22. The other side

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Ecce Homo.

(Ecco l'uomo, Ponzio Pilato)

CALLUM
Mi ero aggirato per i corridoi della scuola in totale solitudine, per qualche giorno mi era sembrato di essere tornato il vecchio Callum, il non visto. Levin, Keno, persino Aiden sembravano essersi volatilizzati, non li avevo visti in giro per la scuola o a mensa. Levin non era venuto al nostro solito appuntamento sul retro e, passando vicino casa sua, non mi era sembrato di vederlo in giardino.
Cosa stava succedendo? Non ne avevo idea eppure avevo una pessima sensazione, ancora una volta sentivo che ero inutile, qualcuno all'oscuro di una parte importante di verità.
Poi lo vidi, uno spettro più che un uomo, Keno ero sceso da una macchina guidata da un uomo che poteva essere suo padre. L'auto rimase lì in attesa che lui attraversasse il cancello ed ogni suo passo sembrava compiuto con uno sforzo estremo. Non lo avevo mai visto così, anzi, non avevo mai visto nessuno così oltre me stesso, tremai.
Cosa ti è successo Keno?
Gli andai incontro e lui non sembrò vedermi, fissava il terreno mentre avanzava come rinchiuso in una sorta di bolla, così mi feci coraggio e gli afferrai una mano.
In quel momento sembrò di nuovo far caso al mondo, mi fissò dritto negli occhi ed io notai il rossore nei suoi. Aveva pianto?
- Keno, che succede?
- L'incidente ... - sussurrò - non sai dell'incidente?
Quella domanda mi lasciò senza parole e un brivido mi si arrampicò lungo il corpo, non sapevo di cosa stesse parlando ma immaginai immediatamente qualcosa di catastrofico.
- Io non ho sentito il telegiornale - provai ad articolare – non so di che incidente parli
- Aiden ... Levin ...
- Cosa gli è successo? Stanno bene? – il mio cuore iniziò a cavalcare.
- Levin sta bene, non temere – rispose con tono sprezzante e cercò di sciogliere la mia presa sulla sua mano.
Io restai agganciato a lui – e Aiden? Come sta? – insistetti.
Lo vidi crollare, abbassò lo sguardo e il vuoto si aprì nei suoi occhi, il messaggio era chiaro: Aiden non stava bene e Keno stava soffrendo. Forse quella era stata la prima volta che un ragazzo come lui sperimentava un dolore tanto grande, la prima volta che rischiava di perdere qualcuno. Io potevo capirlo, io vivevo ogni giorno immerso in quel dolore.
Benvenuto dall'altra parte, fra quelli che devono andare avanti.
Non dissi nulla inizialmente, mi limitai a portarlo lontano dalle occhiate degli altri studenti che avevano iniziato a fissarci. Ci rifugiammo nel retro del cortile, dove gli alberi e il silenzio potevano contenere quel disagio crescente nella mente di Keno. Lo aiutai a sedersi e feci lo stesso anche io mentre aspettavo che si concentrasse sulle le parole che cercava di pronunciare.
- E' in coma – disse alla fine dopo quel tremendo silenzio - è tutto un tale casino. Sono così arrabbiato e spaventato, cazzo. Ho una paura fottuta ogni istante e non c'è niente che possa fare per cambiare le cose
Continuavo a tenergli la mano e sentendo quelle parole la strinsi ancora di più – capisco come ti senti...
Si irrigidì immediatamente e i suoi occhi tornarono pieni di rabbia e diffidenza – capisci? Ma ti prego! Risparmiami tutte le stronzate e i luoghi comini che ti vengono in mente! Nessuno può capire come mi sento – sbottò.
- Mia sorella gemella è morta
Silenzio.
Era la prima volta che dicevo a qualcuno quella cosa, quel fatto tanto doloroso, lo avevo detto a voce alta dopo tanti anni e ne fui felice. Capii che se potevo aiutare qualcuno con quella storia, allora dovevo raccontarla.
- Eravamo piccoli – continuai- io avrei dovuto stare attento a lei solo per pochi minuti, assicurarmi che stesse bene fino al ritorno di mia madre. Ma sono stato egoista, volevo nuotare, volevo battere il mio record e così mi sono tuffato. Lei mi ha seguito ed è annegata
- Abbiamo litigato così tanto – cominciò anche lui, incitato dal mio racconto, pronto a lasciare andare il rimorso che provava - non avrei mai dovuto dirgli quelle cose, Aiden non è solo quello. Se mi fossi controllato saremmo stati insieme per il suo compleanno, non avrebbe mai ignorato le mie chiamate. Saremmo insieme anche ora o entrambi vivi oppure su quel letto, ma saremmo insieme – la sua voce era rotta dalla disperazione – mi sento così sopraffatto da tutto questo, da lui in quello stato e dall'indifferenza del mondo. Tutti pronti a tirare fuori quelle storielle del cazzo: se la caverà, devi andare avanti, dormi un po', mangia, vai a scuola, ti faremo sapere, dici una preghiera, non puoi fare niente! – ringhiò – sono stanco di non poter fare niente, sono stanco del mondo che aspetta e spera! Non voglio restare solo!
Quel dolore così intenso, era anche lui ad un passo dal baratro, proprio come lo ero stato io prima che Alencar venisse a prendermi. Potevo farlo io adesso? Ero in grado di sorreggere qualcun altro oltre me stesso sulle mie gambe malferme?
Decisi di provare, che per Keno ne valeva la pena, uno sconosciuto che si era fermato davanti a me per guidarmi in un mondo diverso, più felice, ora dovevo ricambiare quel favore e guidarlo fuori dal mondo di dolore che conoscevo bene.
Avvicinai il mio viso al suo e lo baciai, un bacio timido e strano, come se in quel momento entrambi stessimo studiando la situazione, come se volessimo comprendere se quella connessione sarebbe stata solida.
Mi staccai continuando a fissare quegli occhi azzurro intenso – non sei solo. Ci sono io qui con te, qualsiasi cosa accada ad Aiden potrai contare su di me – dissi con fermezza- se si sveglierà gli starai accanto ma se non lo farà allora sarai abbastanza forte da accettarlo. Devi avere molto coraggio Keno, in entrambi i casi sarà doloroso e ti sentirai solo perché quel genere di forza che ti serve dovrai ricavarla unicamente da te stesso, nessuno ti potrà aiutare in questo. Però arrendersi è per i vigliacchi e tu non lo sei, per tutto il resto ci sono io ma la forza devi mettercela tu
Aveva ascoltato le mie parole con attenzione e io sperai di aver detto quelle giuste, continuò a fissarmi per un po' e alla fine si decise a chiedere:
- Perché lo fai? Perché ti offri così tanto per stare al fianco di uno come me?
- Perché nessuno merita di affrontare questo dolore e tu non hai niente di sbagliato per cui meritarlo
Buffo, sto parlando davvero io?
- Non mi conosci, non puoi sapere fin dove mi sono spinto senza provare rimorso
- Ehi Keno – mormorai passando nuovamente una mano sul suo viso e accarezzandogli appena il collo – gli innocenti non esistono
Fu lui a baciarmi quella volta, afferrò il mio polso in modo che la mia mano non si allontanasse dalla sua pelle fresca e mi strattonò verso di sé. Stretti in quel momento di estremo bisogno, ci scambiammo una serie di lunghi baci mentre sentivo le gocce di pioggia iniziare a bagnarmi la testa e spalle. Ma non era importante, non c'era altro di importante in quel momento al di fuori di quei baci e quella vicinanza.

Avevamo ripreso regolarmente la nostra giornata scolastica: le verifiche, le lezioni, il vociare dei compagni, tutto come sempre. Ci eravamo ritrovati a sederci allo stesso tavolo a mensa e nonostante la distanza fisica che ci separava, riuscivo a sentire quell'enorme connessione che era nata fra di noi. Dal modo in cui Keno mi fissava ero consapevole che anche lui la sentiva, adesso che quelle parole erano state dette eravamo diventati qualcuno l'uno per l'altro.

La pioggia era diventata un temporale nel giro di qualche ora e quando uscii dalla scuola mi ritrovai a camminare sotto l'acquazzone, attraversai la strada una volta superato il marciapiede della scuola e mi resi conto che anche un'auto aveva appena passato quell'incrocio per posteggiarsi poco più avanti. Era lui, Alencar e le sue apparizioni casuali, mi avvinai senza farmi troppe domande e montai sull'auto chiudendo lo sportello rapidamente.
Ci fissammo per qualche istante, io ero completamente fradicio e lui mi passò un fazzoletto per asciugarmi un minimo i capelli.
- Ma non ce l'hai un ombrello? – chiese senza un tono particolare.
E tu non hai altro da fare che pedinarmi?
Mi sarebbe piaciuto rispondere in quel modo, ma non lo feci, mi limitai ad abbozzare un sorriso.
- Ti accompagno a casa?
- Va bene anche se mi lasci alla metro – dissi osservando il suo profilo attento alla strada.
- Se devi tornare a casa posso accompagnarti, non mi disturba – mormorò – a meno che tu non debba vederti con qualcun altro, da qualche altra parte
C'era una vena provocatoria era evidente ed io provai un certo fastidio, che diritto aveva di intromettersi anche in questo?
- Devo andare a casa – dissi secco.
E fu lì che mi portò, nel silenzio di quell'abitacolo, fermò l'auto solo quando ci ritrovammo a pochi passi dal vialetto d'ingresso e lì c'era una nuova cattiva notizia. L'auto di mia madre, la sua presenza in quella casa, le liti e il suo sguardo di odio, ancora e ancora in quella prigione senza fine.
Portai la mano alla maniglia per scendere dell'auto ma la voce di Alencar mi fermò.
- Sei sicuro di voler scendere adesso? Con lei in casa
Che cos'era quello? Mi voltai a guardarlo con il volto pieno di dubbi, si trattava di un nuovo modo per tenermi sotto controllo? Voleva che mi fidassi di lui?
- Lasciami in pace e non fare finta che ti importa di me – risposi nervoso – chiuso in casa nel mio inferno personale non posso mettere a rischio la vostra magnifica relazione
Stava per replicare, lo vidi in quell'espressione contrita, ma non gli diedi il tempo di farlo, smontai dall'auto e corsi verso il vialetto, mi gettai sulla porta d'ingresso e poi dentro casa richiudendola alle mie spalle.
Era doloroso pensare a quella gentilezza, riportare alla mente quello che Alencar aveva fatto per me, quello che mi aveva fatto provare e anche con quanta freddezza mi aveva obbligato a dimenticare.
Sei solo uno strumento.
Era questa la dura verità, sarei sempre stato solo questo, solo il corpo che conteneva l'essenza dei suoi desideri e trovavo tremendamente crudele quella gentilezza strumentale che usava. Quella falsa pietà, quella insignificante dolcezza e premura, quell'ipocrita cortesia che aveva imbastito per tenermi buono, per autorizzarsi a infilare la sua volontà anche nei pochi momenti in cui io esistevo come Callum. Nei momenti che dedicavo a me stesso.
C'era tanto silenzio in casa, lo stesso che aleggiava anche dentro di me, un silenzio assordante come se quella casa fosse infestata, e forse le ora. I ricordi lì dentro si facevano tangibili e diventavano spettri che divoravano i vivi, passando lungo il corridoio notai mia madre china sul bicchiere di Whiskey e la porta chiusa dello studio dell'avvocato Loss. Quanta energia per tenere a bada un ricordo doloroso.
Salii in camera mia e contemplai anche io la mia scrivania dove una volta tenevo l'unica foto che avevo di lei, mi chiesi se senza quella traccia avrei per sempre dimenticato il volto di mia sorella, deformandolo con i ricordi sempre più mostruosi di quel giorno che affollavano i miei incubi. Fuori la pioggia non accennava a diminuire e osservando la casa degli Eickam notai la presenza di qualcuno nella finestra di fronte. Doveva essere Levin, almeno le lunghe gambe e le spalle distese sul letto sembravano le sue, doveva essere uscito dall'ospedale e anche lui si era unito a coloro che vivevano la vita dall'altra parte. In attesa.  

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