti e schifarti per quello che avevate fatto alle mie spalle tu ed Aiden, ma le cose sono andate diversamente e non so neanche come sia iniziata. Non credo di essermene reso conto ... – era così, non poteva essere stato un momento preciso nel tempo, forse si trattava di una serie di cose apparentemente superficiali che però ci avevano fatti avvicinare e adesso eravamo lì, a pagare.
Lo guardai dritto negli occhi, in quel viso pallido e schivo, i capelli lisci di cui ne conoscevo la morbidezza adesso, così come avevo imparato a riconoscere il sapore delle sue labbra e il profumo della sua pelle. E mi piaceva, non c'era una sola cosa che non mi attirasse in quel dannato ragazzo, forse era tutto lì il punto, forse mi piaceva proprio perché non doveva piacermi per nessuna ragione al mondo.
- Credo che volessi portarti fuori con l'intento di far succedere qualcosa – ammisi dopo un attimo infinito di silenzio. Sentivo lo sguardo di Levin sul mio viso adesso, ma la mia attenzione era tutta sulla strada, non volevo guardarlo– non l'ho fatto intenzionalmente, non mi fraintendere. Mi sto rendendo conto solo adesso di quelle che dovevano essere i miei desideri inconsci.
- Non parlarmi come se fossi un bambino che non riconosce la malizia. Anch'io ho accettato di uscire con te con la speranza che stavolta sarebbe potuto succedere di tutto. Lo so che fa schifo a parole, forse è per questo che non volevo pensarci affatto.
L'aveva detto e non c'era imbarazzo nella sua voce, Levin non si imbarazzava. Il suo tono era incazzato, ce l'aveva con sé stesso. Era quello che faceva in continuazione, prendersela da solo.
- Volevo portarti a letto, siamo in vena di confessioni quindi te lo dico e basta.
- Scusa? – Levin mi interruppe, aveva sollevato un sopracciglio – tu volevi portare a letto me?
Lo guardai per un attimo, soltanto dopo un paio di secondi capii il senso della sua domanda.
- Ah ecco, sei attivo anche tu. Vedi? Non poteva funzionare comunque tra noi due – scherzai con un tono apparentemente tranquillo. Parlare di quelle cose non aiutava per niente. Ero di nuovo sveglio lì sotto e ringraziai la protezione della notte che impediva a Levin di notare quel grosso ed evidente problema.
- Tutto risolto. E' stato bello comunque, baci da dio, Levin.
L'avevo detto sul serio? Adesso mi fissava con un'espressione confusa sul volto
- Grazie, suppongo – rispose con poca convinzione
- Prego. Vedi? Almeno Aiden mi ha messo le corna con una persona che ci sa fare
- Ah, e questo ti consola?
- Non poi così tanto, adesso che ci penso – commentai, soffocando una risata. Stavo permettendo ai miei pensieri di vagare troppo, non era il caso di pensare a quello che Levin poteva dare a letto, fino a poche settimane fa lo aveva immaginato con Aiden e quelle immagini erano state dure da sopportare, adesso le cose erano cambiate in modo drastico. Avevo iniziato a vederlo nel mio letto e non andava bene per niente.
- Io sto alla fine della via. Puoi fermarti qui
La sua voce mi riportò alla realtà, iniziai a rallentare quando vidi le prime ville sbucare sulla destra, poi spensi il motore. Il silenzio calò su di noi, le strade erano deserte e immobili, sembravamo le ultime due anime rimaste al mondo.
- Non usciremo più insieme, no?
Lo guardai – Sarebbe come sbancare alla roulette russa e decidere di rimanere al tavolo a puntare ancora e ancora.
- Rischioso – concluse lui per me con uno strano sorriso impresso sul volto – è meglio così. Allora ci vediamo in ospedale quando capita. Grazie per lo strappo e buonanotte.
Stava lasciando l'auto. Lo stavo guardando andar via e c'era qualcosa di sbagliato in quell'immagine. Eppure doveva essere giusto così, mi costringevo a pensare, era giusto allontanarlo, rimetterlo su quei binari sicuri che non ci avrebbero fatti deragliare di nuovo ... era tutta questione di non farsi male in fin dei conti. Di non complicare certe situazioni già pessime alla radice. Avevo fatto bene, mi ero comportato bene, da ventottenne assennato quale ero. Avevo un ex in coma, non era davvero il caso di lasciarmi coinvolgere in una storia di sesso con il ragazzo con cui Aiden mi aveva messo le corna.
Pensieri vuoti che mi sembravano falsi anche mentre continuavo a ripetermeli. Scesi dall'auto un attimo dopo, gli corsi dietro, Levin si voltò in fretta, allertato dal rumore che le mie scarpe producevano sul marciapiede. Lo presi alla sprovvista come lui aveva fatto con me poco prima, ma stavolta era pronto, niente resistenza, le sue braccia erano aperte, gli andai incontro e cercai le sue labbra. Le schiuse in fretta, un bacio intimo, diverso da quello precedente, lo morsi appena, volevo sentirlo gemere e spingerlo a dimenticare quel percorso fuorviante sul quale lo avevo indirizzato con le mie parole. Non imparavo mai, non riuscivo a correggere il tiro, ero destinato a commettere errori su errori, a seminare relazioni sbagliate dietro di me.
- Buonanotte allora
Levin si sporse in avanti per un ultimo bacio a fior di labbra, lo attirai di nuovo per dargliene uno che non avrebbe dimenticato facilmente. Troppa passione, erano i miei gemiti quelli che sentivo? Mi scostai prima di perdere il controllo su ogni cosa. Dovevo scongiurare quel pericolo. Cercai di mettere in ordine i miei pensieri, ma il mio sangue era fluito tutto verso il basso, mi ritrovai a ridere come un idiota
- Buonanotte, Levin.
Mi voltai a malincuore, non era in quel modo che desideravo finire la serata. Non potevo fare quello che volevo. Punto. Dovevo accettarlo.
- Che cosa stiamo facendo, Andrew?
Era dall'altra parte del cancello di casa, aggrappato alle inferriate scure, mi guardava, smarrito e confuso come dovevo essere io in quel momento.
Scossi la testa – Non lo so. Viviamo?
- A discapito degli altri ...
Parole amare come l'espressione che gli si dipinse in volto, una perfetta copia della mia. Avevo un futuro intero per pentirmi e sentirmi colpevole di ogni istante che avevo trascorso con lui.


NOAH

Era quasi arrivata la fine del mio turno quando mi ritrovai a passare dal corridoio in cui si trovava la camera di Aiden, ormai era diventato quasi un rito sbirciare dentro per accertarmi che tutto andasse bene. Forse era più corretto dire: che la situazione non fosse peggiorata. Di buono c'era ben poco ormai in quella camera.
I primi giorni di dicembre erano ormai passati e le speranze di un risveglio cominciavano a vacillare nella mente di tutti. La speranza era ancora lì a tenere sul filo chiunque ci si aggrappasse ma stava diventando faticoso persino avere fiducia, lo capivo fissando il volto dell'unica persona che non sembrava essere in grado di arrendersi.
Spostando lo sguardo all'interno della camera, anche quel giorno, vidi Keno seduta accanto ad Aiden e lessi nel suo volto la stessa determinazione della prima volta che aveva preso posto in quella stanza. Nonostante fosse totalmente a pezzi per quella situazione, trovava ancora la forza per rimettere insieme i pezzi e non arrendersi.
Forse era per questo che lo amavi?
Mi venne da sorridere, la forza e la rabbia di Keno erano la sua parte peggiore, riuscivano ad investire gli altri con una ferocia tale da annientarli. Però, allo stesso tempo, erano la sua qualità più sorprendente, essere travolti da un suo sguardo significava essere trascinati totalmente dentro qualcosa di nuovo.
Decisi di entrare nella stanza, feci giusto qualche passo prima che i suoi occhi si posassero su di me, era sempre una sensazione strana essere fissato da quelle iridi azzurre.
- Come stai? – chiesi avvicinandomi al bordo del letto.
- Continua a dormire – rispose con quel tono piatto che ormai era sempre più presente nei suoi dialoghi.
- Lo so questo, ma mi interessa capire come ti senti tu – insistetti.
- Non starò bene finchè non starà bene anche lui – replicò stizzito – puoi tranquillamente darmi del pazzo anche tu, mettiti in fila
- Non ho nessuna intenzione di darti del pazzo – dissi serio.
- Strano, sono tutti lì a dire come sto perdendo la testa – commentò con un sorriso amaro – i miei genitori, gli insegnanti, persino alcuni ragazzi a scuola ... sono il nuovo zimbello della Tech. Dovrei fare Shannon, che dice quanto gli manca Aiden ma non fa un cazzo per lui.
- Ehi – esclamai scuotendolo appena per le spalle – non è un peccato o un delitto essere legati a qualcuno, non devi vergognarti o permettere agli altri di screditarti
Lui sorrise, anzi, accennò una smorfia beffarda, un riflesso del vecchio Keno – guarda come mi sono ridotto, a prendere consigli da uno sciocco sentimentale come te
Anche io mi unii a quella leggera risata – sembra che nemmeno tu sia immune ai sentimenti, vorrei solo che non affrontassi tutto da solo
- Siamo tutti soli Noah, non essere sciocco. Poi uno come me non ha il diritto di elemosinare la pietà degli altri, non ne ho mai avuta per nessuno
-Beh, io nonostante tutto, non ti auguro quello che stai passando. Vorrei davvero che Aiden si svegliasse e non solo per lui, ma anche per te, per quello che lui significa per te – mi costò ammetterlo, in qualche modo quella confessione era qualcosa che mi tenevo dentro da tanto tempo – sono sempre stato geloso di lui, anche se non l'ho mai dato a vedere, ero geloso del legame che avevate e che c'è persino adesso. Sapevo che nella tua estrema crudeltà non avresti mai ferito Aiden e lo invidiavo.
I suoi occhi azzurri divennero improvvisamente ancora più tristi e cupi – Eppure l'ho fatto. Sono stato spietato con lui, ho provato a fermarmi ma non ce l'ho fatta e le ultime parole che ci siamo detti erano piene di odio – si morse le labbra – è la cosa che mi fa più paura quella. Se si svegliasse ricordandosi di quanto ero stato cattivo con lui e decidesse di non volermi vedere mai più? A volte penso che questo momento sia prezioso, perché possiamo stare ancora insieme.
Un'altra fitta dolorosa mi investì, anche se ormai cercavo di essere indifferente e distaccato da ciò che ruotava intorno a Keno. Non era necessario trattenere i miei pensieri, ormai potevo fare a meno di tenermi dentro le cose, potevo parlare, mi ero conquistato quel diritto.
- Forse è proprio di questo che ero geloso e che mi rendeva tanto insicuro, sapere che non sarei contato mai tanto per te. Non ti avrei mai suscitato un rimorso così nemmeno se fossi stato in quel letto al posto suo – commentai consapevole – tu avresti continuato ad avere Aiden, sono sempre stato superfluo nonostante abbia fatto di tutti per diventare indispensabile
Il suo volto era marmoreo ma non mi corresse, scaldare la sua freddezza era stato il mio obbiettivo quando stavamo insieme ma forse non era quello il punto. Forse per amare davvero una persona come Keno bisognava saperci vivere in quella freddezza, essere temprati a sopravvivere al ghiaccio assoluto del suo sguardo.
- Sei solo stato tanto ingenuo da cascarci, sono fatto così, non riesco a fare a meno di usare la gente. Il tuo problema è stato non averlo potuto tollerare
- C'è qualcuno disposto a farsi usare per scelta? Keno, pensavo che almeno avresti imparato questo, ad avere rispetto – insistetti.
- Sei tu a non aver capito, a volte è questa l'unica scelta che abbiamo: usare ed essere usati
Tornò con lo sguardo ad Aiden e io capii che la conversazione era finita, non aveva più voglia di parlare o di guardarmi e io ancora una volta non riuscivo a spingermi oltre. Come sempre, quando Keno chiudeva i suoi cancelli mi era impossibile aggiungere altro o provare a inserirmi nella sua mente. Ero sempre stato fuori.

Mi sentii meglio solo quando uscii dall'ospedale, era da tanto tempo che non provavo quella sensazione, lo strano disagio che ti resta addosso dopo un confronto con Keno. Per un attimo mi chiesi come avevo potuto tollerarlo per così tanto tempo, ora che finalmente me ne ero liberato, mi sembrava assurdo.
Forse dovresti vergognarti.
Sì, forse dovevo davvero, dicevo di amarlo, lo avevo urlato a lui milioni di volte ma adesso mi sentivo in difetto. Forse lui lo aveva sempre saputo che il mio amore non era tanto reale come a me sembrava, forse sapeva che interrotto quel desiderio, a mente fredda, i miei sentimenti si sarebbero dissolti.
Mi trovai a chiedere a me stesso come avevo fatto a dirgli di amarlo così tante volte, ed un giorno aver smesso e aver desiderato di non averlo mai incontrato, aver desiderato di dimenticare ogni momento passato con lui. Forse era quella la lezione che mi aveva insegnato Keno, in qualche modo, anche senza volerlo, mi aveva mostrato che anche quello che ritenevo un mio nobile e profondo sentimento in qualche modo era puro egoismo.
Esattamente come lui voleva tenermi lontano, io volevo che fossimo vicini.
Doveva essere questo il motivo per cui eravamo rimasti insieme così tanto, perché io ero troppo accecato dalla mia prospettiva per fare un gesto davvero amorevole nei suoi confronti e lasciarlo andare.
E lui? Perché è rimasto? Forse perché in certi momenti non possiamo fare altro che usare e farci usare.
Spensi il motore della moto quando fui davanti al locale dove lavoravo, anzi, il lavoro che avevo fino alla settimana scorsa. Avevo finalmente deciso di lasciarlo, ormai i turni all'ospedale si erano fatti intensi e la paga mi consentiva di dedicarmi unicamente alla medicina, dovevo solo passare a ritirare la buona uscita.
Così entrai, quel posto mi sarebbe mancato in un certo senso, quelle pareti eleganti e la luce soffusa avevano un'aria confortante.
Al bancone quella sera c'era Jaco, i capelli lisci e biondi ordinatamente legati in una coda, la divisa stirata e impeccabile gli cadeva lungo le spalle e fianchi, accennò un sorriso timido quando mi vide.
- Ehi, serata tranquilla? – chiesi mentre mi appoggiavo alla superficie lucida.
- Abbastanza, sei qui per l'ultima paga? – chiese cercando qualcosa sotto il bancone – il capo mi ha chiesto di lasciartela
Mi passò una busta e io la presi infilandola nella tasca interna della giacca – hanno già trovato un sostituto?
- Sì, comincia domani – rispose con tono triste – però ... non sarà lo stesso senza di te
- Prometto che farò un salto ogni tanto, come cliente – dissi sorridendo.
- Posso offrirti qualcosa adesso? – chiese con uno strano tono di voce.
- Devo guidare, sarà meglio di no – risposi ed ero quasi pronto ad andare via, ma c'era qualcosa nel suo sguardo che sembrava tenermi bloccato lì – allora io ...
- Noah ... - mi chiamò quando feci un accenno ad allontanarmi dal bancone.
Sembrava in imbarazzo – c'è qualcosa che non va? – lo incitai.
- Io ... devo sembrarti estremamente sfacciato – disse all'improvviso vagamente rosso in volto per la vergogna – però ecco, se non te lo dico adesso magari non ci sarà occasione. Perché tu hai tanti impegni e i turni in ospedale, penso di non avere il tuo numero ... quindi ... - fece ancora una pausa – vorrei sapere se ti va di bere qualcosa qualche volta ... io e te ...
Quella proposta mi spiazzò, Jaco era sempre stato abbastanza sulle sue, timido e riservato, non avevo proprio compreso che fosse interessato a me. Per un momento mi sentii lusingato, la sua pelle pallida e i capelli biondi mi ricordavano qualcuno che avrei tanto desiderato mostrasse altrettanto interesse. Ma poi c'erano quegli occhi scuri e sinceri, quelli erano qualcosa di nuovo.
- Mi dispiace – disse interrompendo il silenzio – non avrei dovuto dirlo così su due piedi, hai da poco chiuso con il tuo ragazzo, sono stato indelicato
- Va tutto bene – mi precipitai a replicare- sono solo sorpreso, non avevo idea che tu ... ecco
- Già – commentò Jaco senza nascondere l'imbarazzo – mi sei piaciuto subito, quando ho iniziato a lavorare qui. Poi ho saputo che avevi il ragazzo quindi ...- sospirò – lo capisco se ti sembra una pessima idea vedere qualcun altro adesso
Lo era davvero?
Sarebbe stato orribile uscire con qualcuno dopo la fine della mia storia con Keno? Me lo chiesi mentre Jaco si agitava davanti a me, come se avesse commesso un delitto. Forse il me stesso di qualche mese fa si sarebbe sentito offeso da una simile richiesta ma, in quel momento, non mi sembrava per niente inopportuno, anzi, forse era davvero il momento che mi decidessi a ripartire.
- Con Keno era già finita quando avevamo iniziato – dissi in un impeto di puro realismo – penso che solo io mi ostinavo a non vedere e rendevo la vita difficile ad entrambi – mi schiarii la voce – quindi, per farla breve, mi fa piacere che tu mi abbia chiesto di uscire
Vidi il suo volto illuminarsi improvvisamente, prese un fazzoletto e tirò fuori la penna dal taschino – questo è il mio numero, possiamo sentirci quando vuoi, insomma non c'è fretta ...
- Che fai domani sera? – chiesi con un mezzo sorriso.
Lui avvampò ma non nascose la gioia, allargando il sorriso – stacco alle otto
- Allora passo a prenderti, piazza e birra a Coney Island?
- Ci sto – rispose entusiasta.
- Bene, allora a domani ... - conclusi ma prima che potessi allontanarmi sentii la sua mano sulla mia.
- So cosa gli altri dicevano di voi e di lui, per quello che vale secondo me non hai sbagliato a provarci e cercare di farla funzionare, sei stato coraggioso
A volte il confine fra fare il coraggioso e il martire è davvero sottile, forse a me piaceva stare in mezzo.
- Grazie
A quel punto mi allontanai e finalmente ripresi il mio tragitto verso casa, chiusi accuratamente il giubbotto prima di infilare il casco e partii, affrontando il vento gelido dell'inverno di Brooklyn.

ANGOLO AUTRICI:

Eh ... che dire? Sicuramente avrete bisogno di riprendere fiato dopo questo capitolo! Finalmente c'è stato un avvicinamento fra Andrew e Levin, ma sarà la mossa giusta? Entrambi sembravano parecchio turbati da quanto successo, soprattutto nei confronti di Aiden. Abbiamo anche avuto un pov speciale, Noah ci ha fatto vedere il suo punto di vista sulla situazione attuale e sul suo rapporto passato con Keno. Sembra sia riuscito  chiarirsi molti dubbi che lo hanno fatto vacillare. Ci auguriamo che continuiate a seguire la storia con interesse, aspettiamo con ansia i vostri commenti per sapere cosa ne pensate! Per chi se lo stesse chiedendo: ci saranno altri Pov speciali, di altri personaggi che normalmente non ne hanno. Quindi al prossimo aggiornamento! 

BLACKSTEEL

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