24. Sweet Loneliness

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Fugit irreparabile tempus.

(Fugge irreparabilmente il tempo)


CALLUM
Fu un dolore intenso a svegliarmi, aprii gli occhi molto lentamente mentre sentivo la mia tempia pulsare, mi misi a sedere ed in quel momento compresi di essere a terra. Mi sollevai barcollante senza capire quando fossi caduto, trovai soltanto la parrucca a poca distanza da me come unica spiegazione a quel vuoto di memoria.
Mi diressi in bagno mentre comprendevo che c'era stata Celia al mio posto quel pomeriggio, mi sembrò strano risvegliarmi da solo, perché non si era vista con Alencar?
Mio Dio ...
Rimasi pietrificato mentre fissavo il mio riflesso allo specchio, avevo un grosso ematoma sulla parte sinistra della fronte, poco sotto l'attaccatura dei capelli. Sembrava che qualcosa mi avesse colpito e io non avevo idea di cosa fosse successo. Quello non era il solo segno che avevo, dovetti ammettere con rammarico, anche le mie gambe e il mio fianco sinistro erano cosparsi da lividi di varia grandezza. Sembrava fossi caduto da qualche parte o avessi sbattuto violentemente ma ancora una volta non ricordavo.
Doveva essere lei, ma perché aveva iniziato a farmi del male? Cosa avevo potuto fare per farla arrabbiare tanto? Mi sciacquai il viso mentre la confusione e l'ansia prendevano possesso della mia mente stanca, sentivo un enorme peso allo stomaco.
Decisi di lasciare la mia camera, provare ad andare in cucina e mangiare qualcosa ma ultimamente mi riusciva parecchio difficile, lei era ancora in casa.
Fu proprio quando varcai la soglia della stanza che mi resi conto che mia madre era seduta al tavolo, con una tazza di caffè davanti e lo sguardo vagamente vuoto. Se ne stava in silenzio e al buio, totalmente assediata dai suoi pensieri che ero certo non fossero migliori dei miei.
Due condannati alla vita, è questo che siamo.
Quando vedevo mia madre in quei rari momenti di debolezza mi rendevo conto di quanto la nostra condizione fosse simile, per quanto lei spingesse su di me ogni colpa ero certo che Celia in qualche modo infestasse anche la sua mente. Avanzai cauto lungo la cucina ma lei sembrava non vedermi, teneva le braccia strette al petto e fissava quel fumo salire ed espandersi nell'aria.
- Mamma?
Lo avevo fatto, avevo provato a rompere quel silenzio pronunciando quell'unica parola come un sussurro, la vidi scuotersi appena e portare gli occhi su di me. Forse non stava vedendo davvero Callum perché per un momento non mi dedicò il suo solito sguardo di disprezzo, per un attimo sembrò solo una madre preoccupata e piena di speranze. Ma quei pensieri sparirono, più mi fissava e più si rendeva conto che io non ero lei, che quell'atroce realtà non era cambiata ed i suoi occhi cominciavano a riempirsi di dolore e rabbia.
- Che cosa vuoi adesso? – ringhiò sprezzante.
Non voleva parlarmi, non voleva nemmeno che io fossi lì, non gli importava di quella strana ferita che avevo alla testa, c'era il nulla assoluto dentro di lei, stava solo raccogliendo le ultime energie prima di sparire di nuovo lontano da quella casa dove mi aveva scaricato.
Nessun ricordo è meglio che un brutto ricordo.
Forse era quello il modo in cui lei stava affrontando il dolore, forse stava facendo finta di aver perso entrambi i figli o forse di non averne mai avuti. Fuggiva lontano da quello che era successo, da tutti i ricordi dolori della perdita e si rifugiava in un mondo a parte dove nessuno di noi era mai esistito, forse il suo lavoro le dava quel genere di libertà.
Una dolce solitudine in cui cullarsi, dove niente poteva toccarti.
Se mia madre riusciva davvero a farlo, a vivere parti di vita come se nulla fosse davvero accaduto, allora la invidiavo. Abbassai lo sguardo e uscii dalla cucina senza dire niente, lasciandola nuovamente nella sua solitudine, capii che era quello che voleva.
Presi la giacca e uscii fuori, non sapevo dove andare, potevo solo muovermi quando la mia mente si caricava così tanto di angoscia e dolore. Camminare era l'unica cosa che mi impediva di crollare immediatamente e mi dava la possibilità di calmarmi.
Fu così che mi ritrovai a girovagare per Brooklyn mentre il cielo si scuriva e le nuvole si addensavano come se dovesse iniziare un temporale. Quella città alle volte mi dava la sensazione che potesse capirmi, che assorbisse i miei sentimenti e il mio dolore. Era come se la California con i suoi colori e quell'estate senza fine appartenesse davvero ad un periodo di infanzia ormai perso per sempre mentre Brooklyn con quel cielo grigio e freddo fosse ciò che il futuro mi prospettava.
- Callum?
Al suono di quella voce mi destai da quei pensieri e feci attenzione a chi avevo davanti, Alencar mi fissava con i suoi occhi verdi e penetranti. Eravamo entrambi immobili nel bel mezzo del marciapiede ed il silenzio aveva iniziato a protrarsi.
- Ciao – dissi alla fine in un sussurro.
- Che ti succede? – il suo tono era serio e quello sguardo continuava a squadrarmi dalla testai ai piedi – che hai fatto alla faccia?
- Non lo sai? – la mia risposta lo spiazzò ma io non avevo altre spiegazioni da fornire.
- Che intendi?
- Io ... - provai un certo imbarazzo inizialmente – non mi ricordo cosa è successo, credo che ... ci sia di mezzo lei questa volta. Non mi ha picchiato nessuno, lo giuro. Lo sa lei cosa è successo, anzi, pensavo che lo sapessi anche tu ...
Altro silenzio, altre lunghe occhiate, lo vidi avvicinarsi di un passo per guardare meglio la mia fronte.
- Pensi sia stato io?
- No
Ed era vero, sapevo bene che Alencar era una persona estremamente violenta ma lo conoscevo abbastanza da essere certo che mai avrebbe fatto del male alla donna che amava.
- Cosa sta succedendo? – ancora quel tono carico di preoccupazione, mi sembrava assurdo che qualcuno si stesse rivolgendo a me in quel modo, come se gli importasse davvero.
- Dovresti chiederlo a lei la prossima volta che vi vedrete, io non le ho fatto niente non so cosa la sta facendo arrabbiare. Voglio solo avere una vita normale -dissi a denti stretti.
- Vieni con me – esclamò -tua madre è ancora a casa, no? Non devi passare tutto il giorno per strada
Smettila di essere gentile, lasciami stare nella mia dolce solitudine.
Ad un tratto il vibrare nella tasca mi fece ricordare di avere ancora il telefono con me, lo tirai fuori vagamente stupito e ci trovai un messaggio, si trattava di Keno: Passo a prenderti a casa?
Quella domanda mi riportò alla mente del nostro appuntamento e scrissi rapido che ero già fuori e ci saremmo visti a Coney Island.
Poi tornai con lo sguardo ad Alencar che mi fissava indagatore – ho un impegno, non preoccuparti non resterò solo a lungo
- Che genere di impegno? – chiese senza un tono preciso ma mantenendo i suoi occhi fissi nei miei.
- Un appuntamento
- Con la stessa persona che ti ha mollato in mezzo alla strada ad Halloween?
Smettila! Smettila di voler controllare la mia vita, non ti basta lei?
- Devo andare – dissi senza rispondere alla sua domanda e avanzando per passare oltre la sua figura.
Fui grato che me lo permise, si lasciò superare senza che tentasse di trattenermi ed io mi allontanai a grandi passi da lui, come si scappa da un'ombra spaventosa. Nonostante sentissi i suoi occhi ancora addosso, continuai a camminare senza voltarmi.
Trovai una panchina proprio prima dell'ingresso delle giostre e mi sedetti lì senza più muovere un muscolo, come se tutta l'energia del mio corpo fosse esaurita. Mi circondai di uno spesso strato di distacco tanto da non accorgermi più nemmeno della gente che passeggiava intorno a me.
Fu soltanto quando notai le scarpe di qualcuno che si era fermato lì davanti che sollevai lo sguardo e mi resi conto che si trattava di Keno. Se ne stava rigido con le mani in tasca ad un metro da me, non disse niente inizialmente, si accomodò in silenzio nella panchina prendendo un grande respiro.
Doveva venire dall'ospedale, aveva ancora quello sguardo fisso, come se vedesse ancora il letto ed il suo amico steso sopra.
- Come sta? – gli chiesi per cercare di svegliarlo da quella trance.
- Dorme – rispose in un sussurro, poi si passò le mani sul viso e tentò di riprendersi – allora, cosa ti va di fare?
Io scossi le spalle.
- Hai mangiato? – ovviamente aveva imparato a conoscere la risposta – bene, allora possiamo prendere un gelato al chiosco intanto, andiamo.
Così lo seguii senza aggiungere altro, riuscivo a percepire il suo malessere nonostante non lo stessi nemmeno guardando in faccia. Ordinò per entrambi e ci accomodammo nei tavolini poco distanti, fu in quel momento che ebbi la forza di parlare.
- Come stai? – chiesi timidamente – seriamente però, senza dire balle
Lui accennò un debole sorriso – come non ne diresti tu se ti chiedessi cosa hai fatto alla faccia?
Io arrossii leggermente – sono caduto, non sono io dei due che sta affrontando un periodo di merda. La mia vita è sempre questa e in qualche modo la gestisco, ma tu ...
- Io sto bene, giusto? – mi interruppe – voglio dire, per cosa dovrei lamentarmi? Ho il mio futuro, la scuola, i compiti ... - il suo tono era carico di astio – è quello che continuano a ripetermi i miei, sembra che il loro unico obbiettivo sia quello di farmi dimenticare di lui
- Sono preoccupati per te – gli feci notare – anche loro vedono quello che vedo io
- E cosa?
- Che sei esausto – risposi e lui parve irrigidirsi di nuovo – sei sul punto di esplodere e conosco troppo bene quella sensazione per far finta di niente. Quindi ti prego, Keno, parla con me altrimenti non capisco cosa ci sto a fare io qui. Detesto i comportamenti di circostanza.
- Sono così stanco ... - disse alla fine dando finalmente voce ai suoi veri pensieri – stanco di mentire, di sorridere, di essere speranzoso. Non faccio altro che dispensare coraggio e fiducia che non ho, non faccio che dare retta ai medici e dire tutto quello che bisogna dire in questi casi – il suo tono era carico di angoscia – deve sentire un clima positivo intorno a sé, parlagli di cose allegre lo aiuta a svegliarsi, è un ragazzo giovane ci sono ottimi margini di ripresa se si sveglia in fretta. È quello che mi sento dire ogni giorno ma il tempo passa e lui è ancora lì
Gli sfiorai una mano che teneva poggiata sul tavolino e lui intrecciò subito le nostre dita, come se si stesse aggrappando a qualcosa.
- Non faccio altro che mentire tutto il giorno quando vado lì – disse amaramente – racconto la mia fantastica giornata, di tutto quello che lui si sta perdendo, di come fuori splenda incredibilmente il sole quel giorno anche se è novembre inoltrato. Gli racconto vecchi aneddoti divertenti con il sorriso sulle labbra mentre fisso quel corpo immobile e dentro di me sto morendo - si morse il labbro – vedo quel coglione del suo ex e persino il tuo amico Levin e li detesto, non vorrei nemmeno che stessero lì a respirare la sua aria. Sono costretto ad infiocchettare racconti fantastici quando non vorrei fare altro che urlare quanto tutto faccia schifo – disse alla fine in tono liberatorio – è questo che vorrei dire: Aiden, svegliati ti prego perché fa tutto schifo da quando non ci sei, la mia vita va a puttane, non ci sono giorni belli o luminosi, fa tutto dannatamente puzza di disinfettante. Svegliati ed esci di qua perché non ce la faccio da solo, perché non sono minimamente forte e sicuro di me come ti lasciavo credere e avevi ragione su tutto ... sono un bastardo egoista e ti prometto che sparirò dalla tua vita se solo ora tu ti svegli
Gli sfiorai una guancia con la mano libera e lui spostò lo sguardo dritto su di me – dovresti dirgli queste cose se sono quelle che pensi davvero. Sicuramente parlare dei ricordi lo aiuta, ma sono sicuro che anche sentire quanto ti manca può andare bene, fagli sentire che c'è qualcuno che lo aspetta, che tiene a lui così tanto.
Prima che potesse aggiungere altro sentimmo le prime gocce di pioggia colpirci la pelle, restammo interdetti qualche istante come se non sapessimo cosa fare, poi fu Keno a parlare:
- Ho la macchina qui vicino, vieni a casa mia? – chiese – non mi va di restare solo
Io annuii e lo seguii in macchina, il tragitto non fu molto lungo e quando smontammo dal mezzo ci ritrovammo a correre sotto la pioggia e poi salire le scale di un palazzo molto curato.
La casa era deserta ed io mi lasciai guidare da Keno fino alla sua camera, sembrava molto ordinaria eccetto per un enorme quantità di libri che sembrava bizzarro trovare nella stanza di un adolescente. Lui si assentò un momento, per prendere un asciugamano e passarmelo, poi lo vidi togliersi il maglione umido e restare a petto nudo vicino alla finestra.
Sembrava leggermente più calmo adesso, meno rigido, anche se il suo sguardo era ancora carico di mille emozioni. Lo vidi prendere qualcosa da un cassetto ed iniziare trafficare con delle cartine, lui mi fissò sorridendo.
- Ti va un tiro? – chiese con un tono leggermente provocatore – i miei sono a una stupida festa di pensionamento di un collega, non ci disturberanno.
- Io sarà meglio che passi, solo tabacco per me – risposi mentre mi asciugavo i capelli.
- E' stato Aiden a lasciarla qui ... - mormorò ad un tratto perso in quel ricordo – avrebbe dovuto riprenderla ma ... non c'è stato il tempo, lui ... - capii subito che stava rivivendo quel tragico momento, quando aveva saputo la notizia - faccio un tiro la sera, mi aiuta a dormire
- Lo vedi? Mentre dormi, sogni lui? – chiesi avvicinandomi un po' e appoggiandomi alla scrivania.
Keno prese una boccata di fumo e lo trattenne per qualche istante prima di rilasciarlo lentamente – sempre, ma non solo quella notte. Sogno così tante cose, momenti passati, parole che avrei voluto dirgli, altre volte sogno addirittura il suo risveglio. Per poi scoprire che non è successo davvero
- Ma succederà – dissi con tono fermo mentre portavo le mani a stringergli il viso, i suoi occhi erano diventati tremendamente lucidi – finchè lui vive allora può svegliarsi. Ti sembra che Aiden sia uno che molla?
Ci fu silenzio, tanto che pensai di aver detto qualcosa di troppo, di aver compiuto un movimento che lo avrebbe fatto arrabbiare. Ma non si trattava di quello, non c'era rabbia, lo vidi spegnere lo spinello contro la scrivania e spingersi più vicino. Mi ritrovai intrappolato fra Keno e la superficie del tavolo, mentre lui riprendeva a parlare molto seriamente.
- Sai Callum, solitamente capisco cosa vuole la gente al primo sguardo. Eppure tu mi sembri così strano, quasi indecifrabile – poi fece un sorriso – per esempio non capisco se io ti piaccio – sfiorò la mia mano ancora poggiata sul suo viso con un dito – fai tutto questo per me perché ti piaccio?
Quella domanda mi destabilizzò e scostai la mano – io ...
Keno era ancora più vicino e nonostante io fossi più alto di lui, mi sembrò quasi di sentirmi in trappola, poi si sporse tanto da unire le nostre labbra in un bacio.
Fu lento, movimenti delicati pieni della mia timidezza e confusione, persino Keno non si era lasciato andare in modo aggressivo, anzi posò delicatamente una mano sul mio fianco.
Quando ci staccammo ero certo di essere totalmente rosso per l'imbarazzo nonostante non fosse il nostro primo bacio, in quel momento però sentivo un'intimità crescente fra noi.
- Ti interessi dei miei problemi, mi sproni a fare uscire quelle parole che non direi mai a nessuno e ti lasci baciare così, eppure nonostante questo ancora non riesco a capirti – disse con un mezzo sorriso – sei ancora un bel mistero ingarbugliato Fimmel. Tutto di te è così poco convenzionale: le tue azioni, le tue parole, persino il tuo aspetto con quella carnagione cerea e i capelli arruffati. Mi piace – mormorò mentre infilava due dita sotto il mio maglione – questo momento fra noi due, persino il tuo interesse per me mi piace, e tu? Mi trovi disgustoso come alcuni di loro o vuoi scoparmi come altri? O magari, visto che sei così diverso, c'è una terza strada nella tua testa
Trovai finalmente la forza di muovermi e mi gettai su di lui con un desiderio che non credevo potesse appartenermi, era come quella sera alla festa quando uno strano istinto mi aveva portato a baciarlo con ferocia. Ora quella pulsione mi stava guidando e mi aveva portato a ribaltare le posizioni, chiudendo il corpo di Keno fra il mio e la scrivania.
Ti piace davvero o lo stai usando solo per fuggire?
Quel pensiero si intromise tanto nella mia mente da rendermi incerto per qualche istante, ma Keno sembrava non voler tornare più indietro. Aveva già portato le mani sotto i miei indumenti aiutandomi a togliere il maglione per poi passare a slacciare i pantaloni, mi irrigidii quando sentii le sue mani scendere lungo il mio fondoschiena sfiorandomi i glutei.
Rise – è la tua prima volta? Nervosetto?
Feci un respiro profondo mentre nella mia mente si formava l'unica immagine che avrei voluto combattere, Alencar. Il suo viso si fermò con prepotenza nella mia mente e ciò che avevamo fatto tornò a galla carico di quelle sensazioni che avevo cercato di dimenticare.
Così affamato d'amore da gettarmi fra le sue braccia.
Cosa avrebbe pensato Keno di me se lo avesse saputo? Come potevo andare avanti? Non ero libero, non lo sarei mai stato finchè avessi avuto Alencar e Celia nella mia vita.
- Che ti prende? – chiese mentre scendeva con la mano al mio sesso, ancora coperto dall'intimo.
- E' solo che ... non voglio ferirti
- Non preoccuparti, niente può ferirmi – mormorò prima di abbassarsi e accogliere la mia erezione fra le labbra.
Non riuscii più a pensare molto razionalmente da quel momento in poi, sentivo la sua bocca, il calore, quella stimolazione lenta e tremendamente piacevole. Nemmeno le gambe mi tenevano più in piedi, vidi Keno spostarsi un momento e guidarmi indietro verso il suo letto. Crollai lì mentre lo osservavo piazzarsi su di me e finire di togliersi i vestiti.
- Non ti farò male, non essere nervoso – mormorò mentre cercava di sistemarsi fra le mie gambe e tornare a stimolare il mio sesso.
In quel momento Alencar tornò a farsi strada nella mia mente, era sempre stato solo lui, nel bene o nel male ed era ancora annidato nella mia mente.
Chiusi le gambe e mi sollevai a sedere, non lasciai a Keno il tempo di farsi troppe domande per quel gesto improvviso, lo gettai sul materasso spostandomi sopra di lui.
Il biondo rise – ehi vacci piano tigre, sai cosa fare?
Io arrossii leggermente – s-sì, abbastanza
Keno prese una delle mie mani e si portò le dita alla bocca cominciando a bagnarle con cura di saliva, erano movimenti semplici ma dannatamente seducenti. Continuò a laccarmi le dita senza smettere di guardarmi e alla fine spostò lo sguardo verso il basso guidando la mia mano verso la sua apertura. Cominciai a penetrarlo lentamente e lo sentii gemere mentre le mie dita si facevano strada dentro di lui.
- Callum – ansimò – così va bene, voglio te adesso
Deglutii mentre avvicinavo la mia erezione alla sua apertura, lo penetrai lentamente, sentivo i nostri respiri intrecciarsi mentre abbassavo il viso e catturavo nuovamente le sue labbra. Le braccia di Keno, il suo odore e il suo calore erano intorno a me, lo sentivo gemere e incitarmi ad aumentare le spinte. Il nostro piacere cresceva ad ogni istante e alla fine divenne difficile da gestire, le mie spinte si erano fatte sicure e rapide mentre anche Keno mi aiutava inarcando il bacino. Aveva la fronte imperlata di sudore, le labbra gonfie e rosse per i baci e capelli arruffati, era incredibilmente bello in quel momento.
- Callum! Penso che ...- ansimò mentre spingevo ancora dentro di lui – non resisto, io ...
Keno si lasciò andare qualche secondo dopo, sporcando entrambi con il suo seme, anche io ero al limite e mi liberai dentro di lui.
Per qualche minuto la stanza fu riempita unicamente dal rumore dei nostri respiri affannati, mi stesi lungo il materasso accanto al corpo di Keno che era rimasto immobile a fissare il soffitto. Stavo di nuovo tornando a padroneggiare me stesso e mi chiesi se non avessi fatto qualcosa di sbagliato.
- Va tutto bene? – chiesi timidamente – ho fatto qualcosa che non va?
Lo vidi voltarsi e mettersi a ridere – come? Lo stai chiedendo davvero?
Non risposi, mi limitai a distogliere lo sguardo imbarazzato.
Lui si voltò su un fianco per fissarmi meglio – non sei per niente male. È stato bello, mi serviva staccare il cervello per un po'.
E ora?
Quel pensiero era tornato a tormentarmi, il rapporto fra me e Keno si era fatto ancora più stretto, cosa avrebbe significato? Come potevo lasciare che un ragazzo normale vedesse gli scheletri che mi trascinavo dietro?
- Su cosa ti fai le seghe mentali? – chiese lui interrompendo il flusso di problemi da cui mi ero lasciato assorbire.
- Io ... non sono una persona semplice – risposi intimorito da quella realtà – ci sono tante cose che non vanno in me, non voglio incasinarti
- Le persone semplici mi annoiano – replicò con il suo solito tono schietto e un po' sprezzante, sembrava essere tornato quello di sempre – non sto cercando niente di comodo e stabile Callum e qualcosa mi dice che non lo cerchi nemmeno tu. Possiamo darci una mano, tenerci in piedi a vicenda fra tutti i casini che si susseguono nelle nostre vite. – i suoi occhi si spostarono di nuovo a puntare i miei – non dobbiamo dirci niente che non ci vada di raccontare, non dobbiamo fare nulla che non ci sentiamo in grado di fare. Siamo solo due persone sole che si ritrovano a condividere un momento per sentirsi meno vuote. Ti va?
- Sì
Grazie Keno.  

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